E’ facile parlare e dettare agende politiche come lo Ius scholae subito, e farlo diventare il tormentone estivo dei nostri politici, invece di pensare ad altro. C’è un aspetto fondamentale però che viene trascurato nell’accorata discussione sullo Ius Scholae. Un aspetto che ha ben evidenziato Stefano Fontana sul quotidiano online LaNuovabussola. (Ius Scholae? Ma la scuola non integra nemmeno gli italiani, 24.8.24, Lanuovabq.it)
La tesi di Fontana è questa, proporre lo Ius Scholae è assurdo. Il motivo, “si pretende di affidare alla scuola italiana la costruzione di una identità italiana nei giovani immigrati, ma la scuola statale italiana non è in grado di educare a nessuna identità nazionale, per il semplice fatto che non è in grado di educare a nessuna identità culturale”. Secondo Fontana “la scuola italiana non fornisce una identità culturale nemmeno agli italiani, figuriamoci se può farlo agli stranieri”. Fontana sta esagerando? Intanto al ministro Tajani affascinato dalla proposta, il professore pone il quesito: “Sfido il ministro Tajani a elencare i caratteri della identità culturale italiana così come plasmata dalla nostra scuola di Stato. Anzi, il processo è esattamente il contrario, la scuola italiana, davanti alla presenza di alunni stranieri, diminuisce i riferimenti alla propria tradizione e alla propria cultura – ammesso che ne abbia una – per un presunto dovere di adattamento di essa alle altre culture per spirito di accoglienza. Il caso delle omissioni nell’insegnamento della Divina Commedia di Dante è molto eloquente”. Fontana evidenzia che da tempo, ancor prima che arrivassero in massa gli immigrati, nella scuola sia Dante Alighieri che Alessandro Manzoni non vengono più studiati.
Da tempo, i due “pilastri” della nostra cultura, “sono stati combattuti nelle scuole perché organici ad una certa italianità tradizionale cattolica diventata il nemico della politica culturale gramsciana. Per questo l’archiviazione di Dante davanti alle esigenze islamiche risulta così privo di patemi d’animo, era già avvenuto”. Fontana insiste,
“La nostra scuola “pubblica” non ha una sua identità ormai da molto tempo, da quando sono penetrate in essa le ideologie moderne e da quando il relativismo ha reso impossibile intenderla come ricerca e trasmissione di verità, da quanto essa ha assunto come criterio fondamentale di formare il cosiddetto spirito critico, cosa impossibile senza l’idea della verità. Lo spirito critico, non più basato sulla verità, è stato fondato sul soggetto e a quel punto tutte le credenze sono state ammesse, perché la verità stessa è stata trasformata in una credenza”.
La Verità non esiste più nelle scuole, esistono le opinioni. Del resto, “nessuna disciplina viene insegnata ormai come avente a che fare con la verità, ma al massimo come ipotesi di lavoro”. Non solo ma la scuola italiana “non propone più nemmeno una unitaria visione della persona, ma ne ospita di tutti i tipi. L’unico dogma è il pluralismo educativo, esito di una malintesa libertà d’insegnamento, con il quale però al massimo si informa ma non si educa”. Ricordo bene anni fa il dibattito innescato da una lettera degli studenti del Liceo Classico catanese “Spedalieri”, del 15 febbraio 2007, turbati dopo i gravi incidenti allo stadio Cibali alla fine della partita Catania Palermo, che causarono la morte del povero ispettore di polizia Filippo Raciti. Gli studenti nella lettera chiedevano ai professori aiuto “Noi abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e di verità”. Sostanzialmente è la scuola che dovrebbe educare al bene e alla Verità. La risposta dei professori è a dir poco imbarazzante. “La scuola, secondo loro, dovrebbe infatti limitarsi a «stimolare domande»; quanto al «senso della vita», che nella loro lettera quasi disperata gli studenti dichiaravano di aver perso o non aver mai trovato, ebbene, che ciascuno cerchi da solo le «risposte adeguate al proprio percorso». Invece di rallegrarsi che un fatto drammatico abbia spinto un gruppo di studenti a interrogarsi sul senso del vivere, a porsi le domande essenziali, ebbene gli insegnanti li invitano puramente e semplicemente a piantarla: «Proporvi, o imporvi, delle verità è integralismo, cioè barbarie, e pertanto questo atteggiamento non può avere luogo nella scuola pubblica, cioè democratica e laica». Si notino le assurdità contenute in questa frase: la coincidenza tra proporre e imporre, l’idea secondo la quale la laicità corrisponderebbe alla assenza di qualunque valore, principio, credenza”. Attenzione, il pensiero dei prof catanesi è diffuso nelle scuole italiane. Ho trovato questa citazione casualmente con mia meraviglia, su un blog della Flc Cgil (Corriere: La scuola che non crede a nulla nulla può insegnare, 10.3.2007) Una scuola e una società che non ritengano di aver nulla da salvare nella propria tradizione e nella propria storia, nulla che meriti d’essere proposto se non una generica disposizione all’ascolto e all’apprezzamento indifferenziato (e in fondo indifferente) di tutto e di tutti, su quale base mai incontrerà l’«altro»? Ho riportato questo episodio del Liceo siciliano per rafforzare le tesi di Fontana che insiste con la sua strigliata nei confronti della scuola italiana che “non ha nemmeno una nozione di civiltà, per la paura che questo comporti un conflitto delle civiltà. Non è in grado di contrappore una propria civiltà – ripeto, ammesso che pensi di averne una – ad altre civiltà, perché non possiede criteri di giudizio superiori alle civiltà e in grado di giudicarle. Non c’è più nemmeno la nozione di conflitto, la disputa intellettuale è bandita dalla scuola a favore di una tolleranza intellettuale generalizzata che poi di fatto diventa imposizione dell’ideologia relativista”. Peraltro ricorda Fontana che la nostra scuola, “non può fare nemmeno riferimento alla storia della nazione, cosa che di solito alimenta appunto l’identità culturale. La storia che si studia sui manuali scolastici è artefatta, ideologica, acritica e stereotipata. Non è storia, è retorica politicamente corretta. Tutti i manuali di storia della scuola pubblica sono falsi. Quando va bene è una “storia di Stato”, la storia “ufficiale” stabilita da chi governa la scuola, che non è detto sia il ministro della pubblica istruzione”. Inoltre questa scuola siccome è laica, guai a fare riferimento alla dimensione religiosa, al cristianesimo, che ne è parte integrante. Anche se esistono gli insegnanti di religione cattolica, patetici, più che di cattolicesimo, sono i primi a parlare di Islam.
a cura di DOMENICO BONVEGNA
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