di Roberto Malini
Pesaro – Mi sono ritrovato a illustrare i mosaici del Duomo a un gruppetto di turisti francesi. Si sono entusiasmati di fronte alle scene dall’Iliade di Omero, al rapimento di Elena, regina di Sparta, considerata la donna più affascinante del mondo conosciuto, per mano di Paride, principe di Troia. Le scene scaturiscono dalla mente stessa del vate greco e hanno la semplicità essenziale della poesia. Fanno i nomi di Elena, Priamo re di Troia, Menelao sposo della regina rapita; poi ci mostrano gli eroi più celebrati: Achille e Aiace. Un po’ più in là, i bambini provano emozioni forti di fronte allo squalo mangia uomini e, compiuto ancora qualche passo, si chiedono come mai una belva sia tenuta in catene.
Spiego loro che quella belva non è il leone, simbolo di forza e regalità, nel Medioevo (e simbolo di Cristo Re), bensì il “pardus”, un ibrido fra leone e pantera (quello che Dante battezzerà “lonza”) che rappresenta il peccato, l’avanzata del male nel mondo. Ecco perché, in una chiesa, viene tenuto al guinzaglio. Notando una porzione di pavimento inferiore (del IV/V secolo), i turisti si chiedono che genere di mosaici potrebbero essere celati sotto uno spesso strato di pietre e malta. Rispondo loro che non lo sappiamo, ma che la Curia si è impegnata a fare tutte le opportune indagini. E se, come tutti speriamo, i mosaici non saranno eccessivamente rovinati dal calpestio o dalla rimozione di tessere e presenteranno motivi geometrici e/o un immaginario figurativo interessanti, saranno resi visibili con un ulteriore intervento di recupero e valorizzazione.
foto di Roberto Malini