TASSA DI SOGGIORNO, CODACONS: TESORETTO DA OLTRE 700 MILIONI DI EURO ANNUI, MA POCA TRASPARENZA SU USO RISORSE

OLTRE 1.000 COMUNI IN ITALIA APPLICANO LA TASSA DA 1 A 10 EURO A NOTTE. RISCHIO FONDI USATI PER COPRIRE BUCHI DI BILANCIO;

NESSUN AUMENTO DELLA TASSA IN ASSENZA DI RENDICONTAZIONE PUBBLICA SU DESTINAZIONE PROVENTI. SIA CREATA PIATTAFORMA DI CONSULTAZIONE PUBBLICA…

La tassa di soggiorno è un tesoretto per i comuni italiani che cresce di anno in anno, e che ha raggiunto nel 2023 quota 702 milioni di euro, in aumento del +9,5% rispetto all’anno precedente. Tuttavia manca del tutto la trasparenza circa l’uso che le amministrazioni comunali fanno di tali risorse, e c’è il rischio che i proventi della tassa siano utilizzati dagli enti locali per coprire buchi di bilancio, in violazione della normativa di settore. Lo denuncia il Codacons, intervenendo in merito all’ipotesi di un aumento dell’imposta di soggiorno che, nelle intenzioni del governo, potrebbe salire fino a 25 euro destinando parte degli incassi alla raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Attualmente l’imposta varia da 1 a 10 euro a ospite per notte, a seconda della località e della tipologia di struttura ricettiva, e i comuni che la applicano sono saliti dagli 11 del 2011, anno di reintroduzione del balzello, ai 1.013 del 2023 – spiega il Codacons – Roma, che applica una tariffa media di 5,5 euro, ha registrato lo scorso anno incassi stimati in circa 120 milioni di euro annui grazie alla tassa di soggiorno, e si prevede che il gettito arriverà a 180 milioni di euro entro il 2024. Venezia ha raccolto circa 38 milioni di euro nel 2023, Firenze 72 milioni di euro, che si prevede diventeranno 77 milioni a fine 2024.
Per capire come si sia evoluta la tassa di soggiorno in Italia, basti pensare che nel 2012 l’introito garantito da tale balzello si fermava a 162 milioni di euro (-77% sul 2023), 403 milioni nel 2015 (-43% sul 2023). E se si torna indietro nel tempo, la precedente imposta di soggiorno al momento della sua soppressione al 31 dicembre 1989 (in vista dei Mondiali del ’90), fruttava 80 miliardi di lire all’anno, l’equivalente di circa 96 milioni di euro di oggi, un gettito oltre 7 volte inferiore agli attuali introiti totali.
A far apparire sempre di più la tassa di soggiorno come una “gallina dalle uova d’oro” a disposizione dei comuni, sono i dati sul turismo in Italia: il 2023 si è chiuso infatti con 134 milioni di arrivi e 451 milioni di presenze, rispetto al 2019 +3 milioni di arrivi (+2,3%) e +14,5 milioni di presenze (+3,3%). Un trend che prosegue anche nel 2024, con gli analisti che prevedono per l’anno in corso un boom di presenze in Italia pari a 467,2 milioni.
L’art. 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, che reintroduce in Italia l’imposta, stabilisce espressamente che “Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali” – spiega il Codacons – Tuttavia manca del tutto la trasparenza circa la reale destinazione dei proventi raccolti attraverso la tassa di soggiorno, e nessuno sa come i comuni utilizzino i fondi derivanti dall’imposta, col rischio concreto che gli incassi siano usati per coprire i buchi di bilancio delle amministrazioni e non per finalità turistiche come prevede la norma. Manca quindi una rendicontazione pubblica e accessibile a tutti, al pari di quella prevista per i proventi delle sanzioni stradali, che consenta ai cittadini di capire come vengano usate le risorse raccolte e quali interventi finanzino concretamente.
“I turisti non possono essere usati come bancomat dai comuni per prelevare soldi in assenza di certezze circa il reale utilizzo dei proventi della tassa di soggiorno – afferma il presidente Carlo Rienzi – Un balzello che, se portato a 25 euro, allontanerà i visitatori stranieri dalle città italiane a tutto danno del turismo. Qualsiasi rimodulazione dell’imposta dovrà essere vincolata all’obbligo per i comuni di pubblicare in modo chiaro e fino all’ultimo centesimo la destinazione reale dei fondi raccolti, anche attraverso la creazione di una apposita piattaforma accessibile a tutti, o in caso contrario saranno inevitabili i ricorsi contro l’ennesima misura a beneficio delle casse comunali e a danno degli utenti” – conclude Rienzi.