FRANCESCO UN “RIBELLE OBBEDIENTE”

La memoria liturgica di San Francesco, quale migliore occasione di festeggiarlo con la presentazione di un volumetto, una breve biografia scritta dal Direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato. “Francesco il ribelle. Il linguaggio, i gesti e i luoghi di un uomo che ha segnato il corso della storia”, (Mondadori, 2018).

Il titolo della Prefazione del cardinale Pietro Parolin è altisonante: “Un ‘ribelle obbediente’”, una frase che rappresenta in toto Francesco. Una figura che suscita un grande interesse non solo tra i cristiani, ma anche e forse soprattutto tra chi è lontano dalla Chiesa. Ogni anno esce almeno una nuova biografia sul poverello di Assisi. “Ma perché scrivere un altro profilo biografico di Francesco d’Assisi?”, si chiede Parolin. La risposta si trova nel libro di Enzo Fortunato, che ha fatto un libro ecclesiale del Santo di Assisi. Francesco è un uomo di Chiesa, fedele al Papa, e che la Chiesa cattolica si misura costantemente con l’eredità evangelica del santo di Assisi. Padre Fortunato, con questo testo ha voluto mostrarci l’attualità di S. Francesco, un ribelle, nello stesso tempo, obbediente ma libero. Di solito nei santuari si va per chiedere un miracolo, “Ad Assisi no, – scrive Parolin – ad Assisi si va per incontrare Francesco”. E come se i pellegrini camminando per le strade medievali di Assisi, “sperano di incontrarlo in carne e ossa”. “Si va ad Assisi per incontrare un uomo che ha vissuto il Vangelo. Direi che ci si va per incontrare il Vangelo stesso, sine glossa”. Infatti, la semplicità, la mitezza e l’intenso fuoco interiore che ha contraddistinto S. Francesco, ancora dopo otto secoli attrae nel santuario di Assisi migliaia di persone ogni anno.

La biografia di padre Fortunato vuole far rivivere semplicemente i gesti essenziali della vita di Francesco, edificata sulla sequela di quella di Cristo. “Ed essere fedele a Cristo fu un compito rivoluzionario. Fu il compito di un anticonformista, di un ribelle”. Padre Fortunato sottolinea l’importanza della rappresentazione iconografica del Cimabue di Francesco, il poverello di Assisi. Forse per il padre francescano è il “primo ritratto ‘realista‘ della pittura europea sul finire del Medioevo”. La rivoluzione di Francesco è articolata nei luoghi, nel linguaggio, nei gesti. Il chiostro è il mondo, l’Assisiate rompe con ogni luogo chiuso, che separa che divide. Bisogna andare per il mondo, non bisogna aspettare. Annunciare nelle piazze la follia del Vangelo. Ecco perché Papa Francesco chiede una Chiesa in “uscita”. Francesco utilizza un linguaggio nuovo, non più “maestro”, “superiore”, “priore”, “abate”, “abbazia”. Per Francesco, diventano invece positive, le parole, “minore”, “fratello”, “fraternità”, “custode”. Occorre stare in società in maniera circolare e non piramidale.

Uno accanto all’altro. E poi i gesti radicali, come l’abbraccio dei lebbrosi. La rottura col padre. “Un radicalismo innegabile”, scrive Fortunato. “Sia chiaro, – precisa padre Fortunato – il figlio di Bernardone è un ribelle contro il suo tempo che va volgendo verso la vittoria dell’individualismo e della ‘società dell’avere’, non contro la Chiesa e nemmeno contro la gerarchia”. Il testo in sé su S. Francesco inizia con le parole di Dante: “Nacque al mondo un sole”. Un sole nato più di mille anni dopo Cristo, ad Assisi, nel freddo inverno del 1182. Il testo del giornalista francescano è formato di XII capitoli che tracciano la vita di San Francesco, corredato alla fine di Preghiere di e a san Francesco. Traggo dalle Conclusioni di padre Fortunato, qualche riflessione interessante. S. Francesco non offre “risposte politiche” alle tante ingiustizie sociali, di fronte al problema del male nel mondo. “La sua risposta è l’autorevolezza della sua vita, l’esemplarità dei suoi gesti. L’adesione totale e impetuosa al progetto evangelico di Cristo”. Due suggestioni colpiscono in S. Francesco: la libertà e l’abbraccio. Libertà che non significa non dipendere da nessuno. “La misura della libertà non scaturisce dalla forza dell’autonomia, ma da un’esistenza che decide di scegliere e di dipendere da ciò che ama e che è chiamata ad amare”. In definitiva, si tratta di navigare evitando “la Scilla dell’anarchia carismatica e la Cariddi del monolitismo autoritario”. Infine l’abbraccio, che significa donare, passare dalla competizione alla condivisione.

DOMENICO BONVEGNA

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