di ANDREA FILLORAMO
Sono stato molto incerto nel rispondere a un’email inviatami da uno che si professa “cattolico” e “anticlericale” che, riferendosi ai preti pedofili, fra le altre cose mi scrive: “Sono 164 i sacerdoti condannati definitivamente per pedofilia negli ultimi 15 anni. Altri 166 sono attualmente denunciati, indagati, in attesa di giudizio o non più condannabili per prescrizione (….) Mandiamoli tutti in carcere e purifichiamo la Chiesa. Sono tutti i preti così……..non inganniamoci”.
La mia retrosia è nata dalla constatazione che la Chiesa cattolica e le sue istituzioni nonché il suo clero, a mio avviso, hanno bisogno di un’attenzione più discreta e meno gridata.
I media non possono e non devono essere il luogo della pubblica gogna di ogni nefandezza fatta eventualmente da singoli preti, da vescovi e da qualche cardinale.
Non voglio essere frainteso.
È chiaro a tutti che oggi un forte malessere attraversa la Chiesa, ed è altrettanto chiaro che questo malessere abbia origine particolarmente dai comportamenti scandalosi di quelli che dovrebbero dare il buon esempio.
È ingiusto, però, e, spesso è ignobile usare questi casi, che oggettivamente rappresentano una grande minoranza rispetto alla maggioranza, per criminalizzare tutti i preti.
È oltretutto indiscutibile che situazioni vergognose analoghe sono presenti in tutti, o quasi tutti gli altri settori della vita sociale e pubblica e in tali casi non destano il clamore che destano invece nel mondo ecclesiastico – ma ciò è facilmente spiegabile – con effetti devastanti socialmente e culturalmente su quelli che riescono a mantenersi fedeli al loro impegno ministeriale.
Se mi indigno, pertanto, per il clamore che suscitano gli scandali sessuali del clero, non è per negarli, né per minimizzarli, bensì per favorire, per quanto mi è possibile, un’azione di rigetto ma senza alcun clamore dei personaggi che si annidano nella Chiesa, nelle parrocchie e nei seminari e per aiutare quei tanti vescovi ben intenzionati a sostenere questa azione, senza alibi di qualsivoglia tipo e a porre in essere tutti gli strumenti necessari per debellare questa vera e propria metastasi clericale.
Cerchiamo di stare con i piedi per terra: prendiamo atto che nel passato venivano ordinati preti delle persone indegne.
Oggi credo o meglio spero che non succeda più, ma non è detto che non esistano e che non ci siano ancora dei preti anche giovani o relativamente giovani, indegni dell’ordinazione presbiterale che hanno ricevuto.
Ricordiamo che già nei primi secoli della Chiesa, anche quando non esisteva ancora il celibato ecclesiastico, il fenomeno di quelli che oggi riteniamo scandali e abusi sessuali dei preti era conosciuto e tollerato e ancora nel tardo Duecento, in pieno medioevo, Tommaso d’Aquino scriveva: “Uno può essere ministro di Cristo senza essere giusto. E ciò mette in risalto l’eccellenza di Cristo, poiché a lui come a vero Dio servono non solo le cose buone, ma anche quelle cattive, che la sua provvidenza indirizza alla propria gloria”.
E’ sicuramente questa una testimonianza non solo dell’attualità del pensiero di Tommaso D’acquino, ma anche del fatto che i preti indegni non sono un’invenzione degli ultimi tempi.
Oggi dobbiamo aver il coraggio di dirlo: non sono pochi i preti che vivono con problematiche sessuali anche gravi che non riescono ad affrontare, e, tuttavia, continuano a confessare, celebrare, predicare e assumere incarichi anche molto delicati e portano sulla loro coscienza, nel silenzio, il peso e il disagio del loro stato.
La vita sessuale dei presbiteri – occorre ribadirlo – deve diventare una questione abbordabile da parte della Chiesa poiché riguarda la sua stessa credibilità; non si deve mai temere di insistere sull’umanità del sacerdote e sulla sua fragilità.
