LA PESCA DELLA DISCORDIA OVVERO LA VERITA’ FA MALE

Non so se sia calzante ma lo spot dell’Esselunga mi ha fatto venire in mente quel modo di dire, “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, il riferimento è a tutta quella cultura che vuole minimizzare la tragedia del divorzio, ma che poi basta un nulla per far crollare, la grande bugia che divorziare fa bene. Lo spot ha acceso il dibattito.

Qualcuno ha scritto che si tratta soltanto di un messaggio commerciale, che specula sul dolore dei bambini. Vogliono che facciate la spesa. Punto. Usano il dolore e la famiglia per darvi un pugno allo stomaco. Un brand non spende milioni per rendervi persone migliori, ma consumatori migliori e fedeli. Fosse stato lo spot del Ministero della Famiglia o della Chiesa Cattolica avrei capito le polemiche e il tifo calcistico, ma visto che è uno spot per aumentare i clienti (e non potrebbe essere altro che questo) mi viene quasi da piangere nel vedere che ci cascate. C’è del vero in questo, ma rimane sempre che gli ideatori dello spot e “gli alti piani di Esselunga che lo hanno approvato: anche loro, come Emma e il suo papà, hanno avuto un coraggio da leoni a proporre uno spot così controcorrente, così non convenzionale, così… normale, ha scritto Tommaso Scandroglio su Lanuovabq.it. Poteva diventare un boomerang per i loro intenti commerciali di vendita. Per la verità temevo che i vertici Esselunga, dopo la reazione scomposta di una certa parte politica, ritirasse lo spot per non apparire reazionaria e retrograda come a suo tempo hanno fatto quelli della Barilla, per un altro caso simile. Invece a resistito, onore dunque a Esselunga.

Tuttavia di questa faccenda a me interessano le reazioni, che hanno provocato il semplice spot pubblicitario. Sia per quanto riguarda chi pensa che sia normale separarsi senza pensare ai figli, e chi invece pensa semplicemente che è giusto magari non separarsi per il bene dei figli. Poi era inevitabile che il mondo politico dibattesse, anche scontrandosi su un tema così divisivo, appena sfiorato dallo spot. Anzi non trovo nulla di sconveniente in questo, l’importante che il dibattito sia costruttivo e non scada nella solita caciara da bar.

Bene allora iniziamo con i commenti, (Come altre volte, farò una sintesi), naturalmente non starò qui ad esporre quelli provenienti dal sinistrume che subito si è scagliato contro lo spot demonizzandolo. Che esplodesse il caso, era prevedibile, c’è un dogma intoccabile, il diritto al divorzio non si tocca.“La Sinistra fa sempre così  – scrive Andrea Zambrano –  tutte le volte che vede una presentazione della realtà che non combacia con la sua ideologia deve sempre ricorrere allo strepito e al livore censorio nella terribile paura che qualcuno metta in discussione quelle che lei ha deciso debbano essere conquiste sociali, quando semmai sono miserie umane o poco più”. (Esselunga, che spot! Ma resista alla rieducazione, 27.9.23, lanuovabq.it)

Comincio con il professor Eugenio Capozzi, che in poche parole ha sintetizzato la questione. “Viviamo in società fondate ormai su castelli di bugie ideologiche che ci promettono di diventare onnipotenti a forza di “diritti” e “autodeterminazione”. Poi improvvisamente, per vie misteriose (lo Spirito soffia dove vuole) la verità apre una breccia, un bambino dice che il re è nudo, che siamo fatti per ben altro. Il castello dell’ideologia crolla rovinosamente al suolo. La semplice verità è lo scandalo, la bestemmia indicibile che il circo egemone di questo mondo non può tollerare. Quando essa affiora, eludendo ogni sorveglianza e censura, il sistema di potere fondato sull’ideologia e i suoi infelici servi reagiscono come l’indemoniato di Cafarnao, come i vampiri alla vista dell’aglio”.

