Leggevo le ultime notizie da Gerusalemme, nonostante la tregua in corso tra esercito israeliano ed Hamas per lo scambio degli ostaggi, si registra l’ennesimo attentato terroristico da parte di due palestinesi contro civili israeliani, al momento tre morti e otto feriti gravi. E’ uno stillicidio di morti e feriti che dura da 70 anni, come ha dimostrato in un libro ben documentato Giulio Meotti. (“Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d’Israele”, Lindau, 2009)
“Dal 7 ottobre alla scorsa settimana sullo Stato ebraico sono caduti circa 9mila missili, tra Holon, Tel Aviv, Rishon Lezion, Ashdod, Ashkelon, Petah Tikvah, nonostante l’occupazione del quadrante nord della Striscia”. È appunto questo scenario a preoccupare perché, se le tregue e la pace dovessero lasciare sul campo una specie di semilavorato inconcludente, si sarebbe esattamente al punto di prima, anzi: sarebbe peggio, vista l’esacerbazione delle rispettive posizioni, la rabbia montante delle popolazioni islamiche, ma anche il timore israeliano di non aver affatto eliminato la possibilità di subire nuovi attacchi. Una non-bonifica dal terrorismo non può consentire una pax duratura, nemmeno con la creazione (difficile, ma non impossibile) di un doppio Stato”. (Albert Bozo, TREGUA A GAZA/ Le “impossibili” condizioni per avere uno Stato palestinese guarito dal terrorismo, 30.11.23, IlSussidiario.net)
L’attentato terroristico del 7 ottobre scorso ha segnato uno spartiacque nella lunga guerra Israele-palestinese. Alcuni l’hanno definito la “Pearl Harbor” di Israele. L’11 settembre di Israele. La tranquilla mattinata dello Shabbat di Simchat Torah, che concludeva la festa ebraica dei Tabernacoli, si è improvvisamente trasformata in un bagno di sangue. Bilancio finale almeno 1.200 morti, e 2.700 persone di 35 nazionalità, sono rimaste ferite, è stato il giorno più letale per gli ebrei dai tempi della Shoah. La barbarie dell’attacco di Hamas è stata così senza precedenti che persino il mondo è stato brutalmente, seppur fugacemente, scosso dalla sua consueta apatia e sconvolto dall’orrore.
In queste settimane si è fortemente dibattuto in Israele su come comportarsi contro un nemico come Hamas. “Vincere significa distruggere Hamas, i suoi leader, i suoi terroristi e i suoi sostenitori con ogni mezzo necessario, e proteggere il territorio da dove i miliziani sono entrati in azione in modo che non possa essere utilizzato per compiere attacchi simili”.Questo è il punto fondamentale oggi per il governo israeliano. E qui sorgono diversi interrogativi, a cominciare del coinvolgimento dei civili palestinesi o israeliani nella guerra contro Hamas che sarà inevitabile. E poi ci sono gli ostaggi in mano ai terroristi di Hamas, che potrebbero subire ritorsioni da parte dei loro carcerieri. Naturalmente l’esercito israeliano avrà valutato tutto questo prima di entrare nella Striscia di Gaza per stanare il nemico. Del resto, “È risaputo che l’IDF [Le forze di difesa israeliane] avvisa i civili palestinesi tramite volantini, messaggi di testo e persino telefonate di evacuare le aree vicine agli obiettivi militari prima che vengano attaccati. Mentre l’IDF fa di tutto per ridurre al minimo il numero delle vittime civili, Hamas e altri gruppi terroristici palestinesi fanno tutto il possibile per massimizzarlo, non solo uccidendo indiscriminatamente gli israeliani, ma anche nascondendosi tra la propria popolazione civile e usandola come scudi umani”. (Andree Villeneuve, Quando la neutralità è immorale: Israele, Hamas e il problema dell’equivalenza morale,26.11.23, GatestoneInstitute.org)
Tuttavia, l’atteggiamento di Israele sta facendo sorgere delle reazioni a catena nel mondo, quasi tutte contro e a favore del popolo palestinese. Una indignazione di breve durata. “Non appena Israele ha dato inizio alla sua risposta militare alla dichiarazione di guerra di Hamas, sono scoppiate manifestazioni filo-palestinesi in tutto il mondo, molte delle quali si sono rapidamente trasformate in festeggiamenti contraddistinti dall’odio contro gli ebrei. Qualcuno ha addirittura negato che il massacro del 7 ottobre abbia avuto luogo, nonostante le numerose testimonianze oculari dei sopravvissuti”. GatestoneInstitute, ha monitorato le reazioni del mondo cattolico, in particolare quelle dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Gerusalemme, che sostanzialmente si sono mantenuti neutrali. Atteggiamento, forse giustificabile, visto che si trovano a convivere in prima linea con entrambi i contendenti.
