GIULIA E TANCREDI DI BAROLO UNA COPPIA PER CAMBIARE IL MONDO

Continua il mio studio sulle figure piemontesi che hanno vissuto la santità nell’Ottocento torinese. Torno a presentare le straordinarie figure dei Marchesi di Barolo, mi avvalgo di due libri, il primo di suor Ave Tago, “Giulia Colbert Marchesa di Barolo”, pubblicata da Congregazione delle Figlie di Gesù Buon Pastore (Pro-manoscripto, stampato in proprio, 1997); l’altro di Cristina Siccardi, “Matrimonio quel vincolo chiamato libertà: L’unione di Fede, Speranza e Carità di Tancredi Falletti di Barolo e Juliette Colbert”, (La Fontana di Siloe, 2014) Giulia, nata in Vandea nel 1786 dai conti Renè Colbert e Marie -Luise Quengo de Crenolle, subì un’infanzia travagliata, la sua famiglia ha dovuto lasciare la Francia a causa della Rivoluzione che minacciava i suoi familiari perché difensori della Monarchia.

La nonna paterna, la zia e altri parenti di Giulia caddero sotto la ghigliottina.“Il furore selvaggio e le inutili stragi della rivoluzione lasciarono l’impronta nella memoria di Giulia: la diffidenza verso moti violenti di protesta”, scrive suor Tago. Sugli orrori della Rivoluzione, in particolare il genocidio in Vandea, si occupa la Siccardi nel 3° capitolo (La famiglia Colbert). Giulia ha ricevuto una istruzione vasta e accurata, insolita per una donna in quei tempi. Studiò latino, filosofia, storia, matematica e fisica. Conosceva varie lingue: francese, inglese, tedesco, italiano. Studiava con passione, in seguito conservò sempre il gusto della lettura e dello studio. Giovane, bella, brillante, colta e vivace, “emanava il fascino fatto di squisita femminilità e di profonda spiritualità”, ritornata a Parigi alla corte di Napoleone incontrò un giovane nobile torinese, Carlo Tancredi, Falletti di Barolo, appartenente ad una delle famiglie più illustri e ricche della nobiltà italiana, figlio del marchese Ottavio Falletti di Barolo e di Paolina d’Oncieu savoiarda. I due giovani si sposarono il 18 agosto 1806 a Parigi. Tancredi aveva 24 anni, Giulia 20.

I coniugi Barolo educati cristianamente dalle proprie famiglie, hanno risposto con mirabile fedeltà alla grazia del matrimonio. Chi studia la loro vita rimane impressionato e ammirato per il loro amore intenso, per la loro comunione e armonia di intenti, la mutua dedizione, il dono di sé ai fratelli. “Ambedue colti e di fine sensibilità – lei più ardente, generosa e volitiva, per temperamento e tradizione intransigente nelle idee; lui non meno ricco di sentimento e di bontà ma meno espansivo, più liberale e facilmente remissivo – godettero quella perfetta comunione di spirito che ti fa ammirare, gustare e godere[…] E la loro felicità fu di quelle – troppo rare – in cui la fusione degli spiriti e dei cuori, insieme a quella della carne, esalta veramente la vita”. Certamente, caratteri e temperamenti molto diversi fra loro, ma fortemente complementari: mite lui, vulcanica lei. Giulia e Tancredi non ebbero il dono dei figli, non si ripiegarono nel loro dolore, rimasero strettamente uniti nel loro amore. Accettarono, abbandonandosi alla volontà del Padre e seppero vivere una maternità e paternità spirituale fecondissima. Adottano come figli tutti i poveri di Torino, considerandoli quale famiglia che affidava loro il Signore. Il loro Palazzo divenne oltre che il ritrovo dei letterati, l’asilo dei poveri e dei derelitti.“Gareggiavano in compassione verso ogni addolorato”, scrive Silvio Pellico, il loro segretario. Tuttavia indagavano con attenzione, facendosi aiutare dai parroci delle città e delle campagne, perché i loro soccorsi andassero alla gente bisognosa e non a coloro che vivevano nell’inganno.  Era la stessa strategia utilizzata da Maria Cristina di Savoia, Regina di Napoli. I coniugi Barolo costituiscono un modello di famiglia che si apre totalmente a Dio e ai fratelli. Hanno costruito una famiglia aperta all’evangelizzazione, al dono di sé ai fratelli: “in mirabile accordo i due giovani coniugi si accesero di santa gara nel farsi apostoli di cristiana benevolenza”. Secondo suor Ave Tago i nostri sposi “sono veramente dei “santi della carità”, che è stata la fonte e l’unica strada della loro perfezione cristiana. Spesero tutte le loro energie (tempo, denaro, capacità, salute) per alleviare le sofferenze dei più poveri e per porre le persone in condizione di uscire dall’emarginazione, fornendo istruzione, formazione professionale, lavoro”.

