Firenze – Da una parte, l’aumento dei casi di tumore che, secondo le stime, sono cresciuti in maniera imponente, con circa 395mila nuove diagnosi nel 2023 e un incremento di 18.400 casi ogni 12 mesi dal 2020. Dall’altra, un netto miglioramento nell’efficacia della prevenzione e delle cure che, in 13 anni, si stima abbiano permesso di evitare oltre 268mila decessi. In questo contesto, l’oncologia italiana si trova a un punto di svolta, con avanzamenti senza precedenti nella diagnosi e nel trattamento dei tumori.
Le scoperte nei checkpoints immunologici, nella genomica e nei trigger points tumorali hanno delineato nuovi scenari che fino a qualche tempo fa erano inimmaginabili, portando a terapie estremamente mirate ed efficaci. Tuttavia, questi progressi scientifici devono confrontarsi con sfide cruciali di sostenibilità e accesso.
Il modello mutazionale ha avuto un impatto significativo sui sistemi sanitari, ridefinendo ambiti e competenze professionali. Ma l’innovazione diagnostica e terapeutica rischia di non esprimere tutta la propria efficacia senza un sistema in grado di accoglierla e implementarla. Problemi come l’early access alle terapie innovative, il disallineamento tra diagnostica e farmaci, e le difficoltà di rimborsabilità per le terapie target richiedono interventi urgenti.
Per quanto riguarda la sostenibilità della spesa, né la costituzione dei fondi sovraregionali dedicati ai farmaci innovativi, né la riunione dei 2 fondi in un unico fondo, né l’eventuale avanzo del fondo restituito alle regioni (non vincolato) sembrano aver risolto le molte criticità, né la recente allocazione di una parte del fondo per i farmaci a innovatività condizionata. Preoccupazione costante di ogni Regione è quanto possa accadere quando decadrà il periodo di riconoscimento dell’innovazione delle terapie che garantisce una spesa a carico dello Stato.
Per analizzare queste problematiche e proporre soluzioni concrete, Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Centro Diagnostico Italiano (CDI) e Gilead ha organizzato l’evento “Il Futuro dell’oncologia si incontra a Firenze” che ha riunito i massimi esperti del settore con l’obiettivo di discutere criticità, condividere buone pratiche e delineare un futuro sostenibile per l’oncologia italiana.
Secondo le stime, circa il 40% dei nuovi casi di tumore sono potenzialmente prevenibili in quanto correlati a fattori di rischio modificabili. Tra questi, sicuramente, c’è il fumo. Ed è un dato di fatto che in Italia ci siano milioni di fumatori che non vogliono oppure non riescono a smettere. Diventa allora fondamentale ragionare sulle strategie di riduzione del rischio, valutando l’opportunità di passare a prodotti privi di combustione.
“Negli ultimi anni – ricostruisce Silvio Festinese, Coordinatore Responsabile Cardiologia Ambulatoriale Area Ospedale S.Spirito ASL Roma I e Coordinatore Cattedra di Farmacologia International Medical University “Unicamillus” Rome – abbiamo avuto tre trial e una revisione sistematica pubblicate sulle migliori riviste scientifiche internazionali da cui emergono alcune prime, importanti, evidenze del fatto che l’uso della e-cigarette ai fini della cessazione dell’abitudine tabagica sia migliore della terapia medica basata sull’uso sostitutivo dei farmaci”. Questo, secondo Festinese, “deve farci riflettere sui consigli da dare nella clinica pratica nell’approccio ai pazienti fumatori”. Ovviamente, e il professor Festinese lo sottolinea “in maniera tassativa, è meglio non fumare. Ma per coloro che non vogliono, non riescono, oppure hanno già fallito anche con altre vie, dobbiamo chiederci se non sia possibile, nei casi di tabagismo, quantomeno ridurre il rischio, sia cardiovascolare che oncologico, così come avviene per altri fattori come l’ipertensione arteriosa, il diabete e l’ipercolesterolemia”.
Uno dei focus della giornata di lavori, in cui si è fatto il punto sulle principali terapie innovative, dalle Car-T a quelle per il tumore del seno, ha riguardato il tumore alla prostata. “Ogni anno in Italia circa 44.000 persone si ammalano di tumore della prostata. In questo scenario – ha spiegato il dottor Giancarlo Beltramo, Direttore del Centro Cyberknife CDI – la radioterapia a fasci esterni è una consolidata alternativa non invasiva al trattamento chirurgico, rispetto al quale offre pari efficacia in termini di controllo di malattia e sopravvivenza globale. La continua innovazione tecnologica nell’ambito della radioterapia – ha proseguito Beltramo – ha permesso di sviluppare nuove tecniche di irradiazione nell’ambito del tumore della prostata tra cui i trattamenti stereotassici”.
Il Cyberknife rappresenta una soluzione tecnologica unica nel suo genere. “L’accuratezza e la precisione del trattamento stereotassico con Cyberknife – ha sottolineato ancora Beltramo – non solo permette una riduzione significativa dell’irradiazione dei tessuti sani adiacenti al tumore, prerogativa per una minore tossicità e una migliore qualità della vita del paziente, ma, grazie alla precisione sub millimetrica del sistema robotico, consente di erogare elevati livelli di dose di radiazione concentrati sul bersaglio tumorale, prerogativa per un miglior controllo locale di malattia e di una maggiore sopravvivenza. Il trattamento radiochirurgico con Cyberknife ha permesso quindi di offrire ai pazienti affetti da tumore della prostata, trattamenti sicuri, veloci ed efficaci che possono costituire una nuova valida opzione terapeutica”.
“Il tumore alla prostata – ha spiegato Claudio Talmelli, presidente di Europa Uomo – rappresenta il 20% circa delle malattie oncologiche che affliggono il maschio, con circa 564mila soggetti affetti attualmente. Un vero e proprio esercito”. Con riflessi importanti non soltanto per il malato, “ma anche per tutte le famiglie. Milioni di persone coinvolte” in un problema di cui, “non si parla abbastanza, perché la malattia porta con sé una forma di stigma”. Dal punto di vista diagnostico, una svolta fondamentale è rappresentata dalla risonanza magnetica multiparametrica. “L’individuazione del tumore con la biopsia – ha spiegato Talmelli – oltre ad essere dolorosa, ha sempre comportato alcune difficoltà legate innanzitutto alla posizione della prostata, nascosta sotto la vescica. La risonanza magnetica nucleare tridimensionale e multiparametrica ha reso possibile una scansione che dà anche la profondità, e questo rappresenta un grandissimo successo perché è in grado di identificare un eventuale tumore in maniera precisa. Tutti i nuovi studi sono orientati su una tecnica di indagine che parta dal Psa e, successivamente, nel caso in cui questo sia alterato, arrivi alla risonanza magnetica multiparametrica. Il problema è che non tutte le realtà dispongono di questo tipo di macchinario. Ma sicuramente abbiamo fatto un passo avanti fondamentale per quanto riguarda gli screening, con la possibilità di salvare molte vite. Individuando prima i tumori è poi possibile mettere in campo interventi più blandi per il paziente, a cui è garantita una qualità della vita migliore”. Un aspetto tutt’altro che irrilevante, se si considera che la previsione di sopravvivenza di chi sia ammalato di tumore alla prostata “è del 91% a cinque anni, all’82% a dieci anni”.