In tanti hanno posto questa domanda e in tanti hanno risposto. La cifra convenuta dai vari storici oscilla tra gli 80 e i 100 milioni. Gli autori de “Il Libro Nero del Comunismo”, hanno dato la cifra di 85 milioni. Soltanto da un libro, almeno che io sappia, si desume che le vittime sono state molte di più, addirittura 200 milioni. Quel libro è di Eugenio Corti, “L’esperimento comunista”, pubblicato da Edizioni Ares nel 1991. Il testo è suddiviso in 2 parti: la 1 “Ciò che è storicamente accaduto”. Nella 2 parte, “Alla radice dei fatti”. (Processo e morte di Stalin) Nella 1 parte Corti affronta il comunismo in Russia, in Cina e in Indocina. E comincia con un pensiero di due grandi studiosi come Voegelin e Del Noce, nella nostra società moderna, c’è un fenomeno nuovo: “il divieto di fare domande”, un divieto ancora valido non solo per i crimini comunisti, ma anche per altri argomenti.
Non si deve pretendere di sapere cos’è oggettivamente accaduto in Russia durante la “dekulakizzazione”, cioè lo sterminio dei contadini Kulaki, molto simile alla “soluzione finale” nazista del problema ebraico? Corti prende in esame i dati numerici di tre opere di Robert Conquest, Roy A. Medvedev, e Aleksandr Solgenitsin. Quest’ultimo è in grado di darci il numero, che dovrebbe essere definitivo, dei contadini eliminati, e di spiegarci perché di una così smisurata vicenda conosciamo tanto poco: Siamo negli anni 29-30, quindici milioni di contadini si spinse nella tundra e nella taiga. Una fiumana che fu riassorbita dal ghiaccio eterno. Una deportazione equivalente allo sterminio. All’interno del Politburo staliniano si è dibattuto sulla giustezza dello sterminio. Vasilij Grossman fu testimone oculare del terribile massacro dei kulaki, che vennero accusati dei delitti più pazzeschi e inverosimili. Da ogni villaggio, una colonna di gente, veniva spinta, scortata dalla Ghepeù, verso l’ignoto.
Dopo la deportazione la carestia. La terra coltivata diminuì molto, il grano scomparve, le squadre comuniste, cercavano dappertutto. Ebbe inizio la fame, i bambini chiedevano pane anche la notte. Si registrano atti di cannibalismo per fame. Lo studio di Corti è stato scritto negli anni ’70, molto prima della caduta del Muro di Berlino e giustamente chiedeva agli organi di stampa in Italia, almeno quelli cristiani a raccontare questi crimini. Invece si continuava a raccontare quelli nazionalsocialisti di Hitler.
Le tre categorie colpite dal comunismo nell’URSS, sono quelle dei cosiddetti ex sfruttatori (nobiltà, borghesia e clero), furono sterminati quasi tutti. Al momento della sua morte Stalin stava preparando la deportazione di tutti gli ebrei in Urss (circa 3 milioni) verso il territorio siberiano.
Ci sono particolari inediti forniti da storici come Abraham Sifrin, che ha viaggiato alla ricerca dei lager in Unione Sovietica. In queste ricerche Sifrin fa riferimento a un lungo cimitero di 40 chilometri. Ogni tomba ha un numero al posto del nome.
Per quanto riguarda l’Urss il costo totale in vite umane fu, secondo i calcoli dello specialista Kurganov, di 66 milioni di vittime. Di 60 milioni di morti ha parlato lo stesso Solgenitsin nel suo discorso al Parlamento russo del 28 ottobre. E nessuno lo ha contraddetto.
Il 2 tema affrontato da Corti è quello della Rivoluzione culturale in Cina e poi del numero complessivo delle vittime. Intanto Corti rileva una differenza: in Cina al contrario della Russia, i capi comunisti si impegnarono a non assassinarsi tra loro. Tuttavia riporta un episodio del capo comunista cinese Lin Piao che propone a Crusciov di scatenare una guerra atomica contro gli Stati Uniti. Una carneficina per far trionfare il comunismo nel mondo intero. Dai dati disponibili sulle vittime cinesi, Corti sintetizza, dal 1949 al 1958, sono 50 milioni le vite umane perse, mentre 30 milioni di contadini furono mandati in campo di concentramento. Dopo tra il 1958 e ’60, si ebbero perdite terrificanti, dovute alla carestia artificiale, i morti di fame sarebbero stati 50 milioni. Intanto c’era anche la Grande rivoluzione culturale con le vittime nei “campi di rieducazione attraverso il lavoro”, che erano diventati “campi della morte”. Del resto il lager è per la morte. Comunque dagli studi effettuati da studiosi americani si ipotizza da 34.300.000 a un massimo di 63.784.000 vittime. Questo per quanto riguarda la prima fase. Per la seconda fase, le stime sono molto diverse si passa dai 10 milioni (rivista Mondo e Missione, maggio 1990) a un massimo di 70 milioni (secondo lo storico Irving Shelton).
