Carissimi, in questi ultimi giorni è esplosa la protesta del mondo agricolo che rivendica un trattamento adeguato da parte del Parlamento europeo, nazionale e regionale perché tutte le maestranze coinvolte nel procedimento produttivo possano avere una vita dignitosa e sicura.
In realtà, tutti sperimentiamo l’aumento incontrollato dei prezzi di primaria necessità (pane, latte, frutta, verdura, …) strettamente collegato sia alla produzione e trasformazione di questi prodotti, sia alle ostili condizioni climatiche che, soprattutto al Sud, hanno provocato ingenti danni nella produzione, soprattutto, di frutta e ortaggi.
In questa sede non rivestirò, di certo, i panni del sindacalista che persegue la difesa dei diritti dei lavoratori della terra, ma il mio intento sarà quello di suscitare e provocare una riflessione atta a sensibilizzare l’atteggiamento dei cristiani di fronte all’attuale crisi economica.
La Chiesa e i battezzati non possono non interrogarsi di fronte alle situazioni difficili e devono mettere in atto, in un certo qual senso, i mezzi necessari per “farsi prossimi”, ascoltare e creare dei legami di solidarietà, senza atteggiarsi a maestri. Stiamo attraversando un’epoca di forti cambiamenti sociali e culturali. Le frontiere mutano continuamente, i valori tradizionali sono contestati e il modo di vivere del passato e/o il cibo tradizionale sembra non funzionare più.
La prima cosa da fare, rispondendo agli appelli di papa Francesco in Laudato Sì -La Salvaguardia della Casa Comune, è quella di vedere i cristiani coinvolti in prima linea attorno al dibattito ecologico. In effetti, l’ancoraggio dell’ecologia integrale, sviluppata dal papa, si articola innanzitutto nello spazio del mondo agricolo. La terra, come luogo di produzione del cibo, è area di sfide considerevoli, dallo spessore sociale, economico, politico e religioso.
La nostra società ha smarrito il grande valore del lavoro manuale o dimentica con rapidità che esso favorisce il contatto diretto con gli esseri viventi e ci educa alla pazienza e alla precisione.
La validità del lavoro svolto con le proprie mani, supportata da abnegazione e ingegnosità, è da ritenersi con sommo rispetto in quanto delinea la stretta relazione tra l’uomo e la terra, fonte di nutrimento. Pertanto, le scelte per la qualità della vita e la sopravvivenza del pianeta sono direttamente collegate agli spazi agricolo-rurali. Così, papa Francesco sottolinea lo stretto legame fra quesiti di sviluppo e domande sociali e umane imperanti. “Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa” (LS 141), di conseguenza “è fondamentale cercare soluzioni integrali” (LS 139).
Le domande poste dalla iper-agricoltura (coltivazione intensiva) si inseriscono in questa prospettiva. Esse ci invitano a entrare in una riflessione che non semplifica o banalizza la realtà, ma conduce a delle azioni rispettose dell’uomo e della natura.
È la terra che vive con gli uomini, gli animali, le piante e che dà un accento particolare al dibattito sul “vivente”. Questa discussione non può lasciarci senza voce quando il rapporto con “il vivente” si chiama riconciliazione, giustizia, alleanza con la natura conosciuta come “creazione”, con i fratelli e le sorelle in umanità. Questo stesso spirito ci deve incoraggiare a sviluppare uno stile semplice di vita, evitando ogni sorta di consumismo, accumulo di beni e spreco delle risorse.
Tale atteggiamento ci deve stimolare ad unirci ad altri in vista delle misure necessarie per conservare l’ambiente, per incrementare l’armonia dell’uomo con la natura, per collaborare col Creatore nel portare alla piena realizzazione tutto il creato.
Questa operazione richiede tempo, molto tempo, e papa Francesco insegna che “il tempo è superiore allo spazio” e “permette di lavorare a lungo termine, senza essere assediati dai risultati immediati” (EG 222-223).
Ciò obbliga a discernere le sfide nuove per tutti e soprattutto per la vita parrocchiale. Le comunità non devono perdere di vista l’accezione stessa del loro essere famiglia, spazio dentro il quale ognuno può crescere, essere aiutato, guarito, incoraggiato, favorendo la rete delle relazioni costruttive che arricchiscono la vita personale e comunitaria perché la pasta del mondo venga ad essere fermentata di Vangelo vivo.
Nel caso specifico, benché la nostra parrocchia non abbia una vocazione prettamente “rurale”, può creare e mantenere legami fra le persone, soprattutto quelle isolate.
Malgrado l’anzianità dei membri di numerose località, la vita parrocchiale, per la sua semplicità, la sua dimensione comunitaria, l’accoglienza di tutti e l’attenzione ai più emarginati, manifesta un ruolo importante che la Chiesa può giocare nel tessuto degli operatori agricoli.