E poi in un altro commento ha inteso precisare: “La geniale campagna pubblicitaria dell’Slunga ha fatto toccare con mano la vocazione ultima dell’arcobalenismo: ribaltare tutto ciò che è stato per cinquemila anni dopo l’uscita dalle caverne. La coppia con figli che scoppia non deve avere nulla di drammatico o commovente.

Il nichilismo iconoclasta della sinistra e delle élite ha deciso: è meglio essere divorziati che sposati e se una bambina soffre se ne faccia una ragione giacché la ricerca della felicità dei genitori è più importante della sua serenità.

In una nota “Il sibilo di una Esse molto lunga”, il Giornale di oggi, sottolinea la riuscita dello spot, E chi lo avrebbe mai detto che a remare contro la corrente del pensiero unico sarebbe stata una pubblicità che è riuscita a mischiare poesia, marketing e verità, tutta Italia sembra non riesca a parlare altro che del video della Esselunga – complimenti all’ufficio comunicazioni – quel dito piantato nel cuore ferito di un’Italia che non può più vantarsi del suo tesoro più grande, la famiglia, ha fatto scorrere tante lacrime di commozione clandestina e bava rabbiosa ostentata dei proconsoli del pensiero unico conformista, ci sono parole che appartengono al nostro Dna, parole come famiglia, mamma, amore, eppure è pieno di gente che si è lasciata convincere che si tratti di qualcosa di vecchio, allora old is the new new”.

Mentre Domenico Airoma sul blog di alleanzacattolica.org, sostiene che nello spot accade “l’inimmaginabile. Chi ha pensato lo spot si sarà chiesto quale potesse essere il desiderio meno commerciale, più naturale e quindi più vero per un bambino. La risposta – di una semplicità tanto evidente, quanto potente – è in quella pesca acquistata da una bambina e offerta al papà come regalo della mamma: il valore di quella spesa è immenso per quella bambina, ed è il desiderio di far riappacificare i propri genitori, separati o divorziati.
E qui apriti cielo! Con un solo frutto (una banale pesca) si mette un discussione tutto un mondo di conquiste “civili”! Quei genitori vengono messi sul banco degli imputati! Alla gogna sociale! Insomma, è bastata una pesca per far insorgere tutti i bacchettoni delle “famiglie fai da te”.
La realtà è che quello spot ha riproposto in pochi minuti i drammi silenziosi che vivono tanti bambini, sacrificati molto spesso sull’altare dell’egoismo degli adulti, schiavi di amori, appunto, “da supermercato”.
Si punta il dito contro chi ha voluto dare voce alla bambina di una famiglia che non c’è più. Magari solo per cercare di fare una pubblicità che rispecchiasse il mondo reale e non quello degli arcobaleni ideologicamente gioiosi. E si preferisce non fare i conti con la realtà. Lo scandalo, invece, è il reale che presenta il conto. Ma per osservarlo, occorre lo sguardo lungo, non solo la “Esse”.
(“Esselunga e la pesca del peccato”, 29.9.2023)

Anche su atlanticoquotidiano.it, si punta il dito sul dibattito vigilato della cultura sinistra: “siamo talmente immersi nella cultura woke e politicamente corretta, che basta pochissimo per urtare la suscettibilità dei “buoni e giusti”. Scrive Federico Punzi, “Basta uno spot senza bimbi di colore, senza coppie Lgbtq, senza slogan green e ammennicoli politicamente corretti vari, per farli uscire pazzi. Bollato subito come “tradizionalista” e “contro il divorzio”, lo spot di Esselunga di cui molto si discute in queste ore, per una volta non mostra famiglie felici e coppie perfette, ma la vita reale, a volte dolorosa, limitandosi molto delicatamente a rimettere al centro i bisogni dei bambini”. (“Lo spot di Esselunga che fa uscire pazzi i benpensanti woke”, 27.9.23)

Lo spot gli è sembrato un affronto alla loro idea di progresso elevata a dogma indiscutibile, al pensiero fluido-inclusivo che in realtà esclude. Qualcuno lo ha visto come una campagna per attaccare il “diritto” al divorzio orchestrata da chissà quale gruppo di fondamentalisti cattolici, se non addirittura dal perfido governo Meloni.

