La vita mobile di Valentina Brancaforte. Perché senza passato non c’è futuro

Valentina Brancaforte, catanese classe ’83, ha iniziato a fotografare nel 2012, periodo in cui la sua vita si divideva tra Catania e Palermo per motivi di lavoro. Dopo anni dedicati principalmente alla fotografia di ritratto, ha cominciato a raccontare e registrare le storie che la circondano, con particolare attenzione ai temi sociali e ambientali e all’innovazione scientifica.

Valentina considera la fotografia non solo come uno strumento di documentazione, ma anche come un mezzo per esplorare e comprendere la condizione umana e soprattutto come un mezzo di espressione artistica.

Ha esposto in Italia (“Novecento, Artisti di Sicilia. Da Pirandello a Guccione”. – Collettiva a cura di Vittorio Sgarbi; “La Ricerca della Bellezza” – a cura di Letizia Battaglia) ed è tra gli autori del progetto “Il Cantico di Librino” a cura di Antonio Presti e Fiumara d’Arte.

Nel 2023 ha vinto il premio internazionale “Premio Chatwin” con il lavoro “Habitat – Mongolia”.

Valentina, a prima vista sembri una donna irrequieta. Invece, sotto sotto?

Lo sono, lo sono da sempre. Curiosa e alla ricerca di stimoli in sintonia con ciò che sono in quel momento. Ma sono anche capace di grande serenità nei momenti giusti e molte volte il feedback che mi arriva dagli altri è che questa serenità la trasmetto. L’irrequietezza è solo una parte della mia natura, quella che appartiene alle maree, bilanciata da una parte altrettanto calma e equilibrata.

Parliamo della tua indole, e quindi delle tue radici… Da cosa nasce la passione per la fotografia?

La fotografia è stata una scoperta quasi casuale (ho iniziato a frequentare un circolo di fotografia per fare un’attività insieme a mia madre quando lei andò in pensione) ma si riconnette a un amore più grande, quello per l’arte e le forme espressive più in generale.

La fotografia per me rappresenta una forma di espressione artistica e documentaristica. Un mezzo potente per connettere le emozioni e le esperienze umane a un’immagine tangibile, in grado di evocare un momento, un’emozione o un concetto. Il mio strumento per osservare il mondo (esterno e anche interno) e interpretarlo secondo la mia visione.

 Questo tuo amore profondo per il territorio è una scelta d’amore, una prova di coraggio o semplicemente una voglia di riscatto?

Probabilmente tutto insieme, misto a incoscienza. Il legame profondo con questa terra, con le mie radici, è una connessione emotiva che spesso trascende la ragione. Un atto di resistenza.

La tua fonte d’ispirazione?

Il luogo in cui vivo, con le sue storie, le sue difficoltà, la sua bellezza e la sua decadenza. I miei conflitti interiori, le domande senza risposta, le frustrazioni e le aspirazioni.

I libri, i film, i pittori, la musica che amo. Gli autori in cui trovo assonanze. Tanti per nominarteli tutti, ma potrai immaginare che si tratta di un puzzle ben complesso, da Allan Poe a William S. Burroughs, dagli Opeth a Ivano Fossati, da D.G. Rossetti a Klimt, Tarkovsky e Tarantino.
I fotografi, maestri e perfetti sconosciuti. Chi ha acceso la scintilla, Letizia Battaglia.

Il respiro di Biancavilla: come è nata questa storia fotografica?

Anche qui il caso ha giocato la sua parte. Mi stavo documentando sulle ultime cave rimaste in Sicilia, ne avevo visitata qualcuna in passato e fatto qualche ritratto agli ultimi ‘pirriaturi’ e ‘cavaturi’ e volevo ampliare e approfondire il racconto.

Ma tra le cave con una storia ‘importante’, a due passi da casa, ho trovato quella di Monte Calvario.

Una storia che personalmente non conoscevo, di cui non avevo sentito parlare neanche a casa, ma che è importante non si dimentichi soprattutto perché ancora non ha trovato soluzione.

Da li ho iniziato le mie ricerche, gli studi, i contatti…con un po’ di incoscienza forse…

Entrare in certe storie e nei vissuti di chi le ha subite comporta uno sforzo emotivo non indifferente.

Osservando le tue foto i personaggi sembrano intrappolati: e non è quello che succede ogni giorno a Noi?

Probabilmente questa percezione di “intrappolamento” è un tema che attraversa la mia ricerca e il mio interesse.

Quando parli di “personaggi intrappolati”, credo possiamo riferirci a una condizione non necessariamente fisica, ma esistenziale comune. Una metafora potente, legata alla percezione di situazioni che ci limitano, che ci impediscono di esprimerci liberamente o di vivere pienamente. E spesso non è un’esperienza isolata, ma qualcosa che condividiamo, in modi diversi, nel corso della nostra vita.

La bellezza di questa ricerca sta nel fatto che riconoscere queste situazioni per me è il primo passo per imparare a liberarmi. L’accettazione di sé, l’ascolto delle nostre emozioni, la connessione autentica con gli altri e la lotta per i diritti e la libertà sono modi per trovare aperture, per superare le barriere che ci tengono fermi.

Quali sono le similitudini fra te e i personaggi dei tuoi lavori?

Racconto storie in cui riscopro un frammento della mia identità, un frammento che si intreccia con la mia storia personale. A volte storie specchio di esperienze vissute, di paure o emozioni, di perdite e ricerca di memoria.

C’è una speranza che si possa spezzare il filo che lega i quartieri popolari alla politica clientelare?

 E’ una sfida difficile, ma non priva di speranza (mi definisco una sognatrice nel mio profilo ig).

