Era una caldissima domenica quel 19 luglio 1992 quando, alle 16.58, un boato riecheggiò in una Palermo semi deserta.
Un’intensa colonna di fumo si alzò da via D’Amelio, come ricorda Vincenzo Policheni, che quel giorno era in servizio di volante poco distante dal luogo dell’esplosione. Al suo arrivo ebbe la sensazione di essere su uno scenario di guerra: polvere, fumo, fiamme, vetri in frantumi, parte dei palazzi smembrati. Verso di lui accorse un uomo, che sembrava quasi essere un fantasma. Era l’agente Antonino Vullo, poliziotto della scorta del giudice Paolo Borsellino, unico sopravvissuto.
A distanza di 57 giorni dalla strage di Capaci, la mafia era tornata ad uccidere. Lo aveva fatto imbottendo di esplosivo un’auto e posizionandola sotto la casa in cui vivevano la madre e la sorella del giudice Borsellino. La deflagrazione travolse lui e i cinque poliziotti che lo proteggevano: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Questo nuovo attentato sconvolse Palermo e l’Italia intera. “La sensazione fu che la mafia poteva colpirci quando e come voleva”, racconta Vincenzo, oggi vice ispettore della questura di Cagliari, ricordando quel tragico giorno. L’episodio però contribuì a svegliare la coscienza dei palermitani, che da quel momento si resero conto di quanto fosse necessaria una rivoluzione culturale, iniziata sotto le bombe della mafia e arrivata sino ai giorni nostri.
Sono passati 31 anni dalla strage di via d’Amelio a Palermo nella quale persero la vita Paolo Borsellino e cinque dei sei membri della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. I cinque agenti stavano accompagnando il giudice in visita a casa della madre.
Nelle parole di Agnese Borsellino si evince l’affetto che il giudice e sua moglie provavano per questi uomini e donne: “Erano persone che facevano parte della nostra famiglia. Condividevamo le loro ansie e i loro progetti. Era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio. Mio marito mi disse ‘quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro’, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero
quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi”.
Sono stati tutti insigniti della Medaglia d’Oro al Valor Civile per aver assolto il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere pur consapevoli dei gravi rischi cui si esponevano a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze di Polizia.
Inoltre, lo Stato ha onorato il sacrificio delle vittime, con il riconoscimento concesso a favore dei loro familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.
AGOSTINO CATALANO
Il capo scorta assistente capo Agostino Catalano aveva 43 anni ed era stato sposato con Maria Pace ma era rimasto vedovo tre anni prima. La moglie era morta per un tumore, lasciandolo solo con i tre figli, Emanuele, Emilia e Rosalinda. Nel 1991 si sposò con Maria Fontana. Per far fronte alle esigenze economiche della famiglia aveva cominciato a prestare servizio come agente di scorta e solitamente era assegnato alla scorta di padre Bartolomeo Sorge. Il giorno della Strage di via d’Amelio era in ferie, ma per una tragica fatalità era stato chiamato al fine di raggiungere un numero sufficiente per la scorta del giudice Borsellino. Appena poche settimane prima aveva salvato un bambino che stava per annegare in mare, dinanzi alla spiaggia di Mondello.
WALTER EDDIE COSINA
L’agente scelto Walter Eddie Cosina nasce a Norwood, in Australia, da una famiglia di origine triestina emigrata nel dopoguerra. A metà degli anni 1960 la famiglia ritorna in Italia, a Muggia. Rimasto orfano di padre a soli 21 anni è costretto a rinunciare al corso di formazione per divenire operatore di polizia giudiziaria. Nel 1983 entra nella Digos, a partire dal 1990 fa parte del nucleo anti-sequestri e in seguito prende servizio presso la divisione anticrimine.
Dopo la Strage di Capaci vennero richiesti agenti di scorta in tutta Italia e Cosina accetta di spostarsi da Trieste a Palermo. Nel maggio del 1992 fa richiesta per entrare nella direzione investigativa antimafia. Il giorno della strage, per un crudele destino, lascia riposare un collega che doveva dargli il cambio e decide di prendere servizio al suo posto come agente di scorta del giudice Paolo Borsellino. Lascia la moglie Monica.
CLAUDIO TRAINA
Dopo aver svolto il servizio militare nell’aeronautica, Claudio Traina decide di entrare in polizia giovanissimo. Dopo aver frequentato il corso di formazione presso la scuola di Polizia ad Alessandria, entra a far parte della squadra volanti a Milano per poi essere trasferito, su sua richiesta, a Palermo. E’ il 1990 quando decide di farsi assegnare all’ufficio scorte. Aveva solo 27 anni ed era sposato e padre di un bimbo di solo undici mesi, Dario, che ora vive in Brasile. Suo fratello Luciano, agente della Squadra Mobile di Palermo, ora in pensione, dopo la strage
fece parte del pool di poliziotti che catturarono il boss Giovanni Brusca.
EMANUELA LOI
L’agente Emanuela Loi fu la prima donna poliziotto a morire in una strage di mafia. Entrò nella Polizia di Stato nel 1989 e frequentò il 119º corso presso la Scuola Allievi Agenti di Trieste. Fu trasferita a Palermo due anni dopo. Tra i diversi incarichi le furono affidati i piantonamenti a Villa Pajno a casa dell’allora parlamentare Sergio Mattarella, la scorta alla senatrice Pina Maisano (vedova di Libero Grassi) e il piantonamento del boss Francesco Madonia. Dopo la strage di Capaci, nel giugno del 1992 venne affidata al magistrato Paolo Borsellino. Aveva solo 24 anni quando cadde nell’adempimento del proprio dovere, era una ragazza solare, sempre sorridente con un’aria sbarazzina e spensierata. Sognava di tornare presto nella sua Cagliari, proprio per questo aveva richiesto di essere lì trasferita. Lasciò i genitori, una sorella ed un fratello ed il fidanzato con il quale sperava presto di sposarsi. Amava molto il suo lavoro, pur essendo consapevole del pericolo che correva ogni giorno.
VINCENZO LI MULI
Vincenzo amava le moto e le auto da corsa ma da sempre il suo sogno era quello di diventare poliziotto. Ci riuscì nel 1990, e nella primavera del 1992 fu assegnato alla Questura di Palermo. Era fidanzato con Vittoria, il suo grande amore, con cui voleva sposarsi e costruire una famiglia. Guardando le immagini della strage di Capaci in televisione, pianse amaramente davanti alla vigliaccheria di chi sceglieva il tritolo e non permette di difendersi e di lottare.
Fu in quel momento che prese la sua decisione e nonostante i rischi che sapeva di correre, si fece assegnare alla scorta del giudice Borsellino. Aveva solo 22 anni ed era il più giovane della squadra.
L’unico sopravvissuto di quel giorno è l’agente Antonino Vullo, che racconta l’incubo di quel giorno così: “Il giudice è sceso dalla macchina e si è acceso una sigaretta. I ragazzi si sono messi a ventaglio intorno a lui per proteggerlo, come sempre. Sono entrati nel portone, poi… sono uscito dall’auto distrutta. Ho camminato e camminato. Ero disperato, vagavo. Gridavo. Ho sentito qualcosa
sotto la scarpa. Mi sono chinato. Era un pezzo di piede. Mi sono svegliato in ospedale. Ogni volta, quando cade l’anniversario, sto malissimo”.
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