Come giustificare la lettura e la presentazione di un testo peraltro “catturato” recentemente in una delle mie solite incursioni nelle librerie. Si tratta di “Maddalena di Canossa. Nella gloria dei santi”, il volume è edito da Della Scala Edizioni di Verona (1989)…
Il volume è il frutto di una raccolta di relazioni e comunicazioni (La 3a Giornata di Studio e di riflessione, curate dal “Gruppo culturale veronese per la storia religiosa”) tenute a Verona, nella Biblioteca Civica, presso il Centro Toniolo nell’ottobre del 1988. Santa Maddalena di Canossa nasce il 1 marzo 1774 in una famiglia nobile e ricca di Verona, infatti ha il titolo nobiliare di marchesa, così come Giulia Colbert, marchesa di Barolo. Un’altra figura straordinaria che ho presentato a suo tempo. Maddalena di Canossa viene canonizzata da Giovanni Paolo II il 2 ottobre 1988. E’ conosciuta per aver fondato una congregazione religiosa femminile, le “Figlie della Carità” e poi addirittura, cosa inconsueta nella Chiesa, una congregazione maschile “Figli della Carità”.
Il testo è composto da una serie di relazioni che riguardano la santa. La prima relazione dello storico Gabriele De Rosa, (La Chiesa al tempo della Restaurazione. I Papi di Canossa). E’ quella che occupa maggiormente il mio interesse.
Per affrontare la figura della marchesa Maddalena di Canossa, secondo lo storico, non possiamo prescindere dal riferirci al clima politico e culturale che si respirava nella Chiesa durante i pontificati che vanno dalla fine del XVIII secolo alla Restaurazione, da Pio VI a Gregorio XVI. Sono anni caldi, l’Illuminismo dei filosofi stava preparando la Rivoluzione Francese, per arrivare poi all’esplosione giacobina. De Rosa che è uno storico liberale, accenna all’episodio delle “Pasque Veronesi” e la spedizione della “Santa Fede” del cardinale Fabrizio Ruffo, due insorgenze popolari che si sono opposte agli eserciti invasori francesi di Napoleone, che stava portando anche in Italia le “conquiste” rivoluzionarie giacobine. De Rosa però è convinto che “non possiamo accettare l’idea tradizionale della Chiesa tutta compatta nella sua opposizione alle idee del riformismo”, così come ha fatto la maggioranza del popolo italiano con le insorgenze.
Più avanti scrive che la Chiesa di fronte alla “Rivoluzione”, non va vista tutta come una istituzione che reagisce in blocco contro. Se guardiamo ai singoli interventi “pastorali”, vediamo che vengono poste domande, inquietudini sui vari cambiamenti in atto nella società e nella politica. Tuttavia De Rosa citando lo storico Perini deve ammettere che Verona di quel tempo godeva da quasi tre secoli una pace “tranquilla, profonda, invidiabile”, come ha potuto verificare Goethe, con il suo viaggio in Italia. Verona, una città di “grande vivacità”,“tranquilla e pacifica, fedele ancora al ritmo del tempo scandito dal suono delle campane delle sue chiese, città gremita di clero, di monaci e di laici aderenti a numerose confraternite; città che poteva vantare una delle sedi più forti dell‘apologetica cattolica del XVIII secolo contro gli ‘ spiriti forti’, eredi della tradizione libertina, città di cui i vescovi esaltavano l’alto spirito di fedeltà alla Chiesa, e che improvvisamente si trovò esposta al dramma della guerra napoleonica”.
In questo contesto storico, politico, sociale e culturale, si è formata Maddalena di Canossa. Ancor prima degli sconvolgimenti dell’età napoleonica, l’aspirazione della Maddalena era concentrata sulla vita contemplativa, seguendo i consigli di don Luigi Libera, che ha individuato le tre vie che la Canossa non abbandonerà mai: “la rinuncia al mondo, l’esercizio spirituale per la propria personale ascesi, e l’operatività caritativa fra i derelitti”. Dell’influsso esercitato sulla santa da don Libera, se ne occupa la relazione di Adele Cattari. In pratica De Rosa vede nella marchesa “una immensa sete di donazione alla causa dei miseri, dei derelitti, dei disperati, degli ignoranti, insomma di quanti sono espulsi dall’ordine o dal disordine di una società che cambia”. Certamente, s’intravede,“una radicalità tutta spirituale dell’impegno di Maddalena a calarsi con abbandono pieno nel misterioso regno della carità […]”. Certo non è compito dello storico scrutare, riflettere su certi silenzi dell’anima, si preferisce discettare sul mondo dei fatti, dei contesti.