I Patriarchi e i capi delle Chiese potrebbero rispondere che non possono condannare apertamente Hamas e altri gruppi jihadisti palestinesi perché una tale condanna metterebbe in pericolo i cristiani palestinesi che vivono tra loro. Sì, d’accordo, ma questo non può essere una scusa per falsificare la narrazione del conflitto attraverso una discutibile equivalenza morale […]”
Anche se i Patriarchi hanno condannato inequivocabilmente qualsiasi atto che prenda di mira i civili palestinesi e israeliani. Il 24 ottobre il Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha diffuso una “Lettera all’intera diocesi“. A suo merito, Pizzaballa ha brevemente affermato (pur senza nominare i responsabili) che “quanto accaduto il 7 ottobre nel sud di Israele non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per un’atrocità del genere“.
“Se qualcuno ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi, altri hanno optato per la neutralità, ritendendo una posizione più caritatevole e “cristiana” quella di non schierarsi e di condannare in egual misura la perdita di vite umane da tutte le parti”.
Si tratta di una posizione di equivalenza morale, “che sta a indicare che entrambe le parti in conflitto condividono la stessa colpa e l’equivalente responsabilità morale per le conseguenze delle loro azioni. Razionalmente, questa è una strada facile da percorrere. Ma è moralmente giusta?”. Una posizione sostenuta non solo da un certo mondo cattolico, ma anche dalla sinistra, che da tempo flirta con la causa palestinese. Si equivoca sull’improvvisa esplosione di violenza, come se entrambe le parti fossero ugualmente colpevoli.
L’Ambasciata israeliana ha ammonito che, data la portata del massacro di Hamas in corso, “l’uso di ambiguità linguistiche e di termini che alludono a una falsa simmetria dovrebbe essere deplorato”. La risposta di Israele all'”orribile crimine di guerra” è stata una legittima difesa e “tracciare parallelismi dove non esistono non è pragmatismo diplomatico, è semplicemente sbagliato”. In pratica per chi ha manifestato in questi giorni nelle piazze, “Israele dovrebbe sopportare il peso degli attacchi barbari e lasciare che Hamas la faccia franca per gli omicidi, interrompendo immediatamente la sua risposta militare. Non importa il fatto che Hamas abbia iniziato unilateralmente e brutalmente la guerra invadendo Israele e commettendo crimini senza precedenti contro una malcapitata popolazione civile”.
Le ambasciate israeliane e il governo reclamano un po’ di chiarezza morale, distinguendo senza confusione e ambiguità, cosa è successo, chi fossero gli aggressori e chi le vittime”.
Tuttavia, Papa Francesco, commentando il conflitto a Gaza, ha chiesto il rilascio di tutti gli ostaggi presi dai militanti di Hamas e ha affermato che Israele ha il diritto di difendersi. Inoltre, ha anche espresso grave preoccupazione per l’assedio imposto da Israele a Gaza. “Continuo a seguire, con dolore e apprensione, ciò che sta accadendo in Israele e Palestina. Tante persone uccise e altre ferite. Prego per quelle famiglie che hanno visto un giorno di festa trasformarsi in un giorno di lutto, e chiedo che gli ostaggi saranno immediatamente rilasciati”, ha detto. “Chi è attaccato ha diritto a difendersi, ma sono molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza, dove ci sono state anche molte vittime innocenti”, ha detto.
