La Cartina della felicità: Gesù ci sprona a essere sale che dona sapore alla terra e luce che illumina il mondo

Carissimi, filo conduttore diretto dalla lettera del mese precedente intende essere la presente riflessione atta a ribadire il concetto di paternità di Dio nei riguardi dell’uomo, fondamento della vita cristiana come fraternità.  Doppia risulta essere la valenza: ad intra (verso l’interno), cioè la vita di fraternità nella comunità cristiana, e ad extra (verso l’esterno), basamento del nostro impegno alla costruzione di un mondo guidato dal valore della fraternità. Questo secondo compito prende le mosse dalla sfida evangelica con la quale Gesù ci sprona a essere sale che dona sapore alla terra e luce che illumina il mondo (cfr. Mt 5,13 ss.).

È opportuno chiarire subito che il termine “fraternità” ingloba nel suo significato sia i fratelli che le sorelle, senza distinzione di genere, in quanto nella Lingua italiana non c’è accezione che si riferisca a suddetta condizione a prescindere dalla differenza di genere, sebbene da qualche anno, soprattutto con papa Francesco, si rende esplicito, particolarmente nella formulazione delle preghiere, la dimensione della “sororità”, dicendo sempre “fratelli e sorelle”.

Nell’analizzare questa tematica, mi soffermo inizialmente sulla prima forma (ad intra) e aggiungo che tale modalità costituisce la struttura base della comunità dei credenti, la quale porta l’imprinting della “fraternità evangelica”. Infatti, è su tale presupposto che si fonda l’impegno di uno stile fraterno che i cristiani devono testimoniare. Occorre essere compassionevoli perché è la compassione che apre gli occhi sul valore delle cose, sul poter dire ogni uomo è mio fratello, sul vedere l’altro in una luce nuova e vera. Il tutto dischiude nuove possibilità di azione e spinge a farsi prossimo.

La novità che il cristianesimo ha introdotto, a proposito della fraternità, è “rivoluzionaria” rispetto a quanto avveniva prima, sia nella concezione veterotestamentaria, ove il fratello era colui che condivideva la stessa fede religiosa, sia nel mondo greco, per il quale il “fratello” era colui che faceva parte di una certa forma di associazione. Per noi cristiani, invece, i testi programmatici della reale portata di novità si trovano nel Vangelo e precisamente in Mt 25,40 ss. (“l’ultimo giudizio”: questi miei fratelli più piccoli) e in Lc 10,29-37 (il buon samaritano).

Fra le tante strade percorribili per riflettere sulla fraternità, scelgo di incamminarmi lungo quella tracciata da papa Francesco nella Lettera enciclica “Fratelli tutti” (Assisi 3 ottobre 2020) “Sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Vi chiedo, quindi, di voler riprendere questo testo per avere un quadro aggiornato delle problematiche inerenti la fraternità, alla luce del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa. Il papa, in questo testo molto bello e impegnativo, offre un panorama completo e articolato su suddetto concetto. Delinea sul nascere le ombre di un mondo chiuso (cap.1) e conclude con la sfida alle religioni che non possono non essere al servizio della fraternità nel mondo (cap. 8).

Il suo occhio si fa lente di ingrandimento e obiettivo mirato su una scena fondamentale del Vangelo di Luca (10,30-37), offrendo uno strumento utile ed incisivo di approfondimento del valore della carità nell’esperienza del cristiano, come individuo e come membro di una comunità.

Sulla strada che da Gerusalemme conduce a Gerico un estraneo emerge in tutta la sua bellezza e provocazione: l’uomo di Samaria, uno straniero, colui che offre speranza, vicinanza, e che non resta indifferente davanti al dramma di chi, rimasto ferito dalle percosse dei briganti, è lasciato mezzo morto sul ciglio della strada. Dei tre che vedono il tramortito a terra, il Samaritano è il solo che trasforma questa visione in atteggiamento che comunica vita.

E il papa esorta a una scelta: da che parte stare?

Farsi samaritano, oggi, è ascoltare nel grido di chi ha bisogno l’imperativo di Dio: “Ama!”

A conclusione di questa mia riflessione sulla fraternità, vorrei anch’io, indegnamente, lanciare alcune provocazioni già presentate durante la scuola di preghiera, prendendo spunto dal Samaritano, modello del discepolo che vive pienamente la fraternità.

  • Abbiamo il coraggio di passare accanto a chi ha bisogno e guardare con il cuore, cioè avere la compassione che anima gli interventi necessari?
  • Siamo capaci di prenderci cura del prossimo mettendo mano al portafoglio e modificando prudentemente e saggiamente la nostra storia?
  • Siamo in grado di fasciare le ferite, di lenire il dolore del prossimo col balsamo della tenerezza e della consolazione?
  • Siamo coscienti che bisogna riprendere il corso normale della vita, dopo il coinvolgimento nelle storie dei sofferenti?

Buon Samaritano è ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui, chiunque esso sia; è l’uomo che si commuove per le disgrazie del prossimo… Buon Samaritano è colui che è consapevole che il suo aiuto rimarrà insufficiente, se non è coadiuvato. Solo in questa maniera la sua attenzione continua, coinvolgendo chi ha occhi attenti e cuore aperto verso coloro che si trovano nella sofferenza e nel dolore e il concetto di carità-amore diviene così missione, invio, trascrizione del messaggio evangelico nel vissuto quotidiano.

Cari amici,

non mi resta che riportare le parole della preghiera con la quale papa Francesco chiude l’Enciclica “Fratelli tutti”, invitando ciascuno di voi a prolungare nello spazio e nel tempo la bella testimonianza di S. Francesco di Assisi, fratello universale:

Signore e Padre dell’umanità,

infondi nei nostri cuori uno spirito di fratelli.

Ispiraci il sogno di un nuovo incontro,

di dialogo, di giustizia e di pace”.

 

Ettore Sentimentale