Ogni sabato mattina alle 9,30 da Radio Maria, l’amico Marco Invernizzi, attuale reggente nazionale di Alleanza Cattolica, ci offre una sapiente e veloce rassegna stampa sugli avvenimenti dell’ultima settimana nella Chiesa, nell’Italia e nel mondo. Un momento di conoscenza importante perché non sempre i credenti hanno l’opportunità di essere bene informati su quello che accade intorno a noi. Questa settimana Invernizzi ha presentato quattro interventi apparsi sui giornali italiani, il primo di Antonio Socci (Perché i Papi del nostro tempo sono circondati dall’affetto del popolo.
Cosa cerca l’umanità dei nostri anni”, 9.1.23, Libero), segue l’intervento di Matteo Matzuzzi su Il Foglio (Un gigante della fede, 12.1.23, Il Foglio), in riferimento alla morte del cardinale George Pell. Un articolo di Federico Rampini, (La Capitol Hill del Brasile: golpe o sollevazione popolare? Storia e analisi del bolsonarismo e di una democrazia in pericolo”, 9.1.23, Corriere della Sera) Infine Paolo Mieli sul Corriere della Sera consiglia al governo Meloni di fare poche cose ma bene.
Cominciamo dalle interessanti riflessioni di Socci. I mass media cercano di far passare l’idea che i cattolici sono divisi su papa Francesco e papa Benedetto XVI. Certo le differenze tra i due papi esistono, la fede può essere incarnata in maniera diversa, ma la dottrina rimane sempre quella. Sostanzialmente Socci racconta la continuità degli ultimi papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco. “Le diatribe ecclesiastiche di cui parlano i giornali interessano soltanto pochi addetti ai lavori (spesso addetti ai “livori”). Il popolo, praticante e non praticante, guarda alla Chiesa con altri occhi. Con altre aspettative.
In genere rivolge lo sguardo verso la Chiesa alla ricerca di un padre. L’affetto manifestato dalla gente in questi giorni verso Benedetto XVI va letto in questo orizzonte”. Da sempre nella Storia, l’animo umano cerca il padre. Nella Chiesa, si cerca il Padre, nella persona del Papa. Socci sottolinea che gli osservatori sono rimasti sorpresi da questo affetto popolare per un papa che, con la rinuncia, era uscito di scena da dieci anni e riteneva dimenticato da tutti. Ma non è proprio così secondo Fabrizio Roncone, “non era percepito dai fedeli come un Papa emerito, un pensionato sia pure ancora vestito di bianco, ma come un autentico e grandioso Papa in attività”. In effetti anche il suo ritirarsi in un silenzio orante insegnava qualcosa di prezioso: umiltà e amore per la Chiesa.
Socci è convinto che non esistono fazioni nella Chiesa, non c’è un popolo di Benedetto XVI e uno di papa Francesco. Esiste uno stesso popolo sia per papa Ratzinger, per papa Francesco che per Giovanni Paolo II, anche se incarnano accenti e temperamenti diversi, l’idea di paternità. Hanno carisma e doni di Dio diversi. Socci evidenzia la diversità degli ultimi tre pontefici, eppure tutti sono stati circondati dall’affetto dei popoli.
“Papa Wojtyla, che fu eletto a 58 anni, arrivò come un ciclone. Straordinariamente carismatico, il papa polacco che era stato minatore, poeta, che aveva recitato nel teatro clandestino sotto l’occupazione, che aveva lottato fin da giovane contro nazismo e comunismo, era sinonimo di una granitica fede in Cristo: una statua delle cattedrali gotiche. Dov’era lui – ebbe a dire un vaticanista – soffiava sempre il vento”. Mentre Benedetto XVI, “ha vissuto il suo ministero con la sua straordinaria sintesi di mitezza, umiltà, bontà e profondità di pensiero, portando luce in un tempo buio e saggezza a un’umanità smarrita”. Papa Ratzinger è stato il pontefice della “fede pensata”. Probabilmente per i suoi studi, l’enorme mole di scritti scientifici, di teologia, di filosofia. Ha affascinato le élite, i più colti con la sua sapienza cristiana.
“Francesco è il Papa sudamericano,– scrive Socci – il Papa delle periferie del mondo e delle periferie esistenziali. È l’immagine di una paternità che si mette sulle spalle la pecorella ferita e va a cercare i figli che si credono perduti. Il suo messaggio, che è arrivato al cuore anche di tanti non credenti, è l’annuncio dell’infinita misericordia di Dio”. E’ il papa che pone l’accento sulla misericordia del Signore, sulla compassione. Possiamo concludere che la Chiesa ha la fortuna e la ricchezza di avere pontefici di un’unica storia e della stessa Chiesa. Accenti diversi di un’unica Paternità. Quella che tutti gli uomini cercano.
