di ANDREA FILLORAMO
Rispondo a chi, fra l’altro, mi scrive: “… Hai avuto proprio ragione quando hai scritto in IMG Press del pericolo che corrono i preti, quello di voler fare a ogni costo carriera. L’ho potuto notare o meglio ne ho avuto conferma nei giorni scorsi quando l’arcivescovo ha fatto dei cambi di preti nelle parrocchie. Quanta invidia e gelosia c’è nel mondo dei preti”.
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Alla “carriera ecclesiastica”, pochi preti, a mio parere, rinunciano. Da tenere presente che quella che chiamiamo, per intenderci, professione del prete, sulla quale si costruisce la carriera ecclesiastica, è da considerare al pari delle altre professioni, ma nello stesso tempo diversa. La diversità consiste nel fatto che, per esercitarla, occorre la nomina da parte del vescovo, che è l’unico e assoluto titolato ad affidare gli incarichi ai preti di una determinata diocesi che è, perciò, investito di ampie facoltà discrezionali in relazione all’organizzazione della Chiesa locale.
A tal proposito il Diritto Canonico nel Can. 524 – per “giudicare l’idoneità”- invita il vescovo a “escludere ogni preferenza di persone”, a “sentire il vicario foraneo ed eseguire le indagini opportune, uditi, se del caso, determinati presbiteri come pure fedeli laici”.
Operazioni queste non sempre facili, anche per eventuale mancanza di spirito collaborativo, e sicuramente non trasparenti, in quanto necessariamente avvengono nel chiuso delle Curie o degli episcopi. Non concreti e non oggettivi, oltretutto, sono i criteri di valutazione o gli strumenti di verifica dei requisiti che un prete deve avere per avere un qualsiasi incarico in una diocesi.
La trasparenza – lo sappiamo – non appartiene, però, alla Chiesa.
Se a essa, però, diamo il significato di un principio che vuol dire franchezza, integrità, correttezza, apertura, senso di responsabilità, rapportarsi correttamente agli altri e se il suo contrario vuol dire: omertà, oscurità, opacità, segretezza, disonestà, può e deve essere una virtù di un vescovo.
Lo sappiamo: non è sempre facile per il vescovo non essere condizionato, nelle nomine, dalle pressioni, dalle immancabili “cordate clericali”, dalle “lobby curiali”, di cui talvolta egli stesso può o si deve servire per garantire e consolidare i suoi stessi poteri pastorali. Né, tanto meno, è facile per lui, quando, per potenziare o per stabilizzare la sua indispensabile leadership episcopale, è obbligato a scegliere i suoi collaboratori fra quelli che egli ritiene a lui fedeli e ubbidienti e a isolare, perciò, i presunti disubbidienti o turbolenti.
Spiegabili, comprensibili ma non accettabili, quindi, sono le invidie, le gelosie, la competizione, l’arrivismo e l’ambizione di carriera, ai quali non tutti i preti riescono a sfuggire.
Certo che fare il vescovo oggi è estremamente difficile, tant’è che risulta che il 30% dei sacerdoti che Papa Francesco sceglie per essere ordinati come vescovi rifiuta l’offerta.
Il cardinale canadese Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, fra i vari motivi della rinuncia, fa notare che essi “preferiscono non rischiare di causare danni alla Chiesa” e conclude: “si deve a diverse ragioni che devono essere rispettate”.