“Quest’anno abbiamo individuato il 3 maggio, una data fuori dai riflettori, per festeggiare il lavoro che può anche darci la morte. La fiaccolata organizzata dal mondo della sanità in tutto il Paese in memoria di Barbara Capovani, uccisa alla fine di un turno di lavoro da uno dei suoi pazienti vuole sancire la concreta partecipazione corale a un lutto che è di tutti noi”.
“Ancora ammutolite da un dolore che ci colpisce come sue colleghe, lavoratrici, potenziali vittime e madri vogliamo aggiungere ai suoi dati anagrafici anche questo: l’essere madre di tre figli nel Paese in cui questa parola viene quotidianamente brandita come valore e identità”.
“In questi giorni noi professioniste della sanità vogliamo rivolgerci direttamente alla Premier, che si rappresenta così identitariamente nell’essere madre, invitandola a una partecipazione non di facciata al dolore della grandissima famiglia professionale di medici e dirigenti sanitari del Paese che ora governa. A questa famiglia, oramai composta in maggioranza da donne, e di cui tutti, in salute e in malattia abbiamo bisogno, si deve rispetto, se non riconoscenza”.
“Quando è donna la vittima del lavoro, in questo caso lavoro di cura (come fu nel caso di Sara Pedri, per maltrattamenti subiti in ospedale), noi donne tendiamo a guardare anche ai legami familiari, alla fatica per crearli, farli crescere e mantenere attraverso salti a ostacoli H24, nei giorni, notti e anni. Per questo forse sopportiamo ancora meno ogni sopruso agito e ogni gratuita sopraffazione, oramai così frequenti nelle Aziende sanitarie. L’attuale mortifera organizzazione del SSN non ci rappresenta più, e questo governo, se pure non può essere indicato come principale responsabile, non è sulla buona strada per cambiare verso: come sempre, né attenzione né investimenti sono in agenda per la Sanità pubblica. Ci sarà tempo (oramai non più tanto) per affrontare l’incandescenza della bomba sociale che si prepara”.
“Non pensiamo sia necessario aggiungere altro ai fiumi di parole e di sdegno che abbiamo letto finora. Esternazioni che generano, al massimo, l’ennesima commissione, o tavolo tecnico, pronta a registrare il prossimo episodio di violenza o di morte, annunciata e non prevenuta”.
“L’ “età delle parole è finita”: questa citazione dalla poetessa Antonia Pozzi ha il senso di una laica omelia per il nostro ultimo saluto alla nostra collega. E marca l’impegno, in nome suo e delle altre vittime di quotidiane aggressioni, a mobilitarci tutte/i insieme, nel nome della dignità e della vita, per restituire con estrema urgenza ruolo e sicurezza, nella e della nostra professione di cura. Cui tocca garantire l’esigibilità dell’unico diritto che la Costituzione definisce fondamentale: quello alla salute”.
Area Formazione Femminile Anaao Assomed