Qualcosa si muove: in vista del Campionato del mondo di calcio femminile che si giocherà dal 20 luglio in Australia e Nuova Zelanda, timidi segnali di apertura e innovazione cominciano a farsi sentire. In queste giornate che anticipano la discesa in campo delle 32 squadre suddivise in otto gironi da quattro, sui media e sul web si rincorrono contenuti multimediali che promuovono l’iniziativa sostenendo le giocatrici dei vari Paesi, con lo stesso spirito ed entusiasmo che si spende per le nazionali maschili, o quasi.
Basta guardare il video di Rio de Janeiro, dove è spuntata una strada ricoperta dei colori del Brasile, giallo, blu e verde, in occasione della Coppa del Mondo femminile di calcio: gli artisti hanno lavorato nel quartiere di Vila Isabel dove da tradizione viene dipinta una via per le rassegne iridate maschili ed è la prima volta che succede anche per un evento femminile. O lo spot prodotto per la Nazionale francese, che mira a smontare il pregiudizio sulla qualità tecnica del calcio giocato dalle donne: un video incalzante con una sequenza delle migliori azioni svolte sul campo, le voci concitate dei cronisti, il grido dei tifosi e il pugno alzato verso il cielo dopo un gol conquistato. Solo alla fine del video si scopre che a smarcare l’avversario, a tirare in porta dopo un pressing combattuto dopo aver superato la difesa, sono le calciatrici della Nazionale francese a cui, grazie alla computer grafica, sono stati cambiati i connotati in quelli maschili.
Anche in Italia, dopo un lungo tira e molla che ha messo a rischio la diffusione delle partite delle italiane, la Rai ha siglato un accordo commerciale per la trasmissione di diverse partite della rassegna iridata. Rispetto ai Mondiali di calcio maschile non sono moltissime le partite che si potranno vedere in TV: la Rai è riuscita ad assicurarsi la trasmissione di solamente 15 partite del torneo, comprese le gare delle azzurre, la partita inaugurale tra Nuova Zelanda e Norvegia alle 9 di giovedì 20 luglio, le due semifinali e la finale.
Tante buone intenzioni a livello comunicativo, non del tutto confermate dai fatti: una ricerca dell’Università di Zurigo evidenzia che il modo in cui si guarda il calcio femminile è falsato dagli stereotipi di genere. Lo studio ha mostrato ad oltre 600 persone i video con i migliori gol di uomini e donne della stagione 2019, alcuni dei quali sfocati, così da rendere irriconoscibile il sesso del giocatore. I risultati indicano che per quanto riguarda i video normali la valutazione della performance sportiva degli uomini è stata superiore a quella delle donne: 4.0 contro 3.8, su una scala fino a 5. Per i filmati non messi a fuoco invece, non sono state riscontrate differenze (entrambi 3.5). Lo studio mostra, inoltre, che gli uomini danno una valutazione meno alta quando sanno di star guardando una partita di calcio femminile. Secondo i ricercatori, i risultati confermano che nelle attività a predominanza maschile gli stereotipi influenzano in maniera negativa la percezione del gesto tecnico, e ciò indipendentemente dalla performance atletica. Tutto questo, concludono gli esperti, ha conseguenze per il calcio femminile che ne risente in termini di copertura mediatica, investimenti e potenziale economico.
Pregiudizi e mancanza di attenzione che sono confermati da Monia Azzalini, dell’Osservatorio di Pavia, esperta di media e sport: “Si parla di sport femminile soprattutto nelle grandi occasioni – dice l’esperta intervistata da Radio24 – perché la routine quotidiana dà molta poca visibilità alle donne. Secondo i dati di un progetto internazionale che ho seguito nel 2020 in Italia solo un 3% delle notizie di telegiornali, stampa quotidiana, giornali radio, web e Twitter è dedicata allo sport femminile. Durante i Giochi olimpici di Rio 2016 ho coordinato una ricerca che riconosceva maggiore visibilità alle donne ma sempre inferiore a quella degli uomini: nei telegiornali del prime time le atlete al 17,9 e agli atleti al 34,7%, sulla stampa il 52,5% dedicato alle discipline maschili e il 24,7 a quelle femminili”.
Azzalini evidenzia che questa sproporzione non rappresenta la quota di atlete ad alto livello rispetto agli uomini, a Rio, ad esempio, le donne erano il 48%, quindi quasi in parità. “Le donne praticano meno sport rispetto agli uomini però nella pratica dello sport di base siamo a un rapporto 40-60%, lontano dai dati citati. Si tratta di un gap non solo italiano, ma di un fenomeno diffuso e globale, legato a un retaggio storico, che non è mai stato affrontato nè a livello nazionale nè internazionale. Il gender gap non è solo quantitativo ma anche qualitativo: – ha proseguito l’esperta – tendenzialmente c’è una preferenza a focalizzarsi sugli aspetti di performance sportiva per quanto riguarda gli uomini e invece per le donne ci si sofferma su altri aspetti che hanno a che fare con il corpo, la bellezza, gli aspetti di vita privata o familiare. Certamente non c’è abbastanza consapevolezza, nemmeno tra chi lo racconta lo sport: una ricerca dell’Unesco ci dice che le giornaliste sono solo il 12%”.