La carità cui si dedica Maddalena di Canossa, non ha niente a che fare con la carità del ricco, che spesso si riduce all’elemosina, di solito, per sollevare la propria coscienza di cristiani. E’ una carità fatta di assistenza, di opere straordinarie di pietà, come quelle di san Vincenzo de’ Paoli con i suoi ospizi ed ospedali. In questo mare immenso di progetti di associazioni laicali di azione cattolica, De Rosa ci tiene a precisare che si incontrano personaggi singolari, quasi nascosti, operanti all’ombra dei grandi eventi rivoluzionari, per contrastare la penetrazione giacobina e massonica. Lo storico fa alcuni nomi di questi religiosi, a cominciare dal gesuita, Nicola Diessbach, fondatore delle “Amicizie cristiane”, che rappresentano il seme della futura azione cattolica post-unitaria. Associazione che sostenne moralmente il Papa Pio VII, prigioniero di Napoleone. Un’altra figura importante in questo momento storico è la Leopoldina Naudet, amica della Canossa. Un altro personaggio importante è l’allievo di Diessbach, il redentorista Clemens Hofbauer, un altro alfonsoniano. Per De Rosa, la Canossa fu decisamente vicina a questo ambiente culturale e religioso dei primi anni del secolo, che anticipò le forme associative, di pietà e vita ecclesiale, della Restaurazione. Promotori delle “Amicizie cristiane” da segnalare Il Pio Brunone Lanteri, gli aristocratici savoiardi e piemontesi come Cesare d’Azeglio, Joseph De Maistre, e aristocratici lombardi, come il conte Francesco Pertusati e Nicola Paccanari. De Rosa si chiede ancora: fino a che punto questo clima culturale di rottura con la rivoluzione giacobina avrà influito sulle scelte di Maddalena di Canossa? A suo parere Maddalena probabilmente si è “preoccupata di scavare un angolo tutto suo” al di fuori di questo cattolicesimo combattivo, papale e filogesuitico, che tuttavia meriterebbe approfondimento e studio.
Comunque sia De Rosa segnala che questo cattolicesimo protoromantico, è uno spettacolo eccezionale, a mezza strada fra Sant’Alfonso e De Maistre, di una capacità inventiva, che solo si verificò nel grande secolo francese, il XVII: questo cattolicesimo aristocratico – scrive De Rosa – fu produttore di un numero incredibile di fondazioni, quasi tutte ispirate dal clero gesuitico e redentorista, promosso anche da laici di forte spiritualità cristocentrica”.
Su questo “cattolicesimo aristocratico”, movimento solidaristico, economico-sociale, promosso da uomini e donne di Chiesa, andrebbe fatta una profonda riflessione, sul loro instancabile impegno verso gli ultimi, scaturito dall’amore verso Nostro Signore Gesù Cristo. Uomini e donne che hanno sconfitto la povertà, senza spinte demagogiche o scelte ideologiche, come hanno fatto i numerosi “santi sociali” del torinese. Maddalena, scrive Gianluigi Andolfo, partendo da una prospettiva cristiana, raggiunse “quegli ideali che altre filosofie sbandieravano come slogans:‘libertè, ègalitè, fraternitè’, e questo grazie alla capacità che ha la fede di aiutare a cogliere le reali esigenze dei tempi, e non per farne pura ideologia, ma cercando risposte concrete ai problemi dell’uomo”.
Di una analisi approfondita del carisma di S. Maddalena di Canossa, rispetto ad altre fondatrici che vissero nel medesimo tempo e luoghi, se ne occupa don Divo Barsotti. In particolare il sacerdote sviluppa l’originalità di Maddalena rispetto a due figure: Bartolomea Capitanio, e la bergamasca Teresa Eustochio Verzeri.
In Maddalena non troviamo una dissociazione della sua anima, c’è l’impegno della carità attiva e l’attenzione a Dio. Unità di vita attiva e vita contemplativa, camminano assieme in Maddalena. “Fin dall’inizio – scrive Barsotti – sono tutte le opere di misericordia corporali e spirituali che Maddalena vuole abbracciare: va dagli ospedali, organizza corsi di Esercizi spirituali, sente dolorosamente come la Rivoluzione ha privato per lungo tempo le anime di ogni istruzione religiosa, e per quanto può cerca di soccorrere queste anime. La carità è universale”. Sono cinque i binari di carità, come le cinque piaghe di Gesù crocifisso, di cui si occupa la marchesa: 1 le scuole di carità, 2 l’istruzione religiosa, 3 l’assistenza spirituale agli infermi, 4 corsi residenziali per la preparazione delle maestre apostole, 5 gli Esercizi spirituali alle dame e Signore e a tutte le persone di qualsiasi classe sociale con le quali le Figlie della Carità vengono a contatto nel loro apostolato.
Maddalena nonostante la sua salute cagionevole è sempre in viaggio, da Verona a Venezia, Brescia, Bergamo, Milano…Per questa vita instancabile, la sua carità ha un ideale cui essa si ispira, il Gesù contemplato da Maddalena, non è quello di Maestro e Pastore, ma quello della sua morte di croce, il Gesù crocifisso, la via per raggiungere Dio, è Gesù crocifisso. “Maddalena vive la sua unione con Dio nel servizio dei poveri, degli infermi, nel farsi presente là dove poteva reclamarla ogni bisogno umano. E’ in questa ansia di portare soccorso che Maddalena vive il suo Paradiso: in questa ansia si sente strumento di Dio, sente che Dio vive in lei”. Constatiamo in Maddalena una carità attiva che esige una sempre più grande umiltà nella dimenticanza di sé, nell’essere disponibile sempre ai lontani e ai vicini.
