di Andrea Filloramo
Quando nel secolo scorso il Cardinale Giacomo Biffi affermò che il cristianesimo non è né può essere considerato una religione e, conseguentemente, i Vangeli, poiché non contengono teorie o dottrine, ma solo avvenimenti, non costituiscano una religione ma un progetto di vita, non sono mancati i teologi che dall’alto delle loro cattedre, si sono strappate le vesti.
Quanto allora sostenuto da un “maestro di fede”, da un “pastore esemplare” secondo una definizione di Benedetto XVI che intravedeva nella Chiesa di Bologna a lui affidata per 19 anni (1984-2003) “la Sposa che il Papa gli aveva dato, così bella da non desiderarne altre”, è rimasto inascoltato.
Da allora molta acqua è passata sotto il ponte e ancor oggi, mentre come vescovo di Roma c’è un Papa argentino, che mal sopporta l’idea che la chiesa e il cristianesimo si presentino organizzati e rapportati alle società come una religione che deforma o emargina il cuore e il fulcro dei Vangeli e utilizzino ermeneutiche vetero e neotestamentarie obsolete, si grida allo scandalo, si minacciano “scismi”, “divisioni” o addirittura si accusi il Papa di “ eresia”.
E’ cosa ormai certa: tutte le religioni, che si ritengono rivelate da Dio attraverso la mediazione dell’autorità religiosa e di un clero formato sulla cieca tradizione che non tollera alcun cambiamento, stanno volgendo al termine e, quindi stanno morendo per “morte naturale” o per “asfissia”.
Non c’è più spazio – si dica con chiarezza – per le religioni costituite da dogmi, norme, gerarchie, che credono o dicono di possedere la verità totale, eterna ed immutabile concernente l’uomo e la sua esistenza.
E’ questo un cambiamento che sta avvenendo e in parte già è avvenuto, di portata enorme, una sorta di mutazione genetica all’interno della Chiesa e nel cosiddetto popolo di Dio, del quale una certa parte del clero non si rende conto.
Le religioni, come sistemi di credenze legate a una primordiale tappa scientifica, ormai non possono dirci molto, non possono più parlare in maniera significativa a una società che vive di innovazioni in tutti gli ambiti della vita ed a un ritmo sempre più accelerato.
Il cristianesimo e particolarmente il Cattolicesimo è chiamato, quindi, a rivedere anche se con somma prudenza ma con celerità, rilegandolo ai vecchi tomi da custodire nelle biblioteche, il suo impianto dottrinale, anche a costo di dover mandare al macero gran parte della teologia che ha fatto da sostegno.
Deve mandare al più presto e in “cassa integrazione” i teologi che si oppongono aprioristicamente all’innovazione o fingono di innovarsi.
Nessuno sente oggi il bisogno di professionisti del sacro, molti dei quali, contrariamente a quanto stabilisce il Vangelo, continuano a non a mettere al centro la figura di Gesù ma al suo posto mettono se stessi o una Chiesa che non esiste più, che amano presentare in modo capzioso e incomprensibile più come “Corpo mistico”, che come “popolo in cammino”.
La domanda è d’obbligo: “è ancora attuale quanto Paolo VI nella “Mysterium Fidei” del 3 settembre 1965, scriveva quando affermava che le forme di cui si serve la chiesa per proporre dogmi di fede, esprimono concetti che non sono legati ad una determinata cultura, ad una determinata fase del progresso umano, ma sono validi per tutti gli esseri umani, per tutti i tempi”?
Una risposta e una chiarificazione la Chiesa dovrebbe darla e sulla risposta essa deve, se riesce, a costruire il suo futuro.
Occorre affermare soltanto che la conoscenza ha un carattere dinamico, non statico, sempre transitorio, mai definitivo. Non è più quindi il tempo di interpretare letteralmente i contenuti religiosi tradizionali e, in modo particolare, la morale cattolica che – nel passato – si pensava che descrivessero la realtà oggettivamente ma che in realtà erano alienanti.
Scopriamo che la conoscenza religiosa non è altro che una costruzione umana che è stata elaborata da una tappa della nostra storia evolutiva ma che, con l’avanzare della conoscenza del progresso scientifico e antropologico, la tendenza che si ha è quella di invertire la schizofrenia culturale che alberga in tanti uomini di chiesa che ottunde il loro pensiero e li fa vivere in un “ mondo che non è di questo mondo”.
Non si tratta di negare – è bene affermarlo – la funzione positiva che ha esercitato la religione cattolica, perché è indubbio che nel passato abbia avuto un ruolo insostituibile nella storia umana, ma si tratta solo di capire che non può essere oggi presa alla lettera o dogmatizzarla.
In questo bivio i dogmi, i miti della religione non dicono più molto, non indicano la strada da seguire, non offrono consolazioni e garanzie, non mettono al riparo dal dolore e dalla crudeltà del mondo alla quale assistiamo.
La Chiesa non ha altra realtà sacra da offrire che la sua fede in Gesù, Dio fatto uomo; non ha altro scopo che rendere possibile l’incontro degli uomini con la persona di Gesù.
Per rispondere alle attese del mondo, la essa deve quindi ritrovare se stessa e assumere la parola di san Paolo: “Non volevo conoscere tra voi altro che Gesù e Gesù crocifisso”.