Matteo Matzuzzi fa memoria del cardinale australiano George Pell, morto in questi giorni a 81 anni. Il cardinale qualche anno fa è stato accusato dell’orrendo crimine di pedofilia, per questa accusa è stato buttato nelle carceri australiane per un annno. Poi prosciolto dopo una massiccia campagna denigratoria. Su questa amara esperienza ha scritto un diario pubblicato dalla casa editrice Cantagalli, peraltro, Alleanza Cattolica l’anno scorso lo ha intervistato. “E’ morto da innocente, dopo cinque anni di campagne costruite ad arte che l’avevano fatto passare per un mostro, pedofilo che molestava coristi minorenni nelle sagrestie delle cattedrali australiane”. Scrive Matzuzzi, “Ne seguì un processo ridicolo, costruito sul nulla e su accuse che nessuna persona dotata di un minimo di intelligenza avrebbe potuto prendere sul serio”. Bastava leggere le carte, per scagionarlo subito. Pell poteva restare a Roma, in Vaticano, invece ha sfidato i suoi persecutori accettando la gogna pubblica dei manifestanti in Australia, che gli auguravano la prigione e la morte. Sicuro che la verità avrebbe trionfato. Uscì dal tribunale in manette con la folla che urlava, accettando una forma di Passione come Nostro Signore. In carcere è stato trattato come un criminale, con le catene ai piedi, gli fu impedito di celebrare la messa per più di quattrocento giorni. Pare che la sera mons. Ganswein, tra i libri che leggeva al papa emerito Benedetto XVI, c’era quello di Pell, che una settimana fa era inginocchiato nella basilica vaticana davanti al feretro del papa. Ora da morto il cardinale sarà sepolto nella cattedrale di Santa Maria a Sydney. Papa Francesco ha ricordato la sua testimonianza coerente e impegnata, la dedizione al Vangelo e alla Chiesa, e particolarmente la solerte collaborazione prestata alla Santa Sede nella sua recente riforma economica. Pell è stato un servo fedele, senza vacillare ed ha seguito il Signore con perseveranza anche nell’ora della prova.
Oltre al servizio di Matzuzzi, c’è anche un articolo di Giuliano Ferrara, lo sintetizzo, Pell è stato un uomo malmenato e distrutto in nome di un odio diffuso contro ciò che rappresentava. Ancora oggi la BBC sciaguratamente lo definisce “controverso cardinale”. Infine sempre Il Foglio propone uno stralcio di “George Pell. Diario di prigionia”, edito da Cantagalli (448 pag., 25 euro) uscito nel maggio del 2021, con il titolo: Un gigante della Chiesa.
Il terzo tema trattato da Invernizzi è la rivolta dei presunti bolsonariani a Brasilia. Utilizza l’articolo di Rampini per fare alcune considerazioni su certe forze politiche considerate populiste. La sollevazione popolare di Brasilia dei simpatizzanti dell’ex presidente Bolsonaro assomiglia molto a quella di due anni fa al Congresso americano a Washington. Sia a Brasilia che a Washington non tanto si sono infrante le regole della democrazia, ma quelle del buon senso, quelle del rispetto dell’autorità anche quando sbaglia. Certo la democrazia – afferma Invernizzi – non stabilisce cosa è vero e cosa è falso, buono o cattivo. Questa è una delle differenze fondamentali fra una cultura di sinistra, che nasce con la Rivoluzione francese, e una cultura che crede nell’esistenza di principi fondamentali legati alla natura dell’uomo, che sono veri e buoni anche se non fossero riconosciuti come tali dalla maggioranza di una popolazione”.
Tuttavia questo non porta a negare che le decisioni della maggioranza, anche se sbagliate, vadano rispettate. Rispettare non significa negare la verità delle cose, ma prendere atto che così non la pensa la maggior parte della popolazione e quindi darsi da fare per convincerla dell’errore, invece che esercitare una forma di violenza contro di essa. Questa è una posizione cristiana e, se vogliamo richiamarci alla storia, dalla Rivoluzione del 1789 in poi questa è anche la posizione della destra. Pertanto per il reggente di Alleanza Cattolica, i tentativi, di attribuire a posizioni riconducibili a un cattolicesimo di destra le aggressioni contro le istituzioni di Washington e di Brasilia sono prive di fondamento. Quindi chi le ha compiute e supponendo pure la buona fede, esse sono state sbagliate e immorali, cioè contrarie al bene comune. Questo perché – sostiene Invernizzi – la morale naturale e cristiana chiede di rispettare le autorità e le istituzioni, anche quando sbagliano oppure commettono delle ingiustizie. Il caso tipico sono le leggi contro i principi del diritto naturale circa la vita e la famiglia, oppure la libertà di educazione: sono e rimangono ingiuste, vanno denunciate e si deve cercare di convincere la popolazione della loro iniquità, ma non sarebbe giustificato l’attacco alle istituzioni che le hanno emanate.
Nel caso specifico che ha indotto alle violente proteste in USA e in Brasile, se ci sono stati dei brogli elettorali bisogna essere in grado di dimostrarlo, altrimenti si introduce un precedente che rischia di rendere legittima qualunque forma di protesta, anche violenta. Invernizzi poi fa riferimento alla Storia, i casi dove i popoli hanno opposto resistenza di fronte alla violenza degli Stati. Come il caso delle insorgenze antinapoleoniche, la resistenza degli italiani del Sud dopo il 1860, la resistenza dell’esercito pontificio nel 1870, le rivolte di Berlino (1953), Budapest (1956) e Praga (1968) erano tutte legittime, perché rappresentarono l’ultimo disperato tentativo di difendere la legalità, oppure quello di opporsi alla violenza esercitata dalle istituzioni, come prevede anche il diritto alla resistenza enunciato dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2243.
L’ultimo tema quello di Mieli che consiglia al governo Meloni, utilizzando una frase di Lenin: “meglio meno, ma meglio”, che significa, “la buona qualità è più importante della grande quantità“. Concentratevi a fare poche cose ma bene anziché fare tanti proclami e poi fallire.
DOMENICO BONVEGNA
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