In tanti hanno criticato il linguaggio guerrafondaio del leader della Cgil Maurizio Landini, prima quando auspicava la “rivolta sociale”, ora con “bisogna rivoltare il Paese come un guanto”, un’altra accusa che spesso viene fatta al sindacato della Cgil è quello di fare politica e non gli interessi dei lavoratori. Per la verità non mi scandalizzo di nulla, comincio dall’ultima osservazione, un sindacato come la Cgil che faccia politica, è una cosa normale, visto che stiamo parlando di una succursale dell’ex partito comunista, e i comunisti (anche se questi possono essere definiti post o ex) fanno politica anche quando sono a tavola.
Per quanto riguarda le frasi incendiarie, è normale, nella lotta politica, i “comunisti”, hanno da sempre utilizzato tutte le strategie pur di abbattere l’avversario (anzi il nemico). Certo soprattutto quelli del governo devono abbassare i toni, ma non si può far finta di niente. Ma chi non ha incarichi di governo ha tutto il diritto di denunciare eccome questa campagna di odio che non è azzardato sostenere che è ben orchestrata da tutto un fronte unito che va dal Pd, passando per la stragrande maggioranza dei mass media, gli intellettuali, gli ambienti scolastici e universitari, i vari centri sociali e antagonisti (veri pasdaran della rivoluzione) fino ad una parte anche se minoritaria dei magistrati. Allora ha ragione il professore Giovanni Orsina, intervistato da Il Giornale, a preoccuparsi per la frase di Landini sul governo che sta facendo una svolta autoritaria.“Perché se è in atto un tentativo eversivo dell’ordine democratico in senso autoritario, passa il messaggio che di fronte a questo diviene legittimo reagire con la violenza”. Pertanto, siccome la situazione è difficile non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente, abbiamo visto tutti gli episodi di ribellione, di violenza nelle città francesi, In Italia può succedere la stessa cosa, pensiamo al caso di Milano, al Corvetto. (Massimo Malpiga, “Un messaggio da evitare che legittima le violenze”, 30.11.24)
E allora di fronte alle frasi «Svolta autoritaria», «non ci limiteremo alla protesta», «non finisce qui», «rivolteremo il Paese come guanto», «il governo non rappresenta la maggioranza del Paese», è vero Landini, ma non solo, “sfodera il linguaggio degli anni 70 per aizzare la piazza contro l’esecutivo Meloni nel giorno dello sciopero generale. Di lavoro, salari e fabbriche c’è poco nel discorso del segretario Cgil. In piazza Maggiore, a Bologna, il sindacalista diventa ufficialmente un capo-popolo, chiamando i lavoratori all’insurrezione contro il centrodestra. Parole che alzano il livello dello scontro, fino a considerare il governo in carica, frutto di un voto democratico, «illegittimo». I ministri (Salvini) diventano «bersaglio» da dare in pasto alla folla. La Cgil compie un passo in avanti nella campagna di demonizzazione del governo. Landini paragona l’esecutivo Meloni al nazismo e fascismo”. Del resto per l’ex numero uno Fiom, “i regimi autoritari come primo atto hanno sempre messo in discussione il diritto di sciopero e hanno sempre chiuso e assaltato le sedi sindacali”.
Siamo di fronte ai cattivi maestri come negli “anni di Piombo”? Per Sussidiario.net sembra di si. In un fondo di Angelo Frigerio (Sciopero Generale/ Landini, chiavi inglesi e cattivi maestri, la storia insegna, 30.11.24) affronta il tema delle parole forti dei capi del sindacato, sostanzialmente quello che si aspettavano i gruppi di facinorosi, teppisti e squadristi che “hanno impedito la libera manifestazione del pensiero nelle università di Roma e Milano e che ieri hanno provocato disordini in varie città d’Italia”. Praticamente per Frigerio, “una sorta di sovrastruttura ideologica per coprire, implicitamente, azioni violente e antidemocratiche. Di fronte alle quali abbiamo assistito al solito silenzio da parte dei media (tranne rare eccezioni) e alla complicità di tanti fra intellettuali e maître-à-penser”. Quello che stiamo assistendo, “ricorda quello che accadde nel 1971. Il 13 giugno di quell’anno l’Espresso pubblica una lettera aperta sul caso Pinelli in cui numerosi politici, giornalisti e intellettuali chiedono la destituzione di alcuni funzionari, ritenuti artefici di gravi omissioni e negligenze nell’accertamento delle responsabilità circa la morte di Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra mentre era in stato di fermo presso la questura di Milano, nell’ambito delle indagini sulla strage di piazza Fontana condotte dal commissario Luigi Calabresi”. Frigerio fa riferimento alla lettera che incolpava il commissario Calabresi, definito torturatore, della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Una lettera firmata da ben 757 fra intellettuali, uomini dello spettacolo, docenti universitari, medici, politici e altri ancora. Qualche nome fra gli altri: Giorgio Amendola, parlamentare Pci; Carlo Lizzani, regista; Giulio Carlo Argan, critico d’arte; Giorgio Benvenuto, sindacalista; Alberto Bevilaqua, scrittore; Cesare Musatti, psicanalista; Morando Morandini, critico cinematografico; Dario Fo, attore e regista; Camilla Cederna, giornalista fra i promotori dell’iniziativa. E’ una storia che ho presentato tempo fa, trovate un mio studio approfondito in questo blog (“Luigi Calabresi nel clima acido del ’68, un uomo giusto per il nostro tempo”). E’ una triste lettera che condanna a morte il commissario. “Leonardo Marino, uno del commando che uccise Luigi Calabresi, lo ricorda bene in un suo libro: “Il nostro compito era di uccidere Calabresi per vendicare la morte del compagno anarchico Giuseppe Pinelli che tutti gli intellettuali italiani, a cominciare da Dario Fo e dai più famosi giornalisti, definivano vittima di Calabresi, gettato dalla finestra di Calabresi”.
Inoltre Frigerio fa riferimento ad un’altra lettera sempre del 1971 di Lotta Continua, si tratta di un’autodenuncia(sottoscritta da numerosi noti intellettuali) indirizzata al procuratore della Repubblica di Torino che aveva inquisito alcuni militanti di LC ed ex-direttori per istigazione a delinquere. In pratica questi intellettuali si dichiarano solidali con i militanti di Lotta Continua che si impegnano a ‘combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento’, ci impegniamo con loro”, dicono i firmatari, fra questi Giulio Carlo Argan, critico d’arte; Tinto Brass, regista; Lucio Colletti, filosofo; Umberto Eco, semiologo; Natalia Ginzburg, scrittrice; Paolo Mieli, giornalista; Paolo Portoghesi, architetto; Giovanni Raboni, poeta; e altri ancora. Cattivi maestri che non hanno mai smesso di pontificare, tranne qualche eccezione (vedi Mieli). E che ancora oggi fanno parte di quella maggioranza attiva di fiancheggiatori dei violenti: “Ma in fondo, sono ragazzi”.
DOMENICO BONVEGNA