Il fatto che lo sport femminile sia ancora poco valorizzato, anche a causa del modo di raccontarlo, influisce sulla possibilità di svilupparsi economicamente? Secondo Monia Azzalini la risposta è sì: “La Commissione Europea sta lavorando tanto su queste tematiche e in più documenti ha messo bene in evidenza come ci sia un rapporto circolare tra sport, media ed economia, che può tradursi in un circolo virtuoso o vizioso. Infatti, più uno sport è visibile a livello mediatico più richiama investimenti e questi investimenti ricadono sul mondo dello sport. In questa fase bisogna avere un po’ di coraggio, voglio ricordare che ci sono state trasmissioni di partite della nazionale italiana che hanno avuto un buon riscontro in termini di dati Auditel con ricadute immense sullo sport di base. Media, sport e donne sono tre settori in rapidissima evoluzione, con una estrema lentezza sul fronte media e sport”. Si può notare, tra l’altro, che le tesserate Figc, tra il 2008 e il 2022, sono cresciute del 94 per cento: una crescita esponenziale, che da un lato evidenzia come sia sempre più facile l’accesso delle giovani al calcio, dall’altro avrà la conseguenza inevitabile di migliorare l’intero movimento nazionale.
Secondo la giornalista Mara Cinquepalmi, che ha dedicato ai Mondiali un interessante approfondimento sul magazine Atlante della Treccani, la novità più interessante dell’edizione 2023 riguarda il montepremi. “Ogni calciatrice della Coppa del mondo (sono 736 le partecipanti) riceverà almeno 30.000 dollari dalla FIFA e le 23 giocatrici della squadra che conquisterà il titolo riceveranno ciascuna 270.000 dollari. Il governo del calcio mondiale – scrice Cinquepalmi – ha triplicato il montepremi complessivo del torneo rispetto all’edizione 2019 in Francia, dieci volte di più rispetto all’edizione del 2015 in Canada. Da notare che, invece, le 32 federazioni nazionali le cui squadre hanno giocato ai Mondiali maschili del 2022 in Qatar hanno condiviso 440 milioni di dollari di premi in denaro. In particolare, la FIFA pagherà 10,5 milioni di dollari alla nazione vincitrice del titolo, di cui 6,21 milioni di dollari da dividere tra le giocatrici e 4,29 milioni andranno alla Federazione”. Luci e ombre si confermano però anche in questa edizione del torneo mondiale: “Resta in stallo la questione diritti – aggiunge la giornalista – Infatti, in Australia e Nuova Zelanda le calciatrici non potranno indossare la fascia arcobaleno a sostegno dei diritti LGBTQIA+ ma potranno scegliere tra otto alternative, tutte approvate dalla FIFA dopo aver consultato le 32 squadre, le giocatrici e le agenzie delle Nazioni Unite”.
Un settore in grande ascesa, sociale ed economica, per cui ci si augura che cresca di pari passo la qualità della comunicazione e del’informazione. “Media, donne e sport” è il Manifesto lanciato nel 2019 dall’Uisp con l’associazione Giulia Giornaliste, per una corretta informazione sullo sport femminile. L’idea alla base del documento è che l’informazione, anche nel settore dello sport, ha un ruolo fondamentale per promuovere l’attività femminile e le sue eccellenze, contro le discriminazioni e gli stereotipi, per una piena valorizzazione delle donne nello sport e dello sport come fattore di vita sana, per la salute e il benessere. Per una narrazione giornalistica attenta, corretta e consapevole è necessario superare pregiudizi e stereotipi, attenendosi a poche regole di buon giornalismo: informare sulle discipline sportive femminili con competenza di merito: scrivere delle atlete nello stesso modo in cui si scrive degli atleti; evitare di soffermarsi nei testi sull’aspetto fisico, sul look o sulle relazioni sentimentali, non più – in ogni caso – di quanto si scriva dell’aspetto tecnico, delle prestazioni, dell’impegno e della dedizione profusi per ottenerle; nelle immagini non focalizzarsi su parti del corpo in modo ammiccante; dare alle discipline sportive femminili visibilità al pari di quelle maschili in termini di spazi e, a partire dalla programmazione pubblica televisiva e radiofonica, di collocazione oraria. Impegnare gli editori a coinvolgere più giornaliste e commentatrici nelle redazioni sportive, nella cronaca televisiva e radiofonica; declinare al femminile i ruoli, le funzioni e le cariche: ad esempio la centrocampista, l’arbitra, la dirigente, la presidente, la coach, l’allenatrice; evidenziare le discriminazioni e differenze di genere nello sport, ad esempio per quanto riguarda i compensi sportivi, il valore dei premi e dei benefit, le tutele per le atlete, la scarsa rappresentanza nelle dirigenze.
Sembrerebbero indicazioni semplici, ovvie, condivisibili, perchè lo sport è rispetto, dignità, parità di genere: a questi valori deve attenersi il racconto sportivo, in particolare quello radiotelevisivo del servizio pubblico. Ma un altro episodio scoraggiante si è svolto proprio a tre giorni dall’inizio dei Mondiali di calcio: in occasione di una diretta Rai dai Mondiali di nuoto un giornalista e un collaboratore tecnico hanno scelto di utilizzare un linguaggio sessista e stereotipato, che offende le donne e tutte le persone. Tutti i giornalisti e i telecronisti hanno compiti di correttezza informativa e condividono con lo sport una funzione sociale ed educativa. In seguito alle denunce di diversi telespettatori che hanno assistito in diretta alle affermazioni dei due, la Rai ha avviato una procedura di contestazione disciplinare nei confronti del giornalista di Rai Sport e tutti i provvedimenti necessari per il collaboratore tecnico. L’auspicio è che per il futuro ci sia la massima attenzione e responsabilità da parte dei telecronisti che saranno chiamati a raccontare la manifestazione calcistica.