Si chiama Digital Service Art (Dsa), il regolamento che è stato approvato dal Parlamento €uropeo il 19 ottobre 2022, ed entrato in vigore il 17 febbraio 2024. Si applicherà a tutti i servizi intermediari di trasmissione o memorizzazione dell’informazione (social, motori di ricerca, hosting) che operano nella €U e lo scopo, dicono, è quello di migliorare la moderazione dei contenuti sulle piattaforme dei social media, controllare e limitare la pubblicazione di contenuti ritenuti illegali e bandire la disinformazione.
In realtà si tratta di una “legge bavaglio” che metterà a tacere ogni pensiero critico circolante sulla rete. Durov è solo la prima esemplare vittima. Un esempio e un “avvertimento”, per tutti. Il regolamento prevede che gli “organi preposti”, potranno chiedere la rimozione di contenuti informativi “non corretti” soprattutto in occasione di crisi che “potrebbero derivare da conflitti armati o atti di terrorismo, catastrofi naturali quali terremoti e uragani, nonché pandemie e altre gravi minacce per la salute pubblica a carattere transfrontaliero”.
In pratica, qualcuno (messo lì apposta dalla Commissione €U), deciderà cosa può essere scritto e pubblicato e cosa no, dove potrà essere pubblicato e perfino il livello di visibilità che potrà avere. È interessante leggere chi deciderà quali contenuti informativi non saranno ritenuti corretti, tra questi: il Centro €uropeo per lo studio degli algoritmi (Ecat), l’€uropol (agenzia di polizia della €U), autorità locali come l’Agcom e poi una rete di “professionisti, ricercatori e centri studi”.
Viene da chiedersi se, a tal proposito, i contenuti “non corretti” sarebbero anche quelli che in un paese normale sarebbero stati perseguiti come procurato allarme (basterebbe riprendere le cronache dei giornali durante il periodo della pandeminkia). La domanda è “retorica”, ed è volta a chi tra il 2020 e il 2023 non si è accorto di niente, o magari gli saranno sfuggite le censure, gli attacchi verbali, blocchi e divieti di pubblicazione, documenti secretati e argomenti tabù su cui era meglio tacere, e deridevano coloro i quali tentavano di attirare l’attenzione proprio su questi fatti. Mark Zuckerberg, CEO di Meta (Facebook e Instagram), in una lettera al presidente Jim Jordan e alla commissione giudiziaria della Camera (USA), scrive di essersi pentito di aver accettato le ripetute pressioni ricevute dall’amministrazione Biden-Harris, che avevano come scopo il censurare le informazioni on line, durante la “pandeminkia”.
Così come ha certificato il fatto che gli sarebbe stato impedito di diffondere la notizia del computer del figlio di Biden, pubblicata dal New York Post pochi giorni prima delle presidenziali del 2020, quando si affidò ai fact checkers di Meta che validarono la versione dell’FBI secondo cui si trattava di disinformazione russa.
Ora, la spacciata disinvoltura con cui i media nostrani hanno “affrontato” e trattato la notizia, è agghiacciante, considerato gli enormi danni socio-economici che abbiamo subito e subiamo, e invece di dargli il giusto rilievo che fanno? Rilanciano con il virus delle scimmie. Non di meno la gente che pur di non voler ammettere la beffa subita, si lascia anestetizzare dal pensiero unico.
Due domande, la prima è: perché Zuckeberg ha fatto queste dichiarazioni proprio ora? E a seguire: siete ancora tanto ingenui da aspettarvi qualcosa di diverso da un “sistema” che ha fatto della menzogna e della sottomissione dei popoli attraverso la paura, la propria ragione di esistere? Siamo ben oltre la distopia, viviamo già nella realtà distopica.
bilgiu