Catania – I Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, supportati da personale specializzato del Nucleo Carabinieri Cinofili di Nicolosi e dalla C.I.O. del XII Reggimento Carabinieri Sicilia, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale etneo, nei confronti di 9 persone (8 in carcere e una agli arresti domiciliari), in relazione ai reati di spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, in maniera reiterata e in concorso tra loro.
Le indagini, che si pongono quale prosecuzione dell’operazione “koala” (del 2021, che aveva consentito di individuare l’esistenza di un sodalizio criminoso finalizzato allo spaccio di stupefacente del tipo cocaina in modalità itinerante nella provincia di Catania), eseguite nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2023 dalla Stazione Carabinieri di San Giovanni La Punta, sia mediante attività tecniche, sia attraverso i tradizionali approcci investigativi come i pedinamenti degli indagati, avrebbero permesso di acquisire, allo stato degli atti e in relazione a una fase processuale che non ha ancora consentito l’intervento delle difese, gravi e concordanti elementi indiziari in ordine a una fiorente attività di smercio al dettaglio di cocaina, realizzata dagli indagati, sia autonomamente che in concorso tra loro, nei territori di Catania, Gravina di Catania, Mascalucia, San Giovanni la Punta, San Gregorio di Catania, Valverde e Tremestieri Etneo,
In particolare, in esito all’attività investigativa, sarebbero state ricostruite le diverse modalità di cessione della cocaina, comunemente indicata come “cosa”, che avveniva prevalentemente in maniera “itinerante”; gli spacciatori infatti, per evitare di destare sospetti, permanendo in modo stanziale e continuo in uno specifico luogo ove attendere gli acquirenti, ben consapevoli che prima o dopo la “piazza di spaccio” sarebbe stata intercettata dalle Forze dell’Ordine, avrebbero preferito prendere “gli ordini” telefonicamente. Per garantirsi l’impunità, i pusher avrebbero quindi definito un caratteristico modus operandi, che si sarebbe sviluppato secondo diverse fasi:
- una veloce battuta al cellulare, in cui sarebbe stata richiesta la disponibilità del pusher da parte dell’acquirente ed indicato il quantitativo o il valore della dose (sempre adoperando parole in codice);
- l’indicazione di un punto noto ad entrambi, nonché dell’orario, da far coincidere con gli impegni di famiglia dei malviventi, o con la necessità dello spacciatore di andarsi a rifornire periodicamente di “roba”, atteso che veniva portato al seguito solo quanto strettamente ordinato dal cliente, per evitare, in caso di controlli, di essere denunciati o arrestati;
- l’incontro vero e proprio e la velocissima cessione di sostanza in cambio del corrispettivo in denaro, che in alcuni casi avveniva addirittura a mezzo di ricariche di carte prepagate intestate a persone terze, rendendo così ancor più difficoltosa l’attività di indagine dei Carabinieri.
In casi residuali, per ancora maggior prudenza, la compravendita di droga sarebbe avvenuta addirittura in modalità “take away”, quando gli spacciatori sarebbero ricorsi a luoghi già concordati con gli acquirenti, ove facevano loro trovare “l’ordine”; emblematica al riguardo la modalità messa in atto da uno degli indagati, che per informare il cliente che la droga era pronta per il ritiro nel luogo convenzionalmente stabilito, utilizzava dire “già fatto amazon”, proprio come avrebbe fatto un onesto corriere del noto e-commerce.
Tra i presunti spacciatori, vi era poi chi, per evitare che la cessione di cocaina avvenisse in luogo pubblico, sempre per ridurre ulteriormente il rischio di essere notati o che i loro acquirenti potessero essere fermati in strada con la sostanza stupefacente, avrebbe anche ospitato gli assuntori all’interno delle proprie abitazioni, per il tempo strettamente necessario alla consumazione del “pippotto”, mettendo a disposizione perfino le camere dei propri familiari.
Infine, e da qui trae origine il nome dell’odierna operazione “Non solo pane”, particolarmente significativa sarebbe stata la condotta di uno degli spacciatori, che essendo un panettiere, avrebbe utilizzato il suo forno, posto in una strada senza uscite del Comune puntese e per questo motivo molto riservata, quale “copertura” per la sua seconda e probabilmente più redditizia illecita attività professionale. Tra gli ignari clienti dell’esercizio, alcuni “affezionati” avrebbero così fatto precedere la normale spesa da una veloce chiamata al fornaio, alias il loro pusher di fiducia, nella quale, assicuratisi che questi fosse “aperto”, ossia pronto a soddisfare la loro dipendenza, avrebbero chiesto di ritirare “mezzo chilo di pane” o “mezza pagnotta”, tutte forme criptiche che avrebbero celato il reale riferimento alla quantità di cocaina richiesta.
A sostegno del quadro indiziario sono stati eseguiti, nel corso delle indagini, decine di riscontri che hanno portato a un arresto in flagranza di reato e a 5 deferimenti in stato di libertà per “detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente” con correlato sequestro di oltre 50 gr di cocaina, nonché di bilancini e strumenti finalizzati al confezionamento.