Carissimi,
questo mese è contrassegnato da un evento lieto e particolare: la costituzione del Consiglio Pastorale Parrocchiale, dopo ampia consultazione sia nei gruppi che nell’assemblea.
Non starò certo qui a riprendere la finalità, la natura e lo statuto dello stesso né farò l’apologia di suddetto organismo di partecipazione perché, nel corso dei mesi precedenti, ciò è stato ampiamente chiarito e l’argomento è stato oggetto di meditazione comunitaria, anche col supporto di Padre Franco Luvarà.
Il tutto è visibile e consultabile da parte di ognuno sul sito della nostra parrocchia.
Il mio intento, con la presente, vuol esser quello di proporre una riflessione sulla premessa che dovrà animare, quale punto di avvio univoco, in prima battuta tutti i componenti del CPP e diacronicamente tutti i membri della comunità: l’amicizia. Tento di articolare alcune provocazioni certamente non esaustive, perché tutti sappiamo che su questo tema c’è un infinita bibliografia. Se, poi, qualcuno desiderasse fare o farsi un regalo, allora consiglierei il bel testo di José Tolentino Mandonça, Nessun Cammino sarà lungo- Per una Teologia dell’Amicizia, edito dalle Paoline nel 2013. Nello specifico, in questa sede intendo declinare questo argomento attraverso alcune suggestioni del Vangelo secondo Giovanni, nel quale il nostro tema indica particolarmente la relazione fra Gesù e i suoi discepoli. Potrebbe sembrare superfluo, ma ritengo invece necessario porre in premessa e ribadire che non possa non essere contrassegnata dallo stesso rapporto la relazione fra i membri del CPP e, a sua volta, fra questi e l’intera comunità parrocchiale.
Occorre ripensarsi sale della terra e luce del mondo. Chi di noi oserebbe dire: io sono luce, io do sapore alla vita di chi mi è vicino? Ebbene, è incredibile la fiducia di Gesù negli uomini, la stima e la speranza che ha in noi! E non dice sforzatevi di diventare, ma voi siete già luce. Ora queste luci insieme devono operare per essere sale che dona sapore nella vita comunitaria della parrocchia. Scendiamo in profondità verso la cella segreta del cuore per trovare una manciata di sale perché siamo, nonostante i nostri limiti, sale del mondo, per pura grazia. Non è un vanto, ma una responsabilità. Voi siete, non io e tu, ma voi. Quando un io e un tu si incontrano generando un noi, ciò è luce per il mondo. Nel noi di una comunità che fa Chiesa c’è il sapore, il senso, il sale della vita. Tale affermazione trova fondamento nelle parole di Papa Francesco, al cap. VI del testo Fratelli tutti, ove il Pontefice propone il dialogo e l’amicizia sociale come antidoto alle difficoltà del momento presente affinché si possa riprendere la comunione e la partecipazione di una umanità positiva e buona. Ognuno di noi ha bisogno di sentirsi amato, accolto, capito dall’altro e, a sua volta, diviene carità per l’amico che a lui si rivolge in un interscambio di relazioni sincere ed autentiche. È un reciproco affetto costante e operoso, una carica emotiva, una presenza delicata e non ingombrante. Gesù cerca spazi, spazi nel cuore, spazi di relazione. Cerca amore nelle nostre relazioni quotidiane, nella nostra socialità.
In un certo senso è pure questa la finalità del discorso giovanneo (15,12-17), attraverso cui Gesù offre il senso e il gusto del nostro vivere insieme, a tutti i livelli dal civile al religioso, dal sociale all’ecclesiale. È opportuno contestualizzare brevemente il brano in questione, ricordando che è incastonato fra i capitoli 13 e 17, meglio conosciuti come “testamento spirituale” del Maestro, all’interno della lavanda dei piedi che Giovanni circonda dell’amore sino alla fine (13,1), ricoperto di pienezza gioiosa: “vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (15,11). Le parole sono traboccanti di energia vitale, energia che ci sovrasta.