Il governo israeliano continua a ripetere che “l’azione di autodifesa di Israele è diretta contro Hamas e la Jihad Islamica. Israele non prende di mira intenzionalmente i civili”. Si ribadisce che “Gaza è la base da cui l’attacco genocida contro Israele è stato concepito, pianificato ed eseguito”. Chi è allora responsabile della “morte e della distruzione”? In effetti, secondo gli ultimi sondaggi, la maggioranza dell’opinione pubblica palestinese sostiene la “lotta armata” (il terrorismo) di Hamas contro Israele e la formazione di gruppi armati per assassinare gli israeliani, una triste realtà che mette in dubbio l’innocenza dei “palestinesi comuni” di Gaza.
Per quanto riguarda la situazione umanitaria, l’Ambasciatore ha risposto asserendo che “I livelli di cibo e acqua sono monitorati quotidianamente e sono oltre la soglia che definisce la ‘crisi umanitaria’. C’è ancora una quantità sufficiente di carburante ed elettricità nelle mani di Hamas, che però preferisce utilizzarla per continuare le proprie attività criminali terroristiche contro Israele anziché aiutare i bisogni della popolazione che domina”.
A questo punto la rivista online fa alcuni chiarimenti sulla questione “occupazione” di Gaza negli ultimi 18 anni. E’ notorio che nel 2005, Israele, evacuò unilateralmente tutti i coloni ebrei dalla Striscia di Gaza, cedendola, interamente e senza riserve, ai palestinesi nella speranza che autogovernandosi essi potessero finalmente cercare di convivere pacificamente con i loro vicini. Diversi milionari americani acquistarono addirittura 3 mila serre per la cifra di 14 milioni di dollari, da donare agli abitanti di Gaza per farli partire avvantaggiati nella costruzione di una “Singapore sul Mediterraneo“. Nel giro di pochi giorni, le serre vennero saccheggiate e distrutte.
I palestinesi, purtroppo per loro e per tutti gli altri, poi favorirono l’ascesa al potere di Hamas, nelle elezioni legislative del 2006. A seguito di una sanguinosa guerra civile con la fazione rivale palestinese Fatah, Hamas, nel giugno 2007, assunse il pieno controllo della Striscia di Gaza. Da allora, i civili israeliani nel sud di Israele, come pure i palestinesi gazawi, vivono nel terrore. Un recente video mostra una donna di Gaza che dice: “Quei bastardi di Hamas”, prima che un uomo le chiuda rapidamente la bocca con la mano. Nel frattempo, Israele, grande all’incirca quanto il New Jersey (22 mila kmq), è stato preso di mira anno dopo anno da decine di migliaia di attacchi missilistici mortali lanciati dalla Striscia di Gaza. Se c’è un problema di “occupazione” a Gaza, l’occupante è Hamas, non Israele.
La questione dopo il 7 ottobre è sempre la stessa: Israele non pùò sedersi ad un tavolo e trattare con una associazione terroristica jihadista che lotta per il suo annientamento, come c’è scritto nello Statuto di Hamas. In tutte le manifestazioni anti-Israele si fa sempre riferimento all’occupazione di Israele e si ignora il raccapricciante incitamento alla violenza presente nella società palestinese, in cui ai bambini viene insegnato fin dalla più tenera età a odiare e uccidere gli ebrei, e i terroristi che lo fanno vengono glorificati e lodati come “martiri”?
Avviandosi alle conclusioni il professore Andrè Villeneuve sostiene che, in definitiva,
“adottare una posizione di equivalenza morale nei confronti del conflitto tra Israele e Hamas non è solo dettato da una pigrizia intellettuale, è anche immorale. Sebbene le perdite tra i civili palestinesi siano tragiche, sono l’inevitabile conseguenza della loro scelta di eleggere e mantenere al potere un gruppo terroristico genocida che ha promesso di condurre una guerra perpetua con Israele”.
Tutti noi faremmo bene a ricordare le parole del sopravvissuto alla Shoah Elie Wiesel: “Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità aiuta l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio incoraggia il carnefice, mai il torturato”.
In questa guerra, i cristiani, e tutti noi, abbiamo la responsabilità morale di sostenere la lotta di una nazione civile contro la barbarie. Israele deve sradicare un gruppo terroristico, Hamas, proprio come abbiamo affrontato l’ISIS. Pertanto, non esiste altra soluzione praticabile se vogliamo preservare l’Occidente.
DOMENICO BONVEGNA
dbonvegna1@gmail.com