Lo spazio significativo dell’individuo è costituito dal sistema di valori che per lui hanno significato, iscritto nella realtà della sua esperienza spaziale quotidiana.
L’esperienza spaziale determina la gestione dello spazio. Si pone però la questione dei valori su cui fondare il “senso condiviso” che, nel suo confronto con la realtà, costituisce questo “spazio significativo”. La storia della nostra civiltà sembra indicare che questi valori hanno sempre avuto le loro radici nella conservazione della specie che implica la tutela dell’individuo. In Occidente si esprimono nel rispetto dei diritti umani nell’ambito del sistema democratico. Quando si stilava queste osservazioni trent’anni fa non si sapeva ancora che ben presto non sarebbero più solo obiettivi di buona gestione dello spazio comune, ma sarebbero divenute questione di sopravvivenza, non solo della nostra civiltà ma dell’intera umanità. Oggi, la contestazione dei valori occidentali si esprime attraverso la messa in pericolo della specie umana (il nucleare non è più un’arma di deterrenza ma è ormai annoverata tra le armi offensive) e la negazione dell’essere umano in massacri indiscriminati. Tutte soluzioni non solo contrarie agli obiettivi di un reale progresso condiviso, ed in ogni caso inaccettabili in Occidente a meno che i cittadini europei e le loro democrazie accettino di fare il grande salto indietro verso i tempi passati in cui il terrore modellava i territori e la schiavitù le vite umane. In questo caso, le nostre democrazie sarebbero ovviamente minacciate nella loro stessa esistenza.
La minaccia dei confini parte da una minaccia ai nostri stessi valori
Ciò che segna lo status territoriale di uno spazio è il desiderio di difenderne i confini. Questa è la posta in gioco della sicurezza, come tornata alla ribalta delle cronache degli ultimi mesi. D’ora in poi, però, la sicurezza si esprime più in termini di interessi vitali che di confini. Ad osservare l’atteggiamento delle popolazioni dell’Ue nei confronti degli eventi in Ucraina, sembra che i cittadini delle democrazie europee non percepiscano questo conflitto come una minaccia per la nostra sicurezza, per il nostro modo di vivere e per lo spazio nel quale sono affermati i nostri valori. Viene così alla luce che il “territorio, spazio finito, sviluppato, difeso, significativo e simbolico”, uno spazio portatore di “senso condiviso”, è diverso per la popolazione e per i suoi leader. In realtà, lo è sempre stato.
La lontananza dei cittadini europei evidenzia un deficit democratico
Con il suffragio universale, l’istruzione obbligatoria e l’accesso esteso ai mezzi della modernità, è l’intera popolazione che ha ricevuto la capacità di disegnare il “territorio”, di costituire istanze di potere che corrispondono ai suoi “spazi di senso” e, di conseguenza, di “contestare” lo “spazio significativo” di chi gli governa[1]. Le varie cause del deficit democratico hanno fatto il resto. Tuttavia, nel momento in cui il potere avrebbe dunque potuto, e anche dovuto, passare nelle mani della popolazione, il mondo è diventato molto più complesso e la “tecnocrazia” ha finito per fungere da schermo, attenuando ulteriormente il potere di scelta legato al voto. Si è così ricostituita una classe dirigente, non soggetta al sistema rappresentativo che, in nome del sapere tecnologico di cui è padrona, e nell’ambito dello spazio in cui opera, decide della vita quotidiana al di fuori del sistema democratico. In tale contesto, non sorprende l’interesse dei leader politici ed economici per la costruzione europea, né la disaffezione della popolazione per un “territorio” europeo che non conosce, non capisce, soprattutto perché non gli viene dato di capire. A chi spetta la nomina della Sig.ra von der Leyen quando viene eletta alla Presidenza dell’Unione europea? Certamente non ai popoli dell’Unione europea, ai quali viene così svuotato il senso del voto, in altre parole, tolto il valore della scelta.
Gestire il cambiamento con la massima sicurezza democratica implica quindi assumere l’individuo, la persona, come misura, secondo un significato che avrebbe come limite nel tempo la sopravvivenza della specie e, nello spazio, i territori delle libertà individuali, di cui resterebbe da gestire i confini rispetto alle realtà, garantendo una gestione dialettica tra la dinamica di ciò che siamo capaci di fare e l’etica, il “senso condiviso” che dice ciò che ci è consentito fare. Un simile modello ridurrebbe il margine per il deficit democratico, restituendo ai cittadini la capacità di esercitare i diritti, doveri e responsabilità che gli appartengono, nella gestione dei propri spazi significativi di scambio.
Oggi i nostri sistemi non reggono né riguardo all’efficienza, né alla sopravvivenza, né all’etica
Le strutture di gestione si baserebbero quindi sulle scelte della maggioranza, accompagnate da garanzie per le minoranze, come previsto nelle democrazie. Maggioranza che si vedrebbe sottomessa alla realtà, che assicura l’efficienza, trascesa dalla sopravvivenza dell’individuo e del gruppo. Non si può non riconoscere il fatto che oggi i nostri sistemi non reggono né riguardo all’efficienza[2], né riguardo alla sopravvivenza[3], né, infine, riguardo all’etica[4]. Questa sarebbe la misura del potere “delle persone”. La popolazione e i leader tenderebbero a riconciliarsi attraverso spiegazioni e dibattiti, ma anche attraverso un’etica riabilitata del “senso condiviso”. Nelle pratiche negoziali, solo gli accordi fondati sul diritto sono compatibili con la democrazia. Gli accordi fondati sulle relazioni interpersonali, come accadeva quasi sempre in passato tra le dinastie regnanti, e come è accaduto troppo spesso dagli anni Ottanta del secolo scorso fino a cinque anni fa (2018) con oligarchi ed imprese multinazionali (nel settore dell’energia, dei metalli ad esempio), presentano il rischio, in un sistema democratico, di annullare la validità delle scelte elettorali, approfondendo in tal modo il deficit democratico, oltre che di privilegiare interessi privati a scapito di quelli pubblici. Non a caso nell’Europa dell’Est, dove la preferenza va ad accordi fondati su relazioni interpersonali, sono rare, di fatto, le pratiche della democrazia.
Una “gerarchia delle norme” a supporto dei valori dell’Unione
Alla luce di quanto sopra, quali sono questi valori che uniscono i cittadini europei, ne salvaguardano l’esistenza a lungo termine, che dovrebbero essere applicati nella realtà? Trascurare la dimensione culturale significa creare instabilità in termini di obiettivi; trascurare la dimensione economica sta introducendo instabilità nell’attuazione del progetto europeo; trascurare la sicurezza significa mettere a repentaglio la fiducia che induce ad aderire alla Ue. Questo dice la realtà. L’Unione europea persegue i suoi obiettivi con mezzi adeguati, secondo le competenze che le sono attribuite dai Trattati. A tal proposito, occorre leggere l’articolo 3 del Trattato di Lisbona per capire che quello che manca alla Carta dei diritti nell’Unione europea è una “gerarchia delle norme”. Non solo i valori e principi proclamati “contano”, ma anche il loro ordine di importanza, distinguendo chiaramente gli scopi e i mezzi per raggiungergli, e stabilendo la loro gerarchia quando nella realtà i vari diritti vengono in contrasto tra di loro.
Prof.ssa Myrianne Coen, Phd, Consigliere d’ambasciata e membro del Laboratorio sui BRICS dell’Eurispes