Giulia Tramontano, 29 anni: uccisa e vilipesa, anche dopo la morte, con il figlio che portava in grembo. Una giovane donna messa in guardia, nemmeno troppo paradossalmente, fino ad offrire ospitalità e rifugio a lei e al bambino che doveva nascere, proprio dalla ragazza con la quale l’assassino intratteneva, all’insaputa dell’una e dell’altra, una relazione parallela. Una storia orrenda di violenza che mostra un unico lato umano: la solidarietà e la coesione di due giovani donne. Giulia purtroppo decide di incontrare ancora una volta il convivente, scoperto bugiardo e traditore, ma non sospettato assassino.
Una solidarietà tutta femminile: che però non è bastata, non per debolezza della donna ma per spietatezza vigliacca dell’uomo assassino. Ci chiediamo quali siano i corretti parametri per valutare la sussistenza o meno della premeditazione e dell’aggravante della crudeltà, che alla luce di quanto la cronaca riferisce sembrerebbero invece presumibili, ma che allo stato il giudice non ravvisa. Ci chiediamo quanta distanza possa esserci, e perché, tra un giudizio umanamente istintivo e uno giuridicamente espresso. Ci interessa saperlo, per capire se sono le norme o le interpretazioni delle norme a creare questo strappo.
Paola Romano, poliziotta uccisa negli stessi giorni a Roma dall’uomo (e collega poliziotto) che non accettava la fine della loro relazione, è stata vittima di una esecuzione: colpi di pistola alle spalle, alla nuca. Cosa conta fosse o no malata, volesse o no recuperare la relazione con il marito, come le cronache indulgono a ipotizzare e a raccontare? Niente. Conta solo che è stata ammazzata vigliaccamente senza nemmeno avere avuto la possibilità di provare a difendersi, da chi – come talvolta accade – annienta volontariamente la vita altrui e poi anche la propria, così dichiarando il disprezzo estremo per le leggi naturali e manifestando la velleità di distruggere ad ogni costo un essere umano che chiede solo di decidere di sé. Non c’è neppure il tempo di assorbire il colpo della notizia, che giunge la cronaca di un altro femminicidio, a Monopoli, a opera di un uomo quasi novantenne, in danno della figlia poco più che cinquantenne, volontariamente falciata con l’auto sul viale di casa e abbandonata a terra a morire. Chiamare “mostri” gli autori di questi crimini tradisce la realtà quotidiana della violenza: non bisogna dimenticare Primo Levi, quando scriveva una verità purtroppo sempre tragicamente attuale: “I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere davvero pericolosi. Sono più pericolosi gli uomini comuni”. Leggiamo oggi in cronaca anche che Mauro Favaro, detto Omar, che nel 2001 a Novi Ligure commise un duplice omicidio che sconvolse l’Italia per ferocia inaudita, scontata la pena (peraltro ridotta) si è sposato, ha avuto una figlia, ma ora starebbero emergendo, a suo carico, gravi violenze fisiche, sessuali e psicologiche agite in Piemonte contro entrambe, mentre in sede civile sarebbe stata dichiarata la sua idoneità genitoriale. Se l’accusa fosse provata, si dimostrerebbe una volta di più l’inefficacia di un sistema inidoneo a prevenire le recidive e a cogliere le persistenze della malvagità: che si arricchisce, ad ogni femminicidio, stupro, maltrattamento, di inaccettabili motivazioni da parte dei violenti. Abbiamo appena celebrato il trentennale di attività del Telefono Rosa Piemonte: premiando, tra le 101 opere pervenute, a seguito di un percorso formativo a cui hanno partecipato liceali degli istituti torinesi, le tre considerate maggiormente generative per il contrasto della violenza maschile su donne e ragazze. Il titolo del concorso era “Cambiare si può”.
O forse dovremmo dire … si deve.