Lo ricordo bene il mio primo referendum. Non era il primo solo per me, ma per tutta l’Italia. Era il 1974, avevo ventidue anni. Scrupolosamente, mi ero informato. Insomma, la questione l’avevo presa sul serio. Ricordo la difficoltà a spiegare a chi incontravo che se volevano che la legge sul divorzio (dicembre 1970) non venisse abrogata dovevano mettere la crocetta sulla scheda dove c’era scritto “No”. Mi resi subito conto che molti non capivano, anche perché la parola abrogare non era certo d’uso comune.
Ci ripenso oggi che la Cassazione ha dato il via libera al referendum per abrogare la legge sull'”Autonomia differenziata”. Che detta così ricorda un po’ la immondizia. Se il cittadino medio ha seri problemi a capire che il “No” è l’esatto contrario di quello che pensava, che cosa può capire il primo che passa per strada catapultato in una materia nella quale già faticano a muoversi i costituzionalisti, studiosi di diritto che da una vita si muovono tra le righe della legge?
Io sono affascinato dallo strumento del referendum, un grande esempio pratico di democrazia. Ma un conto è chiedere: vuoi o no concedere a una coppia la possibilità di divorziare? vuoi o no concedere a una donna la possibilità di abortire? Quesiti ai quali tutti, bene o male, siamo in grado di rispondere. Ognuno ha le proprie idee. E le manifesta con una crocetta. Evviva la libertà.
Ma come si fa a chiedere ai cittadini di addentrarsi in un ginepraio di leggi dove rischia di perdersi anche se s’è laureato in giurisprudenza? E dove non la vedono nello stesso modo nemmeno gli studiosi che si occupano quasi esclusivamente di questo? Stiamo parlando di cattedratici, professori universitari che vivono quotidianamente questa materia.
E qui – ovviamente è solo la mia opinione – scatta la molla del di qui o di là, i cittadini non scelgono perché hanno una propria idea o hanno capito, mediamente seguono alla cieca le indicazioni del partito al quale si ispirano. Il “Sì” o il “No” diventano così un voto simile a un’elezione politica. E riflettono nella scheda che viene loro consegnata nell’urna il pensiero del proprio leader di riferimento. A me tutto questo non sembra affatto giusto. E torna – per me drammatico – o di qui o di là, i cittadini diventano greggi che seguono il proprio cane pastore. Orrore. E fa pure rima.
Siete davvero sicuri, giusto per fare un esempio concreto, che i cittadini abbiano ben compreso che cosa siano i Lep? La gente che andrà a votare sa che cosa sta votando? Quel che non sa è che, poi, tutti si laveranno le mani dicendo: l’hanno voluto i cittadini.
Che tristezza.
Nicola Forcignanò