Pensavo di non affrontare il tema del libro del generale Vannacci, ma dopo aver letto l’interessante riflessione di Antonio Socci su Libero, allora ho preso carta e penna (si diceva una volta) ed ho iniziato a scrivere. Non so se sia importante: io non ho letto il libro, come in tanti a sinistra, che pontificano demonizzando alcuni passaggi del testo. Io spero di non pontificare (da Destra), ma ormai dopo tanto ascoltare, ho capito quasi tutto. Certamente il libro non è la Bibbia, non è un manifesto politico, non è tante cose… Molto di quello che c’è scritto nel libro di Vannacci poteva scriverlo chiunque si definisce di “Destra”, ma anche di altri schieramenti come sostiene Socci.
“Infatti secondo il generale (in congedo) degli alpini, Silvio Mazzaroli, quel libro rappresenta“ un modo di pensare che sento anche mio e, ritengo, di quella ‘maggioranza silenziosa’… che quasi mai fa sentire la propria voce”. È un testo – secondo Mazzaroli –“improntato al buon senso”.(Antonio Socci, Antonio Socci sul generale Vannacci: perché la destra deve andare oltre al suo libro, 10.9.23, Liberoquotidiano)
Socci riflette sul perché del trionfo de “Il mondo al contrario”, la risposta si trova in Vannacci stesso che ironicamente ha ringraziato il quotidiano “Repubblica”, (l’avversario ideale del libro) che il 17 agosto, estrapolando alcune frasi, ha “lanciato” il suo libro per suscitare un’ondata di sdegno e ha ottenuto l’effetto opposto. Infatti, lo stesso quotidiano ha fatto mea culpa, accorgendosi del colossale autogol. “si fosse fatto meno rumore, attorno a questo testo che rimpasta il risaputo, sarebbe stato molto meglio”, secondo Michele Serra. Poi aggiunge due note contraddittorie: bisogna finirla con “l’intolleranza dei virtuosi che si ergono a giudici di tutto e di tutti sta diventando un problema, qui in Occidente. E sta diventando controproducente”.
Nello stesso tempo però elogia, “Pier Luigi Bersani per aver appunto sentenziato come giudice: “se nel Bar Italia è possibile dare dell’anormale a un omosessuale, è possibile anche dare del coglione a un generale?”.
Socci dopo aver rilevato che nella Sinistra italiana (e Repubblica è la conferma) esistono pregiudizi verso la “destra”, e fanno prevalere sempre quel senso di superiorità.
Il problema della sinistra è proprio questo disprezzo per la pancia del Paese (il “Bar Italia”) che ha decretato il successo del libro di Vannacci.
La Sinistra, scrive Socci, “con i suoi complessi di superiorità, sembra aver perso di vista ciò che vive e che pensa la gente comune, quella “maggioranza silenziosa”, liquidata come “Bar Italia”. Anzi Bersani e compagni non si rendono conto che in quel “Bar Italia”, c’è molto popolo di sinistra. Mentre per quanto riguarda la Destra, il problema è opposto: “fermarsi al “Bar Italia”, sintonizzarsi con il libro di Vannacci e credere il suo sia l’unico modo – o il migliore – per rappresentare il pensiero e le aspettative della maggioranza (silenziosa) del Paese”.
Naturalmente a noi interessa quello che riguarda la Destra e Socci dà un consiglio molto interessante: “devono comprendere che dovrebbero andare oltre il “Bar Italia” e che c’è un establishment (intellettuale e non solo) che, pur non essendo di destra, è orientato – in questo momento storico – verso un orizzonte conservatore e che esprime questo suo orientamento con una capacità di elaborazione intellettuale ben superiore a quella del libro di Vannacci. In grado di far breccia nel centrosinistra”. E a questo punto il giornalista di Libero anche lui come Invernizzi, fa riferimento all’importante editoriale sul Corriere della Sera, dello storico e giornalista Ernesto Galli della Loggia. Lo storico ha svolto ripetutamente preziose riflessioni sulla necessità di una cultura conservatrice che contrasti lo sgangherato progressismo il quale vuole “una rivoluzione antropologico-culturale che mira a delegittimare alcune strutture profonde del sentire comune. Quel sentire comune sul quale si è costruita e continua ad essere costruita l’esperienza di vita della grande maggioranza delle persone”.