Papa Francesco descrive l’essenza e il ruolo della comunità locale, caratteristiche che non solo fa bene a ricordare, ma sulle quali dovremmo confrontarci in un sereno esame di coscienza: La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie» (EG 28).
I preti, oggi meno numerosi di ieri, giocano un ruolo importante nella risposta a questa sfida pastorale, perché essi sono costituiti pastori di tutti, alla sequela del Cristo Buon Pastore.
Questi, giovani o meno giovani, si interrogano sulla maniera di vivere il loro ministero in un contesto di penuria di vocazioni sacerdotali. Si trovano, in effetti, di fronte a un paradosso di distanze geografiche significative e soffrono la necessità di essere vicini a tutti, particolarmente a coloro che non hanno la possibilità di una vita parrocchiale attiva, nei loro luoghi di origine e di residenza. Da anni si avverte l’urgenza di una vita in équipe, un ministero “itinerante”, così pure la necessità di formazioni sacerdotali specifiche, di associazioni sacerdotali, di luoghi di rinascita spirituale, …, per rispondere personalmente e con altri alle nuove sfide della pastorale, compresa quella rurale-agricola. Il cuore della spiritualità è l’umiltà, umiltà che si esprime attraverso la semplicità degli atteggiamenti, in particolare nel modo di relazionarsi con Dio e con gli altri. Pertanto, il nostro fine deve essere quello di essere persone autentiche, integre, sincere in tutte le nostre relazioni. L’uomo, mediante le gioie e le lotte della vita, impara ad essere umile e fiducioso; consapevole dei propri limiti, li sperimenta come grazia quando giunge a porsi con fiducia nelle mani di Dio. Ecco perché, oggi e nel momento storico di riferimento, si avverte fortemente la necessità di sviluppare una spiritualità poco complicata, assai essenziale, percorrendo le vie con piedi saldi e sguardo rivolto verso l’alto.
Tuttavia, secondo il dettato del Concilio Vaticano II, è tutta la comunità che deve farsi carico della prossimità, al seguito dei pastori: “Come partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell’azione della Chiesa. All’interno delle comunità ecclesiali, la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto. Infatti i laici che hanno davvero spirito apostolico, ad esempio di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano Paolo nella diffusione del Vangelo (cfr. At 18,18-26; Rm 16,3), suppliscono a quello che manca ai loro fratelli e confortano cosi sia i pastori, sia gli altri membri del popolo fedele (cfr. 1 Cor 16,17-18)” (AA10).
La visibilità e la prossimità della Chiesa sono affare di tutti i battezzati!
Carissimi,
in questo contesto storico nel quale si avvertono con maggiore coscienza le minacce che pesano sullo sviluppo del mondo agricolo, dovute a diversi fattori, siamo chiamati a una riflessione che inneschi la prossimità, la fraternità e la creatività, aspirazioni umane e cristiane, finalizzate al vivere insieme solidale e rispettoso nella “casa comune”, alla ricerca di motivi di speranza. Chi sta in rapporto con lo Spirito collabora personalmente con il Creatore nello sviluppo costante e progressivo della creazione perché chi prega è più sensibile all’ascolto dei misteri nascosti nella natura e nel lavoro. Pregare è gustare la presenza del Creatore divino nelle cose create.
Teilhard de Chardin- il Francesco d’Assisi dell’era termonucleare- ci invita a contemplare un Dio vivo nella materia e nell’evoluzione di essa. È il cantore del cosmo perché vede Dio fatto carne anche nel mondo e nell’immenso creato. In questo abbraccio cosmico e insieme mistico fatto di silenzi, di contemplazione e di preghiera, Teilhard de Chardin fa del creato una sorta di riflesso di Dio e del suo prolungamento: benedetta sei tu, nuda materia, terra arida, nuda roccia, universale materia, durata senza limiti, fiume senza sponde,…, tu che dissolvendo tutte le nostre strette misure ci riveli le dimensioni stesse di Dio … Io ti saluto, ambiente divino, carico di potenza creatrice, oceano agitato dallo Spirito, argilla impastata ed animata dal Verbo incarnato.
Dunque, Dio ci seduce con la bellezza della creazione in cui è custodita, in tutte le sue forme, la traccia della sua presenza perché pesa nella pietra, germina nella pianta, respira nell’animale, ama nell’uomo. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia (Mt 7,21-27). Non una vita semplificata, ma una vita solida, consistente, radici salde che combaciano in profondità con la roccia che è Dio; una vita alla quale il Signore dirà: sì, conosco questa vita da sempre. È parte della mia!
Auguri di ogni bene.
Ettore Sentimentale
madonnadelcarmelo.it