Quoziente familiare e incentivi alla natalità

Tra le idee che il Governo sta valutando per la prossima legge di Bilancio vi potrebbe essere quella di introdurre un quoziente familiare da realizzare tramite una rimodulazione delle detrazioni fiscali, al fine dichiarato di dare più risorse a chi ha figli. Il conto di questa “redistribuzione” sarebbe di circa 5-6 miliardi all’anno. Il fine è naturalmente anche quello di far aumentare la natalità, visto che il decremento in Italia delle nascite è ormai costante, con meno di 400 mila bambini all’anno e con record negativi che si susseguono di anno in anno (nel 2023 le nascite sono scese a 379mila dalle 393mila dell’anno precedente).

 Il numero dei single ha del resto ormai superato quello delle coppie con figli (il 33% contro il 31,2%) e per il 2040 si prevede che ci saranno più coppie senza figli che con figli. Il problema è che tale trend mette senz’altro a serio rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico, laddove (dati 2022) gli individui di più di 65 anni sono 14 milioni e 46 mila, 3 milioni in più rispetto a venti anni fa, pari al 23,8 per cento della popolazione totale. E nel 2042, se si continua così, saranno il 34 per cento della popolazione totale. È evidente che un sistema di Welfare così non può funzionare.

Il numero dei single ha superato quello delle coppie con figli e per il 2040 si prevede che ci saranno più coppie senza figli che con figli

Per sostenere quindi le famiglie e per incentivare la natalità una prima soluzione potrebbe in effetti consistere nel differenziare le modalità di spettanza delle detrazioni fiscali, con tetti differenziati a seconda del reddito e del numero dei figli a carico. E questo sarebbe comunque già un intervento a basso impatto (finanziario), considerato che un sistema fiscale che adottasse un vero e proprio quoziente familiare sarebbe ancora più impegnativo per le casse dello Stato. L’introduzione di un tale sistema generale di tassazione dovrebbe poi valutare alcune criticità tecnico-giuridiche, tra cui anche un ormai lontano indirizzo costituzionale, che tale impostazione aveva “bocciato”. La sentenza della Corte Costituzionale n. 173 del 1976 aveva infatti dichiarato illegittima – per violazione dei principi di parità dei cittadini, parità giuridica e morale dei coniugi, capacità contributiva – la legge (del 1971) che aveva accolto il criterio della tassazione del cumulo dei redditi del marito e della moglie ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

Gli over 65 sono 14 milioni e 46 mila, pari al 23,8% della popolazione totale, nel 2042 potrebbero essere il 34%

La stessa Corte, già cinquant’anni fa (!), aveva peraltro comunque rivolto un monito al Legislatore affinché intervenisse per risolvere il problema della tassazione della famiglia, auspicando un sistema tributario «che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia». La sentenza del 1976, con cui, come detto, era stato dichiarato incostituzionale il cumulo dei redditi perché ritenuto incompatibile con il principio di uguaglianza, era comunque specchio di un tempo ormai “remoto” e di una società non più corrispondente a quella attuale. La stessa Corte Costituzionale del 1976 ammetteva del resto che la convivenza influisce sulla capacità contributiva di ciascuno dei coniugi e sottolineava che «spetta, peraltro, allo stesso Legislatore di apprestare rimedio alle sperequazioni che da tale sistema, rigidamente applicato, potrebbero derivare in danno della famiglia ….» concludendo nel senso che «La innegabile esigenza di correggere tali effetti distorsivi, nella prospettiva di quel favor familiae di cui s’informa l’art. 31 della Costituzione può, invero, venire appagata sia con oculata scelta di un sistema alternativo suscettibile di essere affiancato in via opzionale al sistema della tassazione separata, sia anche all’interno di quest’ultimo, ristrutturando gli oneri deducibili e le detrazioni soggettive dall’imposta, per meglio adeguarli all’esigenza medesima».

La Corte Costituzionale già 50 anni fa aveva rivolto un monito al Legislatore affinché intervenisse per risolvere il problema della tassazione della famiglia

La stessa Consulta, con la successiva sentenza n. 76 del 1983, aveva poi ancora rilevato come il Legislatore dovesse apprestare adeguati rimedi ai possibili effetti distorsivi del sistema della tassazione separata, operando le più convenienti scelte normative nell’ambito del suo potere discrezionale. E così, anni dopo questo invito, con l’articolo 19 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, il Governo era stato delegato ad adottare, entro il 31 dicembre 1992 (la delega non venne però esercitata entro la scadenza dei termini), uno o più decreti legislativi concernenti la revisione del trattamento tributario dei redditi della famiglia, secondo una lunga indicazione di principi e criteri direttivi, fra cui si prevedeva anche la «commisurazione dell’imposta alla capacità contributiva del nucleo familiare tenendo conto del numero delle persone che lo compongono e dei redditi da esse posseduti» e la determinazione dell’imposta mediante applicazione dell’aliquota media corrispondente al reddito complessivo diviso per il numero dei componenti del nucleo. Principi che potrebbero dunque, anche oggi, permeare una eventuale introduzione del quoziente familiare, laddove la stessa Corte Costituzionale ha ancora successivamente affermato (cfr., sent. n. 358 del 1995) che l’attuale sistema di detrazioni e deduzioni non è certo sufficiente a conferire alla famiglia la rilevanza che ad essa è dovuta, dovendo piuttosto essere sostituito da un sistema come il quoziente o lo splitting familiare.

Il sistema fiscale da solo non può bastare ad invertire il trend sociale che ha portato a questa situazione

Insomma, l’evoluzione della giurisprudenza e della società dimostra che l’attuale modello impositivo non è in grado di tutelare una società in cui i figli sono ormai merce sempre più “rara” e i “nonni” sono invece merce sempre più diffusa. I secondi, oggi, mantengono (o comunque contribuiscono a mantenere) senz’altro i primi, anche, ma non solo, economicamente. Ma per quanto tale sistema può reggere? Verrà il momento in cui i secondi dovranno essere sostenuti, anche, ma non solo, economicamente, dai primi. E dobbiamo farci trovare pronti a quel momento. Il sistema fiscale da solo non può certo bastare ad invertire il trend sociale che ha portato a questa situazione, le cui cause sono ben più complesse del dibattito “quoziente familiare sì, quoziente familiare no” e valgono ben più di qualche miliardo di euro all’anno (anche considerato, peraltro, che il costo di una tale operazione sarebbe almeno in parte compensato dall’incremento dei consumi familiari, con quindi conseguente maggior gettito fiscale generale). Ma è senz’altro una componente da non sottovalutare. E poi, a volte, basta una scintilla per scatenare un incendio.

Avv. Giovambattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio sulle Politiche fiscali dell’Eurispes