Sullo stesso blog (“Perché lo spot di Esselunga merita tutta l’attenzione che ha avuto”, 30.9.23), Rocco Todero, propone una singolare riflessione e nota che tra le tante reazioni allo spot vi è stata quella di chi ha sottolineato l’eccessiva attenzione che la pubblicità avrebbe catalizzato nel dibattito pubblico a discapito di temi politici ritenuti più rilevanti e meritevoli di maggiore coinvolgimento da parte dei cittadini. Insomma, sui social, in tv, si sta dando troppa attenzione a un tema inconsistente, invece di quello che si dovrebbe dare ai temi economici, ad esempio alla Nadef.

In pratica per Todero c’è questa inconsueta attenzione per lo spot di Esselunga, perchè “parla della vita concreta, vissuta da ciascuno di noi, nessuno escluso, e fa riferimento ad esperienze per rappresentare e commentare le quali non occorrono competenze particolari o impegno civico profuso ventiquattro ore al giorno”.

Quello spot parla di una sfaccettatura della vita, della vita semplice, all’interno della quale ciascuno può specchiarsi o non riconoscersi. L’attenzione che quello spot ha catalizzato è la testimonianza di come la sfera privata sovrasti quella pubblica e del fatto che ciascuno di noi percepisca il vissuto privato con maggiore intensità e sensibilità della dimensione pubblica e dell’interesse per la politica”.

Del resto a un cittadino che ha una comprensione limitata non possiamo chiedere che cosa sia la Nadef, di preoccuparsi del trattato Mes, di esprimere un giudizio sullo spread, sui vincoli europei, sulle tecniche per frenare l’inflazione. In buona sostanza, molti cittadini si disinteressano dei temi politici sia perché non possono comprenderli a fondo sia perché li percepiscono distanti dal loro vissuto quotidiano e, in ultimo, perché hanno interiorizzato un senso profondo di sfiducia per il quale non vale più la pena di parlare di alcuni questioni pubbliche, tanto non cambierà mai nulla.

Invece allo spot di Esselunga, i cittadini hanno riservato tutta questa attenzione, perché “parla della famiglia, della prima dimensione di vita all’interno della quale siamo immersi sin dalla nascita e non può che suscitare attenzione da parte di chiunque”. Infatti come scrive la nuovabq.it, di oggi “il successo inaspettato dello spot Esselunga ci comunica una grande verità: la gente ha sete di bene ed è stufa di modelli di vita estremi, di politicamente corretto. Ha voglia di normalità, non di fluidità. Perciò tenetevi Tiziano Ferro, noi ci teniamo Emma”. (Tommaso Scandroglio, “Il successo di Emma ci dice che la gente è stufa di falsità”, 30.9.23)

Il bene vince sempre, una banalità che porta ad alcune conclusioni, tipo che “la gente ha un’arsura desertica di bene, anche se inespressa. Le persone vogliono sperare, seppur a volte solo nell’angolo più remoto del loro cuore, che una coppia divorziata – a volte la loro stessa coppia – possa tornare insieme; che si possa vivere sotto lo stesso tetto in serenità, sebbene nelle avversità, per sempre […]. Continua l’editoriale di Scandroglio, “La gente ha urgente bisogno di storie edificanti, di modelli puliti e solidi, di ideali alti, di credere che il bene esista e che si possa vivere. Che la realtà non è fatta solo da sogni infranti, da scelte sbagliate per sempre, da lutti insuperabili, da divisioni insanabili, da traumi vissuti nell’infanzia che sono un buco nero che tutto risucchia. C’è la possibilità di un riscatto, di vivere una vita diversa. Basta avere un po’ di coraggio (e molta fede), come quello dimostrato dal padre di Emma che non ha paura di fare il primo passo per ravvicinarsi alla moglie, rischiando così di fare la figura del debole, dimostrando invece grande fortezza”.

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com