L’abusivismo edilizio è un’autentica piaga che tiene in ostaggio il territorio, la legalità e lo sviluppo del nostro Paese ormai da molti decenni. Nonostante la crisi edilizia e quella pandemica, si mantiene su livelli preoccupanti, addirittura in crescita come valori assoluti. I dati nel nostro report “Abbati l’abuso 2023”.
Il Rapporto “Abbatti l’abuso 2023” rappresenta la terza edizione del lavoro di ricerca e di analisi avviato nel 2018 da Legambiente sul problema, ancora oggi irrisolto, delle mancate demolizioni degli immobili costruiti abusivamente dopo la scadenza, nel 2003, del terzo e, allo stato attuale, fortunatamente, ultimo condono edilizio sciaguratamente approvato nel nostro Paese.
Sostanzialmente a frenare il processo di risanamento delle aree massacrate da decenni di anarchia urbanistica e illegalità è quella politica, locale e nazionale, ancora ostaggio di interessi a breve e brevissimo termine. Tra tentativi di condono, più o meno espliciti, proclami a favore di un falso “abusivismo di necessità” e disinteresse al tema, si continua – nei fatti – ad avallare il mattone illegale. Nell’ultimo rapporto sul BES (Benessere Equo e Sostenibile) dell’Istat, realizzato in collaborazione con il Cresme, l’abusivismo edilizio è stimato in crescita del 9,1%. E la situazione nelle regioni del Sud viene definita come “insostenibile”, con 42,1 abitazioni costruite illegalmente ogni 100 realizzate nel rispetto delle regole.
Fortunatamente è cambiata la sensibilità collettiva rispetto ai temi ambientali. La maggioranza delle persone considera lo scempio del paesaggio e la razzia di suolo un fenomeno deprecabile, mentre la cura e la valorizzazione del territorio sono al centro di un’idea nuova e vincente di turismo e di economia. Sempre più evidente inoltre come gli eventi estremi sempre più frequenti, conseguenza del cambiamento climatico, in particolare alluvioni e frane, stiano mettendo in discussione in modo inequivocabile il “diritto” alla casa abusiva, costruita come e dove meglio si crede.
A fronte di questa nuova coscienza, però, le demolizioni sono ancora poche, come dimostrano i dati raccolti direttamente dai Comuni ed elaborati in nel nostro Rapporto, in cui abbiamo deciso di concentrare l’attenzione sulle cinque regioni più esposte all’invasione del mattone illegale: le quattro a tradizionale presenza mafiosa Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e il Lazio, che figurano stabilmente nelle prime posizioni della classifica sull’illegalità ambientale stilata ogni anno nel Rapporto Ecomafia.
Sintesi dei dati
Dal 2004 a dicembre 2022 nelle regioni più a rischio – Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia – il numero delle demolizioni eseguite è stato del 15,3% dei 70.751 immobili abusivi per i quali è stato stabilito l’abbattimento da parte dei 485 Comuni che hanno risposto in maniera completa al monitoraggio civico promosso da Legambiente, pari al 24,5% del campione totale. Sommando anche le risposte parziali, il numero totale delle ordinanze emesse si attesta a 83.430 con una media di 1 ordinanza ogni 310 cittadini. Rilevante l’incidenza del mattone illegale nei comuni costieri dove si arriva ad una media di 395,9 ordinanze di demolizione a Comune, cinque volte quella relativa ai Comuni dell’entroterra. Osservate speciali anche le isoli minori dove si registra un abuso ogni 12 abitanti, ma dove la risposta al problema attraverso le demolizioni è maggiore: è del 20,5% (contro una media nei comuni delle cinque regioni del 15,3%). Sotto la media nazionale, invece, gli abbattimenti eseguiti nei sette Municipi di Roma che hanno fornito i dati sull’abusivismo edilizio nei loro territori: a fronte di ben 2.676 ordinanze di demolizione emesse ne sono state eseguite solo 323, pari al 12,2%.
Proposte al governo
Di fronte a questo quadro desolante, al Governo Meloni chiediamo: 1) più ruolo e responsabilità ai prefetti, restituendo il senso originario all’art.10bis della Legge 120/2020, se necessario, anche con un nuovo intervento legislativo. La norma era stata approvata dal Parlamento per fare fronte alle mancate demolizioni da parte dei Comuni degli abusi non sanabili nonostante tre condoni edilizi, l’ultimo nel 2003, con un’assunzione dell’onere da parte dello Stato. Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della norma, un’improvvida circolare del ministero dell’Interno, ne ha di fatto bloccato l’applicazione, restringendola solo agli abusi edilizi accertati dopo l’entrata in vigore della legge e “salvando” così decine di migliaia di manufatti illegali. 2) Danno erariale. Il ruolo della Corte dei conti è decisivo, per verificare, quantificare e imputare in maniera sistematica l’eventuale danno erariale causato dalle mancate entrate nelle casse comunali del corrispettivo economico dovuto per l’occupazione da parte degli abusivi di immobili non demoliti e diventati di proprietà comunale. 3) Prescrizione e demolizione. Per quanto riguarda le demolizioni per via giudiziaria, alla base degli interventi deve essere posta la sentenza che accerta il reato e non, invece, quella di condanna del reo. 4) Ricorsi al Tar. È necessario prevedere lo stop all’iter di demolizione solo in presenza di un provvedimento di sospensione da parte di un tribunale, altrimenti non c’è motivo per bloccare le procedure. 5) Chiusura delle pratiche inevase di condono. Legambiente propone di istituire un fondo di rotazione con uno stanziamento pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026. 6) Emersione degli immobili non accatastati. L’Agenzia delle entrate rende disponibili le informazioni relative ai fabbricati non accatastati acquisite sulla base delle immagini aeree e delle verifiche di cui al DL 78/2010, ai ministeri dell’Ambiente e Sicurezza energetica, delle Infrastrutture, ai Comuni e ai Prefetti per la verifica della regolarità edilizia e non solo fiscale.