L’esordio del brano in oggetto è profondo e programmatico insieme:
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (15,12).
È necessario un commento breve per gustare la profondità, il dono e il compito dell’amicizia.
“Comandamento” rimanda alla realtà del Primo Testamento contrassegnata dal binomio alleanza/patto, ampiamente descritto nei primi libri della Bibbia, che riferiscono del rapporto esclusivo – ma non escludente- fra Dio e il suo popolo. Questa bella relazione, nei profeti, diventerà sponsale, fatta di amore fra lo Sposo e la Sposa (cfr. Os 2,16ss). L’amore, quindi, è il contenuto del comandamento. Fatto alquanto singolare!
La parola del versetto citato, che echeggia e irrompe fortemente, a mio avviso, è l’aggettivo possessivo “mio” ed il senso di tale aggettivo sta nell’avverbio di modo “come”, che non ha alcun valore comparativo ma costitutivo-causativo.
C’è, però, una ben precisa dinamica da scandagliare e valorizzare: il Padre ama il Figlio, Gesù ama i suoi discepoli e questi sono chiamati ad amarsi fra di loro in una continua generazione di amore. L’amicizia è il legame che rende possibile questo amore.
Noi cristiani ci dobbiamo volere bene e per volersi bene il tutto inizia dalla nostra amicizia con Gesù e in Gesù. Se così non fosse, rischieremmo di strumentalizzarci a vicenda, come spesso purtroppo accade.
Quali sono allora le caratteristiche dell’amicizia di Gesù?
Stando al nostro brano, la prima espressione del volersi bene è una donazione di sé, totale e incondizionata.
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici (Gv 15,13).
La seconda caratteristica consiste nell’uguaglianza e nella reciprocità:
non vi chiamo più servi…ma… amici,
perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi (Gv 15,15).
Qui troviamo il fondamento dell’amicizia cristiana: il Maestro comunica ai discepoli tutto quello che ha ricevuto dal Padre, introducendoli nella stessa amicizia che lo lega al Padre.
Questa affermazione è basilare e rivoluzionaria perché motiva in profondità il nostro agire.
Il Vangelo, infatti, continua:
vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga (Gv 15,16).
Questo “mandato” deve essere per noi motivo di grande consolazione dal momento che l’impegno cristiano ha la sorgente nell’amore del Padre e giunge a noi attraverso la linfa feconda e generativa della “Vite” (=Gesù) di cui noi siamo i tralci.
Il CPP rappresenta in “miniatura” un po’ tutta la comunità, ricca di mille relazioni con le relative sfumature, che hanno il colore e il sapore della tenerezza, dell’accoglienza, del senso di protezione, del sentirsi realizzati per quello che si è, della reciproca libertà e franchezza, del volersi bene. Tutto questo, però, non potrà mai autorizzare i membri ad essere autoreferenziali, ad avvitarsi su se stessi, ma proprio l’amicizia di Gesù dovrà “costringerli” ad ulteriori forme di scambio, per aggiuntivi confronti e collaborazioni con tutti.
Non dimentichiamo che il confronto è crescita!
Il presente sa rivelare tanti germogli inattesi, segnali che il vento dello Spirito soffia pollini vitali dentro la nostra storia. Contro tutti i profeti di sventura, contro il clima di pessimismo che ci avvolge, la Parola è ancora qui a parlarci parole di vita piena e a donarci il futuro perché il Vangelo è bello e rende bella la vita. (E. Ronchi)
In conclusione, essere amici “nel” Signore significa condividere un progetto di Chiesa, popolo di Dio in cammino, volere e cercare il bene dell’altro in modo libero e gratuito, senza egoismi e interessi, facendosi sempre servi del bene della comunità.
Ogni dono di sé è una semina d’amore che fa nascere amore.
Auguri per un buon cammino quaresimale.
Ettore Sentimentale