La sostituzione del Reddito di Cittadinanza con il neonato Assegno di inclusione rischia di eliminare un’importante forma di supporto al reddito per moltissime donne che hanno subito violenza.
Il nuovo strumento, infatti, come recita il DL Lavoro, “è riconosciuto, a richiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, a garanzia delle necessità di inclusione dei componenti di nuclei familiari con disabilità nonché dei componenti minorenni o con almeno sessant’anni di età” e prevede che tutte le persone facenti parte del nucleo familiare maggiorenni “che esercitano la responsabilità genitoriale, non già occupati e non frequentanti un regolare corso di studi, e che non abbiano carichi di cura siano tenuti all’obbligo di adesione a tutte le attività formative, di lavoro, nonché alle misure di politica attiva, individuate nel progetto di inclusione sociale e lavorativa” previsto dall’art. 6.
In altre parole, così come attualmente disegnato, l’Assegno di inclusione di fatto esclude le donne che hanno subito violenza e che si trovano in condizioni di vulnerabilità economica senza minori a carico. Inoltre, ostacola l’accesso anche alle donne che hanno subito violenza con minori a carico perché obbliga ad aderire al percorso di inclusione sociale e lavorativa senza considerare i loro bisogni specifici e perché non prevede una modifica del regolamento che disciplina il calcolo dell’Isee – che spesso non indica la reale situazione reddituale e patrimoniale della donna perché comprensivo dei redditi dell’autore di violenza.
“Il Reddito di cittadinanza ha svolto un ruolo importante nel recupero dell’autonomia economica di molte donne che hanno subito violenza perché, nonostante alcune criticità, è stato uno strumento di supporto al reddito utile soprattutto nella prima fase del loro percorso. Con questo cambio di passo diventa quindi ancora più urgente e necessario investire nel Reddito di libertà, renderlo strutturale e dotarlo di risorse adeguate per garantire alle donne che hanno subito violenza l’accesso a un reddito sufficiente e, quindi, il raggiungimento dell’indipendenza economica” afferma Rossella Silvestre, Policy and Advocacy Expert di ActionAid.
Qualora il DL Lavoro venga convertito in legge dal Parlamento nella sua forma originaria, a partire dal 1° gennaio 2024, le donne che hanno subito violenza si vedranno negata un’ulteriore forma di supporto al reddito. Il diritto ad accedere a un reddito sufficiente era già stato scalfito dalla legge di bilancio 2023 che, invece di potenziare il Reddito di libertà, ne aveva tagliato i finanziamenti, stanziando solo 1,8 mln di euro per supportare complessivamente circa 385 donne, a fronte di circa 21.000 potenziali beneficiarie, così come calcolato dall’Istat (2022).
Alla luce di un tale quadro politico diviene ancora più urgente investire nel Reddito di libertà, rendendolo strutturale e dotandolo di un finanziamento adeguato. È inoltre necessario che il Parlamento in sede di conversione del DL lavoro includa le donne che hanno subito violenza nella platea beneficiaria esente (art. 6 comma 5) dagli obblighi di attivazione lavorativa e sociale imposti dalla misura; modifichi il Regolamento concernente le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Isee (DPCM 5 dicembre 2013, n. 159) prevedendo che le donne prese in carico dalle strutture antiviolenza possano costituire un nucleo familiare distinto da quello del coniuge/convivente autore di violenza, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo abbia la medesima o separata residenza anagrafica.