Don Divo Barsotti accenna polemicamente come l’impegno caritativo della marchesa si allontana dalle vuote astrazioni, dai lunghi discorsi, un impegno che va subito al concreto. Occorre prevenire e impedire i peccati, prima che succedano, raccomanda alle sue Figlie. “Adoperatevi come richiede la vostra vocazione per impedire i peccati”.
La carità della Maddalena è quella che ha riconosciuto poi Pio XI: “l’umiltà nella carità”, è il motto che definisce realmente tutta l’opera e la vita di Maddalena. “Lei, nobilissima, si fa veramente sorella dei poveri, lascia il palazzo e discende in un misero casamento, sceglie di vivere per sempre con umilissime povere donne senza cultura, ricche solo, come lei, di amore di Dio. La più alta carità è stata quella di farsi povera coi poveri”.
Addirittura Maddalena fu talmente accorta che non mai fatto pesare la sua radicale scelta sulla sua famiglia di sangue: “la sua povertà non doveva essere accusa, non doveva rompere con il legame di affetto che la univa al fratello, alla cognata: Maddalena seppe mantenere questo legame senza venir meno all’esigenza della carità che la faceva non tanto una benefattrice dei poveri, quanto soprattutto una di loro”.Oltre a Gesù crocifisso, la nostra santa ha una devozione singolarissima a Colei che più di ogni altra creatura si è associata alla passione del Cristo. E’ la Madonna, “Maria, madre della carità, sotto la croce”. Da qui la devozione delle Congregazioni canossiane all’Addolorata.
Una lunga e approfondita relazione è quella di Nello Dalle Vedove (La Canossa nel contesto socio-religioso di Verona). La marchesa Maddalena Gabriella di Canossa trascorse i suoi 61 anni di vita (1774-1835) in tre epoche diverse, sotto la Repubblica di Venezia, la seconda sotto l’invasore francese, la terza sotto il dominio dell’Austria. In queste relazioni probabilmente è mancata una analisi socio-politica più dettagliata sul perché il popolo cattolico veronese è stato costretto ad insorgere nel 1797 (Le “Pasque Veronesi”) contro gli eserciti francesi e i giacobini nostrani. Il relatore ci offre un itinerario ben documentato dell’ambiente in cui è vissuta la santa. Dall’ambiente familiare a quello socio-religioso, soffermandosi sulla situazione della città scaligera, sulla cultura veronese del ‘700. Per quanto riguarda le famiglie aristocratiche Dalle Vedove, scrive che non intende idealizzare ma è certo che ogni famiglia aristocratica,“ha qualche membro tra i più accreditati ecclesiastici delle diocesi o in convento, dove la vita religiosa non dava segni di decadimento”.
A questo riguardo sono indicativi della religiosità delle famiglie nobili anche gli “Elenchi delle Dame partecipanti a corsi di di Esercizi a Verona”. Pare che, “nessuna marchesa o contessa si sia sottratta all’invito della Canossa di raggiungere il suo ritiro a S. Giuseppe”. Ma non solo i nobili anche la gente semplice del popolo viveva radicata nella fede, da secoli di tradizione ininterrotta.
Dalle Vedove aggiunge un particolare importante riguardo le idee rivoluzionarie, “per un popolo abituato a vivere secondo la propria fede e nel rispetto del proprio principe, pur con le inevitabili deficienze della natura umana, costituì una vera provocazione la novità rivoluzionaria dei giacobini piovuti d’oltr’Alpe”. Per questo motivo il popolo Veronese, si è espresso al meglio, meritandosi il titolo di Verona fideles. Ritengo importante fare una riflessione che riguarda il mondo dei nobili, e penso a Moliere, il commediografo francese che nelle sue opere ha esercitato una satira dissacrante della nobiltà seicentesca. Che certamente in parte meritava. Però invece sto scoprendo attraverso i miei studi, che esiste anche un mondo di nobili, (quel cattolicesimo aristocratico) che hanno raggiunto la santità, che sono diventati beati, venerabili, Servi di Dio, riconosciuti dalla Chiesa. Si potrebbe fare un lungo elenco di uomini e donne appartenenti alle varie case nobiliari che smentiscono le elucubrazioni dei vari Moliere di turno.
Termino accennando ad una riflessione di Andolfo sull’itinerario spirituale di Maddalena di Canossa. “Vorremmo capire l’itinerario spirituale da Lei compiuto per diventare Santa. Si, perché Maddalena non è nata Santa, lo è diventata”. E’ una questione che riguarda tutti i canonizzati dalla Chiesa in duemila anni. Talvolta leggendo le biografie dei santi, si nota una certa rappresentazione non realistica, quasi che sono nati con l’aureola, invece a noi comuni mortali serve capire il loro itinerario spirituale, come hanno fatto a incarnare i valori evangelici, in certe situazioni e momenti della loro vita. In modo da comprendere meglio i motivi delle loro scelte concrete. Sono le considerazioni che più volte poneva Giovanni Cantoni il fondatore di Alleanza Cattolica.
DOMENICO BONVEGNA
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