Verona – “Spese legali compensate per violazione dei criteri di forma e redazione degli atti giudiziari”. Ha deciso così un giudice di pace di Verona facendo valere le nuove regole che da agosto disciplinano la scrittura di atti giudiziari, richiamando in particolare gli articoli che fissano le dimensioni dei caratteri, dell’interlinea tra una riga e l’altra, e i margini; e l’articolo che prescrive l’attenzione alla sinteticità. Il provvedimento arriva da Verona ed è di un giudice di pace che ha accolto una richiesta di ingiunzione: un atto di una paginetta che però dà attuazione ad un ‘vincolo’ contro cui gli avvocati si erano scagliati duramente.
Il tetto a parole e pagine degli atti giudiziari, nel giugno scorso, era stato contestato dall’Associazione Nazionale Forense che aveva definito la novità come “il punto più basso di una riforma del processo civile nata sotto una cattiva stella e che peggiora di giorno in giorno sotto gli occhi attoniti degli operatori del diritto”. E alla fine è successo. Il giudice di pace di Verona di fatto ha ritenuto che non fossero rispettati carattere e interlinea degli atti giudiziari in questione. E ha “compensato” le spese tra le parti in causa: che significa che ciascuno dei due contendenti deve pagare le proprie spese e chi ha avuto ragione non rientrerà delle spese legali sostenute per andare in causa. Di solito non funziona così: normalmente quando uno alla fine ha ragione, a pagare le spese legali anche per il ‘vincitore’ è la parte che soccombe. E quindi, al momento della sentenza, se uno ha ragione si vede rimborsare tutte le spese sostenute, come la parcella dell’avvocato, il ‘contributo unificato’, le spese per marche da bollo e notifiche, spese per i consulenti. Questa volta no, nessun rimborso. E questo per un atto compilato non a dovere rispetto alle nuove regole.
“L’idea di ridurre i principi di chiarezza e sinteticità ad una sterile fissazione di limiti del numero di pagine e del numero di caratteri per gli scritti difensivi denota una grave miopia ed una visione contabile del processo”, aveva avvertito a giugno il segretario generale dell’Anf Giampaolo di Marco. Ad esempio, per un atto di citazione, se prima si potevano scrivere 100 pagine oggi si deve stare entro i 50.000 caratteri, spazi inclusi. E ora la novità che arriva da Verona sta suscitando un vespaio nel mondo degli avvocati.
Sempre Di Marco aggiungeva: “La meccanica previsione di un tetto al volume degli atti di parte, in modo meccanico e senza introdurre differenziazioni che tengano conto della tipologia, del valore e della complessità delle diverse tipologie di controversie, non solo tradisce la previsione della norma delle disposizioni attuative del codice di rito che si vorrebbe attuare, ma si traduce in una grave mutilazione del diritto di difesa”.
La rabbia dell’Associazione Forense: Intervenga Nordio
Di Marco (ANF) su provvedimento giudice contro forma degli atti
“Al danno la beffa. Vanto un credito e mi pago le spese. Perché? Perché in Italia da qualche tempo la Giustizia è un format, non un potere dello Stato, o meglio è un potere chiuso in sinteticità e chiarezza, in caratteri e spazi inclusi, insomma un format. Poco importa se dietro al format ci sia un debito o un credito, una vita o un eternità. L’importante sono sinteticità e chiarezza, in poche righe e senza dar troppo fastidio a chi deve leggere”. Questo il duro commento rilasciato alla Dire da Giampaolo Di Marco, segretario generale dell’Associazione nazionale forense, dopo il provvedimento di un giudice di pace di Verona che ha accolto una domanda di ingiunzione facendo valere le nuove regole che da agosto disciplinano la scrittura di atti giudiziari, richiamando in particolare gli articoli che fissano le dimensioni dei caratteri, dell’interlinea tra una riga e l’altra, e i margini; e l’articolo che richiama l’attenzione alla sinteticità. “Talvolta- aggiunge Di Marco- si pensava che l’ingiustizia era un torto subito, ma sempre più spesso sembra un torto subito anche dalla Giustizia”.
In sintesi il giudice di pace ha stabilito che le spese legali sono “compensate per violazione dei criteri di forma e redazione degli atti giudiziari”. Un ‘vincolo’ contro cui gli avvocati si erano scagliati duramente, tanto che l’Anf aveva definito la novità come “il punto più basso di una riforma del processo civile nata sotto una cattiva stella e che peggiora di giorno in giorno sotto gli occhi attoniti degli operatori del diritto”.
Ora “chiediamo al ministro Nordio di intervenire prima che si inneschi una deriva dannosa, burocratica e potenzialmente lesiva del diritto di difesa. Avevamo avvertito sui rischi di questa riforma: non si è voluto ascoltare chi tutti i giorni assicura il diritto di difesa dei cittadini e ora è urgente farlo”. Conclude Di Marco: “Non serve accanirsi sugli avvocati con questioni che rischiano di distoglierli dal vero cuore della loro attività in nome di una ‘sinteticità’ che altro non è che una coartazione dei principi di difesa”.