Cabaret Yiddish di e con Moni Ovadia

Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”. E una musica che evoca “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”: in una parola, della diaspora. Questo è Cabaret Yiddish, l’evento con cui Moni Ovadia prosegue la sua collaborazione con il CTB. 

Con il supporto di un ensemble di bravissimi musicisti, Ovadia condurrà il pubblico nel cuore della cultura ebraica dell’Est Europa, in un viaggio nella condizione universale dell’Ebreo errante, composto di storie, battute, canti, risate. Un cabaret, appunto.

In scena per la cinquantunesima Stagione del Centro Teatrale Bresciano, intitolata L’arte è pace, Cabaret Yiddish sarà al Teatro Renato Borsoni di Brescia (via Milano, 83) dal 15 al 17 novembre 2024, venerdì e sabato alle ore 20.30, la domenica alle ore 15.30. Pochissimi i biglietti rimasti, acquistabili sui consueti canali del CTB.

Cabaret Yiddish è uno spettacolo di e con Moni Ovadia, accompagnato dai musicisti Michele Gazich al violino, Giovanna Famulari al violoncello, Paolo Rocca al clarinetto, Nicu Nelutu Baicu alla fisarmonica. Il suono è di Mauro Pagiaro per una produzione firmata Centro Teatrale Bresciano e Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona, in collaborazione con Corvino Produzioni.

Cabaret Yiddish è realizzato grazie al sostegno di Ministero della Cultura, Gruppo A2A, Fondazione ASM, Gruppo BCC Agrobresciano, ABP Nocivelli.

La lingua, la musica e la cultura Yiddish, quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno, la condizione universale dell’Ebreo errante, il suo essere senza patria sempre e comunque, sono al centro di Cabaret Yiddish, spettacolo da camera da cui è poi derivato il più celebre Oylem Goylem.

Si potrebbe dire che lo spettacolo abbia la forma classica del cabaret comunemente inteso. Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni vivaci. Ma la curiosità dello spettacolo sta nel fatto di essere interamente dedicato a quella parte di cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica: Klezmer deriva dalle parole ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino, archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli ebrei dell’Est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo.

Ho scelto di dimenticare la “filologia” per percorrere un’altra possibilità proclamando che questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali “scientificamente determinate” per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita, dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale, del suo essere “santo”, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo, debole ma sublime.

Gli umili che hanno creato tutto ciò prima di poter diventare uomini liberi sono stati depredati della loro cultura e trasformati in consumatori inebetiti ma sono comunque riusciti a lasciarci una chance postuma, una musica che si genera laddove la distanza fra cielo e terra ha la consistenza di una sottile membrana imenea che vibrando, magari solo per il tempo di una canzonetta, suggerisce, anche se è andata male, che forse siamo stati messi qui per qualcos’altro.

Moni Ovadia

 

 

Cabaret Yiddish

di e con Moni Ovadia

e con

Michele Gazich violino, Giovanna Famulari violoncello,

Paolo Rocca clarinetto, Nicu Nelutu Baicu fisarmonica

suono Mauro Pagiaro

produzione Centro Teatrale Bresciano,

Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona

in collaborazione con Corvino Produzioni