A Turetta andrebbe pena giusta e certa, non disumana…
“In merito alla pena da infliggere a Turetta vanno fatte tre considerazioni. La prima è che la pena deve essere giusta e deve tenere conto di tutte le componenti di valutazione dell’imputato. Compito dunque della difesa è far valutare tutti gli elementi obiettivi della vicenda e non valutare il caso sul piano emotivo. Seconda considerazione è il tema dell’ergastolo, discusso nella requisitoria dalla difesa di Turetta come al tempo di Beccaria era discussa la pena di morte. Prima la pena di morte veniva considerata equa per alcune fattispecie di reato, oggi è considerata incivile e inumana.
L’ergastolo è di fatto la stessa cosa, praticamente è una pena di morte perché non presuppone la possibilità di redenzione del reo. Ogni pena inflitta deve considerare la possibilità di reintegro nella società e l’ergastolo per sua natura non lo fa. Ultima considerazione collegata è che la pena però deve essere certa. Per alcuni processi premiali introdotti dallo Stato, la pena viene accorciata al condannato, che non sconta mai per intero la pena prevista dal giudice che ha comminato la sentenza. A mio avviso il condannato deve scontare per intero la sua pena, ma questo non succede e infatti i cittadini hanno la sensazione che non ci sia certezza della pena. Quando il condannato ha pagato il suo debito, però, deve poter reintegrarsi nella società”.
Lo dichiara ai microfoni di Radio Cusano l’avvocato Maurizio Paniz, ex parlamentare intervenuto nel corso della trasmissione ‘5 Notizie’ condotta da Gianluca Fabi a proposito della requisitoria fatta dagli avvocati di Filippo Turetta nel processo a suo carico per l’omicidio di Giulia Cecchettin. Il legale prosegue commentando le parole di Gino Cecchettin che ha affermato come l’unica cosa inumana sia la violenza nell’omicidio di sua figlia e non l’ergastolo. “Quando Cecchettin parla di ergastolo come pena equa da infliggere a Turetta, e del fatto che tra anni a Turetta verranno concessi degli sconti di pena, conferma implicitamente le parole che ho appena pronunciato. Il problema – spiega- è proprio che da parte del cittadino c’è la sensazione che la pena imposta non verrà poi realmente scontata, per premi e sconti concessi al condannato.
Se invece si scontasse tutto il tempo previsto dalla sentenza del giudice, anche il padre di Giulia capirebbe che l’ergastolo è in conflitto con il principio di riabilitazione del condannato. Perché l’ergastolo vuol dire carcere per tutta la vita e quindi non si recupera nulla. In questo modo prevale il ragionamento emotivo rispetto a quello obiettivo, invece a Turetta andrebbe inflitta una pena giusta e certa”. Paniz termina il proprio intervento reiterando il suo pensiero sull’istituto dell’ergastolo “Io credo che sia una pratica disumana. A mio avviso va stabilita una pena massima da attribuire a determinate fattispecie di reato, che possa essere di 27 o 30 anni. Dopodiché se al termine della pena il reo non è ancora in grado di reintegrarsi nella società vanno predisposte delle misure alternative adatte, come delle strutture apposite di detenzione.
Ma la funzione recuperativa della pena va rispettata, l’ergastolo può essere inflitto a chi non ha speranza di reintegrarsi nella società e non a un giovane come Turetta. Lui dovrebbe scontare per intero la sua pena, e nel caso non sia in grado di reintegrarsi al termine della pena, andrebbero prese le misure del caso. Ma ripeto -conclude Paniz- il principio della riabilitazione del reo è nella nostra Costituzione e nella maggior parte dei paesi democratici, se invece continuiamo a operare in questi termini diventa solo una vacuità di parola”.