In conclusione lo studioso brianzolo rifacendosi a dati più scientifici, di due statistici Paul Paillat e Alfred Sauvy, che hanno prodotto uno studio pubblicato nel 1974, sull’autorevole rivista parigina Population, emerge che mancavano 150 milioni di cinesi. Comunque sia le vittime del comunismo cinese rispetto a quelle della Russia sono il doppio. Corti amaramente scrive che in Occidente, mentre si susseguivano in Cina queste immense stragi – le più terribili che la storia dell’umanità conosca – “i grandi mezzi della comunicazione sociale, a cominciare dai giornali, hanno in linea di massima taciuto”. Proprio come a suo tempo per le stragi di Lenin e Stalin in Russia. C’era una sorta di censura, di un sottile conformismo, che non bisognava parlar male della Cina di Mao. In questo periodo in Occidente c’erano gli studenti che scendevano nelle strade imitando le Guardia Rosse, occupavano le facoltà universitarie, per protestare contro la guerra degli Usa in Indocina.
La 3 parte riguarda l’Indocina. Eugenio Corti inizia con un singolare incontro a Torino, il 2 novembre 1973, di personalità della “contestazione” cattolica italiana, religiosi, un paio di ex preti, tutti preoccupati del “compromesso storico”, proposto da Berlinguer alla democrazia cristiana, non tanto per quest’ultima, ma per il Pci. In pratica i religiosi erano preoccupati per il comunismo, da questo abbraccio si sarebbe inquinato. Sostanzialmente era una preoccupazione che emergeva nella “III Assemblea internazionale dei cristiani solidali con il Viet Nam, il Laos e la Cambogia”, che aveva avuto luogo a Torino. Sarebbe interessante soffermarsi sul convegno organizzato da monsignor Bettazzi. Sembra che la parola d’ordine era quella di parlare marxista, i termini più ricorrenti erano “comunismo”, “rivoluzione”. In pratica Corti evidenzia l’appoggio di quel mondo cattolico (catto-comunista) cosiddetto “progressista” al socialcomunismo, un vero scandalo con nefaste e tragiche conseguenze non solo politiche ma anche religiose. Un solo religioso si era discostato coraggiosamente da quell’assise schierata con i vietkong comunisti del Nord Viet Nam, fu padre Piero Gheddo, il grande missionario.
Eugenio Corti si sofferma sull’assemblea torinese, descrive i vari passaggi politici della guerra in Viet Nam, dello scontro tra due mondi, da una parte gli Stati Uniti schierati con il Sud di Van Thieu e dall’altro il mondo comunista schierato con Ho Chi Min del Nord comunista.
L’ultima parte del testo si occupa della Cambogia dei Khmer rossi. Anche qui Corti polemicamente rileva che i giornali occidentali non si sono occupati dei massacri in Cambogia ma concentravano l’attenzione sui fatti del Cile di Pinochet.
In Cambogia forse più di ogni altro Paese comunista si sperimentò un comunismo estremo, cancellazione del passato capitalista, per rifare la società comunista nuova, partendo da zero. La strategia è sempre quella utilizzata altrove, a incominciare dalla deportazione di massa della popolazione. Evacuazione delle città di tutti i civili, interminabili file di famiglie, che partivano senza meta, obbligate solo ad avanzare lentamente. Anche qui ci sono testimonianze oculari di religiosi che hanno assistito al genocidio cambogiano. Alla fine si registra un bilancio allucinante, ottocentomila morti, forse un milione, dopo 5 anni di guerra. E’ acclarato un terzo della popolazione cambogiana è stato fatto morire. Nella seconda parte c’è il “Processo e morte di Stalin”, con la lettera a Corti dell’ambasciatore italiano a Mosca Luca Pietromarchi dal 1958 al 1961. L’ambasciatore sostiene che l’agire di Stalin è pienamente coerente ai principi e alla logica del marxismo. Per condannarlo bisognava uscire dal sistema. Crusciov stesso ha dovuto ammettere poi che Stalin ha lavorato nell’interesse del sistema. Pertanto, non esiste nessuna linea divisoria, tra prima e dopo.
Mi avvio alla conclusione, l’importanza di questo testo oltre alla descrizione dei vari passaggi che raccontano l’aberrazione dell’ideologia socialcomunista, è il resoconto numerico del costo umano del comunismo, quanto è costato appunto l’esperimento comunista. Secondo Eugenio Corti almeno 212 milioni e in questo conteggio sono esclusi Cuba, e tutti gli Stati dell’Europa orientale. Il libro dello scrittore cattolico purtroppo non ha avuto la giusta risonanza, è circolato in aree ristrette, come samiszdat, ignorato dalla grande editoria, che rimane ancora oggi saldamente dominata dalla sinistra, che per decenni ha trapanato e martellato nelle coscienze solo le atrocità commesse dai nazisti. L’autore del libro ha partecipato nel 1995 al convegno di Milano organizzato da Alleanza Cattolica e dalla rivista «Cristianità», dal titolo «Il costo umano del comunismo nel mondo», in apertura, Corti ha stilato l’orrenda contabilità della strage. Naturalmente il comunismo è vivo e vegeto ancora in tanti Paesi a cominciare dalla Cina, Corea del Nord, Cuba, Nicaragua e Venezuela. Magari con strategie politiche più aggiornate, ma c’è eccome.
DOMENICO BONVEGNA
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