Secondo Galli il progressismo, ma si può anche chiamare il “partito” del politicamente corretto, vuole modificare i principi dell nostro occidente in particolare l’idea di natura e quello di storia.
Per Socci ci sono anche altri intellettuali di centrosinistra sono contrari alle nuove ideologie progressiste che imperversano negli Usa e in Europa e soprattutto sono irritati dal conformismo “politicamente corretto”, dalla sua intolleranza, contro il pensiero tradizionale o verso chi non si allinea ai nuovi dogmi dei media, oppure a chi semplicemente esprime dubbi e domande.
Qualcosa di simile a Socci l’ha scritta qualche settimana fa il professore Eugenio Capozzi su lanuovabq.it. Sicuramente il libro del generale, che non appare come uno scritto particolarmente scandaloso, ma nemmeno originale o rivoluzionario, né come il frutto di un pensiero articolato. Tuttavia, ci obbliga a fare qualche riflessione sullo stato attuale della dialettica politico-culturale nel nostro paese, e della cultura conservatrice, di destra, liberale, “non progressista” più in particolare. Un testo che appare come lo sfogo di un cittadino comune, “che ha deciso di riunire in un cahier de doleances tutte le sue critiche all’ideologia da lui considerata imposta a senso unico dall’establishment intellettuale, da gran parte della classe politica e dai media mainstream”. (Eugenio Capozzi, Il “manifesto” del gen. Vannacci spopola, un segnale per la destra 21.8.23 lanuovabussolaquotidiana)
E nonostante il testo di Vannacci accusa una certa fragilità e debolezza, alla base della sua efficacia, c’è una capacità di far presa su un bacino di lettori molto ampio e trasversale. “Proprio per il suo approcciare le questioni trattate senza filtri disciplinari, come un quidem de populo, il volume appare come il “manifesto” di un diffusissimo sentimento conservatore “qualunquista” e “populista” (dove questi aggettivi sono usati in senso puramente descrittivo e non valutativo) contro quella che Marcello Veneziani, con argomentazioni di ben maggiore spessore, aveva definito “la cappa”.
Per Capozzi il testo di Vannacci pone delle domande di fondo soprattutto a quel mondo politico e culturale della destra italiana. Domande che meritano presto delle risposte convincenti, “perché da esse dipenderà la sua capacità o meno di consolidare la propria presenza e il proprio consenso nel paese”. Diversamente per il professore, la Destra, rischia di apparire succube della narrazione “politicalcorrettista” e woke, incapace di contrapporre ad essa una lettura della realtà chiaramente alternativa. Alternativa significa “rispondere “no” ai deliri ideologici del relativismo multiculturalista, della dottrina gender, del millenarismo psico-ambientalista, argomentando su basi storiografiche, filosofiche, economiche e giuridiche (delle quali le sue tradizioni culturali non sarebbero assolutamente prive)”.
Certo questo non è un problema esclusivo della dialettica politico-culturale italiana ma di tutto l’Occidente, in quanto l’egemonia para-dittatoriale politically correct/woke lega oggi ovunque tra loro poteri politici, economici, finanziari, istituzionali, accademici estremamente pervasivi e invasivi. Capozzi conclude il suo editoriale ancora con una provocazione. In Italia nonostante la situazione di degrado diffuso nella società, con una classe dirigente deficitaria, esistono ancora molti italiani insofferenti al “pensiero unico”, che vanno a “scegliersi come paladino un ideologo fragile e improvvisato, incanalandosi in una sorta di “eterno ritorno” del populismo emotivo, con tutti i pesanti rischi che ne possono conseguire per la sua credibilità e per la sua capacità di incidere durevolmente sulla realtà”.
DOMENICO BONVEGNA
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