Il testo di suor Ave dopo aver raccontato la vita di Giulia, accenna agli scritti e alle persone importanti che hanno collaborato con la marchesa. Nella II Parte descrive le Attività e le Opere di Carità promosse in un periodo storico difficile, dove c’era tanta miseria e tanta ignoranza nelle popolazioni. “Mentre si allarga la mentalità liberalistica e la secolarizzazione, nella Chiesa si avvia un rinnovato slancio di pietà e di carità. Al razionalismo e all’inticlericalismo di moda, l’impegno dei credenti a testimoniare la propria fede e ad operare nel sociale; si moltiplicano le iniziative di carità a favore delle fasce più misere e abbandonate: bambini poveri, giovani, anziani, ammalati. Nella Chiesa di Torino in quel tempo nascono fermenti innovatori di santità e di opere di misericordia, di fervore apostolico che suscita varie iniziative di evangelizzazione”. In pratica la Chiesa suppliva alle mancanze dello Stato liberale Piemontese. Tra le Opere di Carità che hanno visto il maggiore impegno di entrambi i coniugi Barolo ci sono le carceri, una realtà difficilissima a cui si è adoperata soprattutto Giulia, che ha studiato la realtà carceraria e poi si è prodigata ad aiutare in particolare le carcerate. Giulia propone un carcere modello con un progetto rieducativo e diventa addirittura Sovrintendente alle Carceri di Torino. Mentre si occupava delle carcerate, maturò l’idea di aprire una casa per giovani vittime della disoccupazione, dell’ignoranza, dell’egoismo. Sull’esempio dell’abate francese Legris-Duval istituì il Rifugio. Poi l’Ospedaletto di S. Filomena per ospitare povere ragazze disabili. Quindi il Laboratorio di S. Giuseppe che ospitava più di 100 ragazze.

Poi ci sono le Opere Educative nella II sezione. La Scuola di Borgo Dora, l’Asilo Barolo, il primo asilo infantile in Italia, nato nel 1825, mentre quello di Ferrante Aporti sarebbe aperto nel 1929. Infine nella III sezione il testo si occupa delle Opere Ecclesiali. Mi limito a fare l’elenco: Le Sorelle Penitenti di S. Maria Maddalena; le Suore di S. Anna; le Oblate di S. Maria Maddalena; le Suore di S. Giuseppe; le dame del Sacro Cuore; le Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento; infine la Chiesa di S. Giulia nel quartiere Vanchiglia di Torino.

La III Parte del libro si occupa dell’Ascesi e Virtù della Marchesa Giulia di Barolo. “Giulia di Barolo – scrive suor Ave – può veramente costituire un modello ed un esempio fulgido a cui fare riferimento in questo nostro tempo, in cui appare sempre più urgente che tutti i credenti professino con coraggio e coerenza la loro fede e si impegnino con perseveranza nell’azione sociale […]”. Possiamo sostenere che per il suo impegno integrale nella società a 360 gradi, costituisce un modello di donna completa. Senz’altro da accostare al suo sposo che anche lui si è prodigato tutta la vita ad essere un buon cattolico impegnato nel sociale e nell’azione politica del suo tempo. Una coppia veramente cristiana che merita essere conosciuta e amata dai cristiani, come dimostra il libro di Cristina Siccardi, che mette in luce la vita matrimoniale della coppia torinese. Un testo di ben 300 pagine, documentato come si vede dalle note, che si legge piacevolmente. E’ importante oggi presentare coppie di sposi che vivendo nell’ordinarietà delle loro giornate sono riusciti a vivere il Vangelo. Soprattutto, sarebbe importante studiare la strategia che hanno utilizzato per diventare santi, lo diceva spesso nei Ritiri di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni. Non servono le curate agiografie dei santi, talvolta edulcorate. A noi interessa capire, come hanno fatto per esempio, a superare le tentazioni nei momenti più difficili. Pertanto, oggi che la nostra società, “non riconosce più il valore essenziale della famiglia non è più cristiana in quanto non riconosce più nel valore sacramentale del matrimonio un vincolo inviolabile e indissolubile; non riconosce più la sacralità della vita (aborto ed eutanasia); ritiene normale l’unione civile fra omosessuali, così come ritiene normale l’adozione di bambini a coppie gay.[…] Ecco che guardare ai modelli santi di vita cristiana diventa molto utile per togliersi dalla confusione più totale”.

La Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, ha dato più spazio ai laici, ma soprattutto con Giovanni Paolo II, la santità nel matrimonio è stata praticamente “sdoganata”. Ecco cosa scrive a questo proposito il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle cause dei santi, nell’Introduzione alla Giornata di studio su «Santità, matrimonio e famiglia» (Pontificia Università della Santa Croce – Roma, 26 maggio 2022) Il magistero del Concilio Vaticano II sulla vocazione universale alla santità e in particolare sulla vocazione dei laici (cf. Lumen Gentium, capp. IV e V), permette oggi di considerare in una nuova luce la santità vissuta nel matrimonio ed ecco che nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, Papa Francesco afferma che «ci sono molte coppie di sposi sante, in cui ognuno dei coniugi è stato strumento per la santificazione dell’altro» (n. 141). Poco più avanti il Papa indica nella Santa Famiglia l’esempio più alto: la «comunità santa che formarono Gesù, Maria e Giuseppe, dove si è rispecchiata in modo paradigmatico la bellezza della comunione trinitaria» (n. 143). Tra le numerose cause di beatificazione di sposi, la Chiesa ha già riconosciuto la santità di alcuni. Nel XIX° secolo, ci sono gli esempi dei santi Luigi e Zelia Martin, genitori di santa Teresa di Lisieux, e dei venerabili Tancredi e Giulia, marchesi di Barolo. Nel XX° secolo, ci sono i beati Luigi e Maria Beltrame Quatrocchi e i venerabili Sergio e Domenica Bernardini. Questi sposi ci offrono la più alta teologia vissuta del Matrimonio e della famiglia. Il Cardinale inoltre ha aggiunto che “Per avviare questa teologia della santità di coppia occorre, però, superare previamente alcune posizioni del passato e anche una visione alquanto individualistica della santità non del tutto ancora oggi scomparsa”. Ancora spiega monsignor Semeraro, “Le sante coppie riconosciute dalla Chiesa ci mostrano delle realizzazioni diverse della santità matrimoniale. Così, i Marchesi di Barolo, ricchi e colti, mentre, non potendo avere dei figli, sperimentavano quella che per una coppia è la più grande povertà, al tempo stesso vivevano pienamente la loro paternità e maternità (generatività) beneficando i poveri e curando i sofferenti… ed è così che mentre ci sono alcuni «genitori» che non diventeranno mai padri e madri, vi sono, al contrario, molti «padri» e «madri» che non hanno fisicamente generato”.

Tornando al libro di Cristina Siccardi, l’autrice sostiene che non è facile trovare “coppie di sposi perfettamente riuscite, coppie che si siano distinte per l’armonia fra di loro, per la Fede vissuta insieme e che si siano prodigati, con i medesimi intenti, per il bene del prossimo”. Fra queste rare coppie sono da annoverare Tancredi Falletti di Barolo (1782-1838) e Juliette Colbert de Maulévrier (1786-1864).  Non soltanto vissero cristianamente, seriamente e costruttivamente il loro reciproco amore, ma lo offrirono a Dio”. Continua Siccardi, “Prese separatamente le loro figure sono straordinarie, moltiplicate per due sono la dimostrazione che il mondo si può davvero cambiare, se le regole di comportamento sono dettate dai principi evangelici. La Fede cattolica, infatti, è stata il fondamento sul quale hanno edificato la loro casa sulla roccia”. Giulia e Tancredi hanno lavorato per la Gloria di Dio, per la cristianizzazione della società e per la riabilitazione degli indigenti. “Essi sono la dimostrazione concreta che è cristianamente possibile possedere molti beni e tuttavia esserne distaccati; sono la prova inconfutabile che se la ricchezza sta nell’anima, allora prestigio e potere possono essere messi al servizio di Dio e degli altri con sorprendenti risultati. Attaccando il loro cuore non ai beni materiali, ma a Cristo hanno abbracciato la Croce e così facendo hanno fatto loro le Sue sofferenze e le sofferenze degli infelici. Sono divenuti, come già li chiamavano quando erano in vita, «padre e madre dei poveri», ottenendo quel titolo genitoriale che di natura non ebbero. Cristo è stato il collante della loro unione coniugale, Cristo è stato il loro vessillo, la loro guida, il loro Maestro, il loro supremo obiettivo. Juliette e Tancredi  hanno vissuto con Speranza, donandola generosamente e gratuitamente agli altri con il loro costante aiuto e la loro serena presenza: migliaia di persone hanno così abbracciato la gioia di esistere”. I due marchesi “hanno vissuto in funzione della carità, per la quale si sono spesi totalmente, consumandosi in essa”. E oggi che il matrimonio è stato perlopiù svalutato, “Tancredi e Juliette parlano alle squilibrate unioni di oggi con il loro riuscitissimo matrimonio: 32 anni di vita comune, dove tutto veniva condiviso in un cuor solo ed un’anima sola”. Un’unione fuori moda? Più realistico affermare: un’unione d’eccezione e senza tempo”.

DOMENICO BONVEGNA

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