Spezzare un sistema clientelare radicato richiede tempo, volontà politica (e qui sta a noi pretendere che venga formata una classe politica consapevole e illuminata), e l’impegno di molti attori (associazioni locali, reti di cittadinanza e di rigenerazione urbana, noi in prima persona…). Non si tratta di un cambiamento che può avvenire dall’oggi al domani, ma è possibile se ci sono politiche orientate al lungo periodo, se la società civile è attiva, se si stimola senso civico e consapevolezza e se i cittadini si sentono parte di un processo di cambiamento concreto e collettivo.

Più che alla speranza mi affiderei alla capacità di mobilitare risorse, consapevolezza e azioni concrete da parte di tutta la comunità.

Sei d’accordo con chi sostiene che per ogni donna che emerge nel campo lavorativo ce ne sono venti che abbandonano l’obiettivo?

Sì, malgrado vorrei non fosse così. Esistono ancora troppe disuguaglianze strutturali che penalizzano le donne. Discriminazioni di genere sul posto di lavoro (sia evidenti che sottili), difficoltà di conciliare vita professionale e familiare, aspettative sociali…portano spesso a rinunciare alle proprie ambizioni.

Anche la visibilità delle donne in posizioni di leadership è ancora troppo bassa e questo porta ad avere pochi modelli di riferimento a cui ispirarsi (per non parlare del fatto che a volte quelle che li ricoprono ricalcano modelli maschili, poco sensibili e a volte anche contro le donne stesse – ti ricorda qualcosa il giro di boa a 40 anni?).

Ogni artista sogna che il suo lavoro, quando finisce nelle mani del mondo lo faccia sentire meno solo. E’ questo il destino che lega magicamente le persone sensibili?

Ogni artista, consapevole o meno, spera che la sua creazione parli a qualcun altro in modo anche universale. Connettere, probabilmente è questa la parola chiave: spera di connettere gli altri al proprio mondo, alle proprie emozioni, alla propria visione e missione.

Sul sentirsi meno soli non so. Forse spera di incontrare persone in cui riconoscersi e da cui essere riconosciuto come individuo, come se la stessa esistenza trovasse un senso solo nel momento in cui fosse riconosciuta da qualcun altro.

Le persone sensibili (quelle che percepiscono il mondo in modo più intenso, che vivono le emozioni in maniera più profonda) sentono spesso un senso di solitudine o di incomprensione. Gli artisti sensibili tendono a vivere l’esperienza della solitudine come una condizione quasi inevitabile, ma che allo stesso tempo li spinge a cercare connessioni più autentiche, più sincere, più intime. E credimi, sono poche.

Ho sempre apprezzato quello che c’è oltre le nuvole. L’importanza di non sprecare il tempo e di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. Ma anche il coraggio di accettare i propri limiti. Ma pure alzare lo sguardo anche quando si oscura il cielo. A te cosa ha insegnato vivere in Sicilia?

Che la bellezza può essere trovata nei contrasti e nelle contraddizioni. Che lo stesso seme può essere madre e morte. Mi ha insegnato ad accogliere la diversità e a reinventarmi, cercando un’opportunità di crescita anche nei momenti di incertezza. E’ difficile spiegarla a chi non ci vive, ma di certo la Sicilia è in gran parte la sorgente del mio essere irrequieta.

L’eterna domanda: essere artisti fino in fondo quanto paga?

In termini economici, come carriera, non sempre paga. Non è solo questione di talento, sono tanti i fattori che influiscono, ma non credo serva qui elencarli.

L’appagamento sta nell’atto della creazione, del mettere in moto meccanismi per cui nasce la consapevolezza che ciò che fai ha un valore intrinseco, che va oltre la misurabilità del mondo esterno o economico. E’ una questione di sopravvivenza interiore. Ecco, mi sentirei meno viva se non accogliessi questa mia esigenza di creare.

Qualcuno in famiglia ti ha trasmesso l’amore per l’attivismo civile?

Indubbiamente mamma e papà.

A parte le azioni portate avanti per alcuni diritti sociali e dei lavoratori, il loro attivismo lo hanno fatto tra i banchi di scuola come insegnanti. Sembra banale, ma oggi non è per nulla scontato. 

Codice rosso: le cronache purtroppo raccontano spesso casi di stupro. Quando si è perso il senso dell’amore?

Quando parliamo di stupro, non si parla solo di un atto di violenza fisica, ma anche di una violazione profonda del rispetto reciproco, del consenso e della dignità umana. Il senso dell’amore si perde ogni volta in cui ci si sente in diritto di poter esercitare sull’altro dinamiche di potere e controllo.

Kafka scriveva: Tu sei libero e di qui inizia la tua perdizione… ti rispecchi in questa frase?

Tanto. Essere liberi è affascinante e sconvolgente al tempo stesso. Significa ritrovarsi davanti una molteplicità di possibilità, comporta inevitabilmente un senso di smarrimento. Al di là dei rischi che comporta fare scelte proprie, non seguire orme già tracciate, confini sicuri, c’è il rischio più grande di smarrire il senso della propria esistenza. Ma anche quello di ritrovarsi pienamente.

Perché vuoi salvare il mondo?

Ti do una cattiva notizia, Valentina non ha i superpoteri. Voglio solo fare la mia parte, per il bello che può essere preservato.

In questi anni sei riuscita a raccogliere tutti i tuoi desideri?

Ho raccolto molte esperienze, vissute sempre con intensità e ne sono pienamente soddisfatta. Ma coltivo ancora molti desideri, la voglia di viaggiare, connettermi con realtà e persone diverse da me, creare con altri artisti…