Se osserviamo bene: non esistono e mai sono esistiti veri problemi “sacerdotali”; tutti i problemi dei preti sono problemi umani, che riguardano cioè l’umanità di quanti sono da ritenere uguali in tutto e per tutto agli altri uomini ai quali, quindi, non possono essere attribuiti super poteri e super ideali che non hanno e che mai potranno avere nè mettere limiti che la natura non dà né può dare.
Michel Foucault, filosofo francese la cui opera ha investito un vasto insieme di discipline: la storia della psichiatria, le scienze umane, il diritto penale, la teoria della politica, la sessualità, scrisse che: “nella Chiesa tutte le volte che si parla di sessualità, arrivano sempre i sessuofobi, disposti a regalare agli altri i precetti, la vergogna, l’insonnia, gli incubi, pronti a mettere volutamente e ipocritamente in dubbio le acquisizioni scientifiche, antropologiche, psicologiche fatte nell’ultimo secolo, relative a quest’aspetto fondamentale dell’esistenza umana, che deve essere libero da coercizione, da discriminazioni e violenza. Per i sessuologhi per nulla valgono e forse li ignorano gli studi che riempiono le biblioteche”.
Bastano queste poche frasi del filosofo, che valgono quanto uno o più trattati, per comprendere la necessità di un cambio di rotta della Chiesa Cattolica nel campo della sessualità.
In questo quadro una considerazione particolare deve essere data alla pedofilia clericale, che è un difetto, un vizio o malattia molto grave dei preti, di cui tanto oggi si parla, si discute e si scrive.
Da qualche decennio le contestazioni rivolte alla Chiesa di Roma sul tema della pedofilia clericale sono state frequenti.
L’accusa mossa alla Chiesa è quella di aver prima prodotto e poi protetto sacerdoti pedofili, ignorando le denunce e limitandosi al massimo a trasferirli in altre parrocchie.
Su tutte le testate giornalistiche italiane e internazionali si è parlato perciò di “copertura dei casi di abusi sessuali”, di “interventi ritardatari da parte delle autorità ecclesiali”, di “processi segreti”, di “ottenimenti di “lasciapassare”, di “scarsa considerazione delle denunce mosse dalle vittime” e di “trasferimenti di sacerdoti accusati di molestie sessuali”.
Una cosa è certa: i preti pedofili non erano e non sono oggi da considerare delle “mele marce” come dicono alcuni vescovi e la stessa CEI.
La pedofilia clericale, anche quella “dolce”, occulta e silenziosa è più diffusa di quanto si possa pensare; basta, infatti, mettere insieme i tasselli del mosaico, dispersi nelle cronache locali e poi dimenticati, per fare emergere un quadro che riguarda ogni ambito della vita della Chiesa.
Oggi, dinnanzi al montare dei molti casi di pedofilia clericale denunziati dai media, occorre prendere atto dolorosamente di questo dramma ecclesiastico e riflettere sul fatto che il prete pedofilo è il prodotto di una certa educazione ed è una persona con gravi problemi, che cerca se stesso e la sua identità sessuale, perduta e offuscata dalla formazione seminaristica che ne ha deformata la natura.
E’, quindi, sulla formazione dei futuri preti, che la Chiesa deve indirizzare il suo impegno affinché nei decenni successivi ci siano dei preti aperti al mondo e senza quei tabù o blocchi che creano imbarazzo, umiliazione, disgusto, paura, vergogna e, quello che è più grave, il senso di colpa, cioè di quell’ emozione auto-consapevole, che implica la riflessione su se stessi.
Le persone possono sentirsi in colpa per una serie di ragioni: atti che hanno commesso (o pensano di aver commesso), il fallire in qualcosa in cui non avrebbero dovuto oppure nel fare pensieri percepiti come moralmente sbagliati.