La Commissione non ha motivato la propria conclusione secondo cui la misura in questione non era contraria a disposizioni di diritto dell’Unione diverse da quelle relative agli aiuti di Stato…
Nell’ottobre 2020, la Repubblica italiana ha notificato alla Commissione europea una misura di aiuto consistente in sovvenzioni erogate a talune compagnie aeree titolari di una licenza italiana mediante un fondo di compensazione di EUR 130 milioni (in prosieguo: la ««misura in questione»). Tale misura mirava a ovviare ai danni subiti dalle compagnie aeree ammissibili a causa delle restrizioni di viaggio e delle altre misure di confinamento adottate nell’ambito della pandemia di COVID-19.
Conformemente a una delle condizioni di ammissibilità previste dalla misura in questione, per poter beneficiare di quest’ultima, le compagnie aeree dovevano applicare ai loro dipendenti con base di servizio in Italia, nonché ai dipendenti di imprese terze partecipanti alle loro attività, un trattamento retributivo pari o superiore a quello minimo stabilito dal contratto collettivo nazionale applicabile al settore del trasporto aereo, concluso dalle organizzazioni datoriali e sindacali considerate come le più rappresentative a livello nazionale (in prosieguo: il «requisito del trattamento retributivo minimo»).
Senza avviare il procedimento d’indagine formale di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, la Commissione ha deciso di non sollevare obiezioni nei riguardi della misura in questione, con la motivazione che la stessa era compatibile con il mercato interno 1.
Investito di un ricorso di annullamento proposto dalla compagnia aerea Ryanair, il Tribunale annulla tale decisione per violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE.
Secondo una giurisprudenza costante, una decisione di non avviare il procedimento d’indagine formale in relazione ad un aiuto notificato deve contenere le ragioni per le quali la Commissione ritiene che non sussistano serie difficoltà di valutazione della compatibilità dell’aiuto considerato con il mercato interno. Anche se una motivazione succinta è sufficiente su tale punto, essa deve far apparire in modo chiaro e inequivocabile le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto di non essere in presenza di simili difficoltà.
Orbene, il Tribunale ritiene che ciò non si verifichi nel caso di specie.
Da un lato, esso rileva che, nella decisione impugnata, la Commissione ha affermato contemporaneamente che il requisito del trattamento retributivo minimo era indissolubilmente legato alla misura in questione, e che tale requisito non era inerente all’obiettivo di detta misura, senza tuttavia far apparire in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento che l’ha condotta a questa duplice affermazione.
Dall’altro, il Tribunale constata che la conclusione della decisione impugnata, secondo cui il requisito del trattamento retributivo minimo non era contrario ad «altre disposizioni del diritto dell’Unione» diverse dagli articoli 107 e 108 TFUE, era parimenti viziata da un difetto di motivazione.
Su tale punto, esso osserva che l’unica disposizione del diritto dell’Unione, oltre agli articoli 107 e 108 TFUE, alla luce della quale la Commissione ha esaminato tale requisito è l’articolo 8 del regolamento Roma I 2, che stabilisce norme speciali sul conflitto di leggi relative al contratto individuale di lavoro. Tuttavia, la Commissione non ha spiegato, nella decisione impugnata, le ragioni che consentivano di ritenere che tale articolo fosse l’unica disposizione pertinente, oltre agli articoli 107 e 108 TFUE, alla luce della quale essa doveva esaminare la compatibilità con il diritto dell’Unione del requisito del trattamento retributivo minimo. Pertanto, la Commissione non ha esposto in modo chiaro e trasparente i motivi per i quali aveva ritenuto che detto requisito non costituisse una violazione «di altre disposizioni del diritto dell’Unione».
Tale difetto di motivazione è illustrato dal fatto che, nell’esaminare il requisito del trattamento retributivo minimo, la Commissione ha tenuto conto di una denuncia dell’Associazione italiana compagnie low fares che contestava la compatibilità con la libera prestazione dei servizi ai sensi dell’articolo 56 TFUE di una normativa italiana che prevede un requisito di trattamento retributivo minimo analogo a quello previsto nella misura in questione. Tenuto conto di tale contesto, la Commissione avrebbe dovuto a fortiori pronunciarsi sulla pertinenza dell’articolo 56 TFUE ai fini del suo esame della compatibilità della misura in questione con il mercato interno.
Alla luce di quanto precede, il Tribunale conclude che la Commissione ha violato l’obbligo di motivazione impostole dall’articolo 296 TFUE e annulla, di conseguenza, la decisione impugnata.