di ANDREA FILLORAMO
Non è molto facile, tranne a chi conosce l’atipico mondo clericale, fare un’esegesi precisa ed esatta della lettera mensile di don Ettore Sentimentale ai suoi parrocchiani pubblicata su IMG PRESS del 20 marzo u.s. che ha come titolo: “La Cartina della felicità: Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori”, in cui egli esprime le sue opinioni circa il vago e anacronistico modo di gestire una parrocchia da parte di quei parroci che, per il “radicalismo comportamentale” che li caratterizza o per il confuso o inesistente orientamento pastorale, si barcamenano davanti alle inevitabili contraddizioni che sta vivendo in questo momento la stessa Chiesa.
Essi si sentono e si professano, tuttavia, gli “unici detentori della verità” bussole della vita degli altri e delle comunità, delle quali hanno la responsabilità pastorale, che subordinano totalmente a loro.
“In questo processo – dice, quindi, don Ettore – “ purtroppo, non è tanto il parroco a proclamarsi guida/maestro, quanto la comunità a riconoscerlo tale, avendo rinunziato alle sue responsabilità ed essendosi messa in ginocchio davanti al suo curato”.
Non stiamo qui a riprendere, riportare o a citare i vari punti della lettera di don Sentimentale, in cui non mancano le sue “picconate”, ben assestate o inviti molto garbati ai suoi confratelli ma anche ai Superiori.
La lettera può essere rintracciata in questo Foglio Elettronico e può essere considerata, a mio parere, una Lettera Aperta ai sacerdoti, con cui egli, senza alcuna difficoltà o titubanza, quindi con coraggio, manifesta innanzitutto la sua sofferenza, che si spera che sia condivisa, nel constatare come il piano salvifico di Dio non trovi facilmente attuazione là dove c’è un parroco che, avendo una responsabilità su una determinata comunità, si rivela inconsapevole del “ rapporto che intercorre fra il prete e la comunità che è chiamato a servire” e, quindi,” delle dinamiche che sussistono fra la guida, nominata dal vescovo in nome e per conto della Chiesa, e il gregge a lui affidato” e non tiene conto che ”viviamo in un’epoca di rapidi cambiamenti sociali e culturali, nella quale i valori tradizionali sono contestati e il modo di vivere del passato sembra non funzionare più”. A finale commento, mi consenta don Ettore di dire che l’adagio “Chi ha orecchie da intendere, intenda” può valere anche per i preti.