Pesaro: la vendita del Complesso della Misericordia è un caso controverso di gestione dei beni culturali

La recente vendita del Complesso della Misericordia di Pesaro, attribuito con certezza documentata al celebre architetto del XVIII secolo Giannandrea Lazzarini, ha suscitato un acceso dibattito tra le istituzioni, gli esperti di patrimonio culturale e la cittadinanza attiva. Roberto Malini, rappresentante di EveryOne Group e di alcuni comitati culturali pesaresi, ha sollevato gravi perplessità sulla gestione di questa operazione, definendola uno sfregio all’identità culturale cittadina e si chiede se siano state seguite le procedure legate alle normative vigenti.

Gran parte della cittadinanza, attualmente, sostiene l’impegno suo e dei Comitati “Pesaro città d’arte e cultura” e “Pesaro Pensa”, nonché di EveryOne Group, volto a tentare di preservare l’architettura monumentale, destinata a essere trasformata in edilizia convenzionale a breve, senza rispetto della sua storicità e dell’inestimabile valore culturale.

Secondo Malini, il Comune di Pesaro ha alienato l’opera alla Regione senza riconoscere nei documenti ufficiali la paternità dell’architetto Lazzarini, nonostante l’attribuzione documentata e già resa nota da lui stesso. “Un’operazione di questo tipo è senza precedenti in Italia,” dichiara Malini, “dove i beni culturali di pregio sono protetti con grande rigore dal Ministero della Cultura e dalla vigilanza delle Soprintendenze.”

Un elemento centrale della questione sollevata dallo studioso e attivista riguarda l’apparente mancanza di determinazione della Soprintendenza locale, che, secondo Malini, dopo un primo approccio improntato a dialogo tre anni fa, non ha più risposto agli appelli della società civile né ha messo in dubbio l’alienazione. A rendere più urgente qualsiai intervento a difesa dell’architettura, le istituzioni hanno annunciato l’imminente inizio dei lavori sul complesso, senza considerare le obiezioni sollevate pubblicamente.

La destinazione del Complesso della Misericordia è un altro aspetto che solleva dubbi. Il progetto prevede la realizzazione di micro-appartamenti di circa 35 metri quadrati ciascuno destinati a famiglie in emergenza abitativa, per un totale di 13 unità. “Questi spazi risultano inadeguati persino per coppie senza figli,” spiega Malini, sottolineando che il costo stimato di circa 300.000 euro per appartamento è ben al di sopra del valore di mercato.

Il finanziamento, che include fondi PINQuA e forse PNRR (come è indicato in un prospetto di luglio 2024 riguardante il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), ammonta almeno a 3,9 milioni di euro (circa 750 mila euro versati dalla Regione al Comune per la compravendita e circa 3 miloni e mezzo per la ritrutturazione), una cifra che, secondo i comitati culturali, avrebbe potuto risolvere emergenze abitative più ampie e urgenti. “Non si può giustificare un progetto di edilizia pubblica così costoso con l’urgenza abitativa, se non affronta realmente i bisogni delle famiglie in difficoltà,” afferma Malini.

In Italia, la vendita di beni culturali pubblici è regolata dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004), che impone vincoli stringenti per tutelare il patrimonio storico e artistico:

  • Autorizzazione ministeriale: Un bene di particolare pregio, come il Complesso della Misericordia, può essere venduto solo con l’autorizzazione preventiva del Ministero della Cultura, dopo un’attenta valutazione del suo valore storico e culturale.
  • Diritto di prelazione: Lo Stato e altri enti pubblici possono esercitare il diritto di prelazione per acquisire il bene alle stesse condizioni dell’acquirente privato.

Anche in caso di vendita, il bene rimane vincolato a normative di tutela che ne garantiscono la conservazione e, se richiesto, l’accessibilità pubblica. Tuttavia, il caso del Complesso della Misericordia sembra distinguersi per l’assenza di un’adeguata valutazione dell’interesse culturale prima dell’alienazione.

La vendita di un bene di così grande pregio storico e architettonico è un evento eccezionale in Italia, dove le alienazioni di beni culturali pubblici sono rare e avvengono solo in circostanze eccezionali. Questo caso rappresenta un precedente problematico, che potrebbe compromettere la percezione di tutela del patrimonio da parte delle istituzioni.

Roberto Malini e i comitati pesaresi chiedono maggiore trasparenza e un riesame dell’intera operazione, invitando le autorità a sospendere i lavori e a valutare alternative che rispettino il valore culturale del Complesso. “Il Complesso della Misericordia non è solo un edificio,” conclude Malini, “ma un simbolo della storia e dell’identità di Pesaro, che non può essere sacrificato per progetti inadeguati e costosi”.

La questione resta aperta, e il dibattito si sposta ora sul futuro dei beni culturali italiani e sulla necessità di preservarne il valore per le generazioni future.

 

Nella foto, il Complesso nel primo Novecento