L’ictus è una patologia relativamente rara nel bambino ma, nei Paesi sviluppati, è una delle più frequenti cause di disabilità e rappresenta una tra le prime dieci cause di morte nella popolazione pediatrica con una percentuale più alta nel primo anno di vita. (Greenham et al, 2016). L’ictus nel bambino viene tipicamente suddiviso in due categorie: ictus perinatale (quando avviene tra la 20a settimana gestazionale e il 28° giorno di vita) con una incidenza stimata tra 25-40 casi ogni 100.000 nati/anno e ictus pediatrico (dal 29° giorno di vita ai 18 anni) con una incidenza di 1.3-13 casi su 100.000 nati/anno (https://sip.it/2021/10/27/stroke-pediatrico/).
Nonostante la maggior plasticità cerebrale, non sempre il recupero nei bambini è migliore rispetto a quanto accade nella popolazione adulta (Goeggel Simonetti B et al. 2015): i bambini che sopravvivono all’ictus perinatale/pediatrico hanno un alto rischio di disabilità, di complessità e severità variabile, che può interessare la sfera motoria, sensoriale, cognitiva e comportamentale, oltre a portare conseguenze di tipo neurologico, come l’epilessia (deVeber et al., 2000). La maggior parte di bambini colpiti da ictus richiede quindi una presa in carico riabilitativa multidisciplinare complessa con l’obiettivo di favorire il massimo livello di partecipazione possibile a tutte le attività quotidiane, migliorando la qualità della loro vita.
Una figura chiave è quella del terapista occupazionale, il professionista sanitario della riabilitazione che si occupa di promuovere la salute e il benessere attraverso la possibile attività che può essere svolta. La terapia occupazionale è una scienza altamente centrata sul paziente e sulla famiglia, perché le nostre occupazioni sono inscindibili dal contesto ambientale, sociale e familiare in cui viviamo. L’intervento del terapista occupazionale è quindi altamente individualizzato poiché, ognuno di noi svolge, nella propria quotidianità, attività significative profondamente diverse.
Nell’ambito dell’età evolutiva, e in particolare nell’ictus pediatrico, il ruolo del terapista occupazionale diventa quello di aiutare i bambini non solo a recuperare le abilità perse ma, in alcuni casi, a raggiungere veri e propri obiettivi di autonomia che, a causa della precocità dell’evento, non erano ancora stati acquisiti. Bambini e ragazzi possono trovarsi da un giorno all’altro a non essere più in grado di svolgere alcune attività per loro fondamentali nel percorso di costruzione della propria personalità.
“Rabbia, frustrazione, depressione, senso di isolamento e paura per il futuro sono sentimenti spesso presenti nelle persone colpite da ictus, soprattutto se si tratta di adolescenti – dichiara la Dott.ssa Marta Bertamino, Dirigente medico, specialista in Pediatria, UOC Medicina Fisica e Riabilitazione dell’IRCCS Ospedale Gaslini di Genova. Riappropriarsi della propria autonomia, anche se in una forma diversa rispetto a quella sperimentata prima dell’ictus, ha ricadute positive sulla qualità di vita non solo del bambino/ragazzo ma anche della famiglia. Il terapista occupazionale può aiutare il bambino, i caregiver e le comunità attraverso un supporto educativo alle autonomie e alla promozione del senso di competenza”.
L’intervento del terapista occupazionale dovrebbe iniziare precocemente nei casi di ictus in età evolutiva ed è ovviamente differenziato rispetto alle esigenze, all’età e alla complessità del quadro clinico; si integra con le altre figure delle professioni riabilitative e assistenziali nell’identificare, ad esempio, gli ausili necessari e i corretti posizionamenti per favorire l’allineamento posturale e, nel percorso riabilitativo, per accompagnare il rientro a casa (tra cui la valutazione dell’accessibilità degli ambienti di vita – domicilio, scuola e ambienti sociali), tenendo conto delle abitudini del nucleo familiare.
Prima di ogni valutazione, il terapista occupazionale effettua un’analisi preliminare di tre elementi fondamentali per lo svolgimento delle attività:
- la persona, con il suo background emotivo, cognitivo, spirituale e le caratteristiche fisiche;
- l’occupazione, cioè l’attività che la persona si trova a svolgere nel suo contesto;
- l’ambiente, nella sua accezione sia fisica che sociale, in cui la persona si trova a svolgere le attività per lei significative.
L’intersezione di questi tre sistemi è lo spazio di realizzazione di quella che viene chiamata performance occupazionale. Più questi sistemi si parlano e si intersecano, maggiore sarà la possibilità che la performance si realizzi con efficacia e soddisfazione.
“Partecipazione, autonomia e inclusione sono le parole chiave soprattutto quando si tratta di bambini o adolescenti e, in questo, l’intervento del terapista occupazionale è di cruciale importanza in una situazione così complessa come quella causata dalla disabilità post ictus – conclude Andrea Vianello, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale).