3° Rapporto sulla Salute e il Sistema sanitario

Il quadro delineato dal 3° Rapporto sulla Salute e il Sistema Sanitario presentato questa mattina presso il Museo Ninfeo di Roma non è incoraggiante. Ci parla di operatori stanchi, frustrati, in cerca di vie di fuga, di un SSN che sembra aver smarrito la via, dimenticando le priorità per cui era stato istituito, trascurando la sua forza pulsante, cioè il suo personale. Il Servizio Sanitario pubblico è allo stesso tempo attraversato da un cambiamento che sta avvenendo al suo interno, in termini generazionali e di genere e forse da questi temi si può ripartire per immaginare un futuro diverso per la Sanità.

 

Il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara ha sottolineato come: «occuparsi di salute richiede un approccio olistico, intersettoriale, dinamico, nazionale e internazionale, ma richiede anche la capacità di calarsi, di volta in volta, in precise aree disciplinari o problematiche specifiche, al fine di osservarle, analizzarle e formulare osservazioni e proposte.

Il Rapporto che presentiamo oggi si sviluppa proprio lungo queste direttrici e il messaggio che emerge è chiaro: la salute, più che mai al centro del dibattito pubblico, è una questione che coinvolge tutti i livelli decisionali e richiede la partecipazione di settori diversi, dalla pianificazione urbana alle politiche ambientali, dall’istruzione alla tecnologia. Solo attraverso un approccio integrato e sostenibile sarà possibile sviluppare politiche che non si limitino alla gestione del Sistema sanitario, ma promuovano il benessere complessivo delle persone e delle comunità. Questo significa proporre nuovi modelli organizzativi, approcci innovativi alla salute pubblica e paradigmi avanzati che considerino la prevenzione, gli stili di vita e le condizioni sociali come centrali per la tutela della salute, elementi fondamentali su cui iniziare a lavorare, insieme, in modo serio e concreto».

 

Il Presidente della Fondazione Enpam, Alberto Oliveti, ha evidenziato che: «Nei cambiamenti in atto, demografico, generazionale, valoriale, tecnologico, la professione medica deve riconquistare rilevanza sociale e autorevolezza. In quest’ottica, quindi, vanno rivalutati il ruolo e l’atto medico. Questo è il fulcro del problema. Per riappropriarci dell’ars medica dobbiamo ripartire dalla sua definizione e quindi da: scienza, coscienza e sapienza, ben consapevoli che l’Intelligenza artificiale, nel suo essere pervasiva, cambierà pratiche, politiche ed etica.

Ferma restando la necessità di prevenire le aggressioni, aumentando i controlli nei luoghi di cura, e di perseguire penalmente la violenza anche in flagranza differita, il rapporto medico-paziente deve diventare materia di studio alla ricerca dell’approccio migliore.

La relazione è all’insegna dello stress: il medico è impegnato, il paziente è preoccupato, spesso incolto. La gestione della relazione con il paziente sotto stress va studiata considerando che anche l’altro attore, il medico, è sotto stress. Non sono in dubbio le competenze e l’impegno dei medici (che nelle liti finite in tribunale vengono chiamati direttamente in causa solo in 3 casi su 10).

La necessità è quella di insegnare l’importanza della parola e di approcci non verbali diversi per interpretare il bisogno e l’aspettativa relazionale del paziente. Perché è solo nella relazione che si realizza la potenzialità assistenziale».

Di seguito alcuni degli elementi emersi dal Rapporto:

Professioni in transizione

Dal 2008, la dinamica espansiva del dato riferibile al personale medico e infermieristico del SSN, registrata tra il 1978 e il 2007, ha subito una decrescita legata a scelte di natura politica ed economica.

La perdita di personale è graduale e costante: nel 2014 vengono assunti 80 dipendenti ogni 100 usciti, nel 2015 il rapporto è di 70 ogni 100, nel 2017 vengono sostituiti 98 dipendenti ogni 100. Inoltre, tra il 2014 e il 2017 l’incidenza della spesa per personale dipendente del SSN sulla spesa sanitaria totale si riduce dal 31,4% al 30,1%. Una conseguenza dello scarso turnover del personale sanitario è l’aumento dell’età media dei dipendenti del SSN.

Alla diminuzione del personale stabile fa da riscontro l’incremento del lavoro flessibile: nel 2018, nel comparto sanità si concentra il 45% dell’utilizzo di unità annue a tempo determinato di tutta la PA (35.481 su 79.620). Oltre alla riduzione degli occupati, si assiste ad un peggioramento delle condizioni di lavoro a parità di retribuzioni medie lorde.

Al 31 dicembre 2022 il personale dipendente del SSN ammonta a 625.282 unità, risultando in aumento dell’1,3% rispetto all’anno precedente (+8.083 unità). Ma intanto aumenta anche il precariato: tra il 2019 e il 2022 il ricorso al personale a tempo determinato aumenta del 44,6% (Rapporto Fnomceo, 2024).

Il personale è stato uno degli aspetti principali delle politiche di contenimento e riduzione della spesa pubblica destinata alla sanità. Ciò ha contribuito all’esplosione di problemi legati alla disaffezione dei dipendenti e soprattutto allo svuotamento di valore e di significato del lavoro nel e per il Servizio Sanitario Nazionale. Il blocco del turnover, e dunque la carenza cronica di personale all’interno delle strutture sanitarie, da decenni costringe gli operatori a sforzi prolungati, continui e ad alto coinvolgimento fisico e psicologico. Una survey condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri porta alla luce come un medico su due sia in burnout (52%), e per gli infermieri poco meno di uno su due (45%); per entrambe le professioni, l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permangono difficoltà di conciliazione lavoro-vita familiare.

Ad incrementare il disagio vissuto dal personale sanitario vi è poi l’aumento dell’aggressività dell’utenza sempre più frequentemente responsabile di episodi di violenza con circa 18.000 operatori coinvolti. A segnalare i 2/3 delle aggressioni sono professioniste donne; la professione più colpita è quella infermieristica, seguita da medici e operatori sociosanitari. I setting più a rischio sono i Pronto Soccorso e le Aree di Degenza e gli aggressori principalmente gli utenti/pazienti. Questi fattori hanno concorso a ridurre l’attrattività del SSN rendendo oltremodo difficile reclutare nuovi operatori e trattenere quelli già in servizio. Chi lascia il SSN va all’estero o nel privato alla ricerca di orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia.

Anche il cambiamento generazionale sembra aver determinato differenze nel modo di vivere e di esercitare la professione medica. Esiste un gap piuttosto marcato tra la prima generazione (Baby boomers), composta peraltro quasi esclusivamente da uomini e le seconde due (Gen X e Millennials) altamente femminilizzate. Queste ultime, infine, sembrano differenziarsi a loro volta dalla Generazione Z, i nativi digitali, ancora più flessibili e mobili rispetto ai colleghi.

La spesa per il personale e le retribuzioni nella sanità italiana

In un confronto con i paesi dell’area OCSE emerge che il reddito annuale dei medici specialisti in Italia risulta di quasi il 22% più basso della media, con penalizzazioni molto forti rispetto a Svizzera, Olanda, Germania, Irlanda e rilevanti anche con Danimarca e Regno Unito. Anche per il reddito medio annuale degli infermieri ospedalieri l’Italia si colloca oltre il 22% al di sotto della media OCSE. Abbiamo 1,8 medici ogni mille abitanti, con un’età media di 50,5 anni, dove la classe di età compresa tra 60 e 64 anni è ancora la più numerosa. Per il personale infermieristico, invece, l’età media è pari a 46,9 anni, con rapporto rispetto alla popolazione residente di 4,71 per mille, che sale al 5,04 se si considerano anche gli ospedali equiparati al pubblico.

Le nuove tecnologie e il lavoro in sanità

Molte delle innovazioni tecnologiche portano ad un risparmio di tempo e ad una maggiore efficienza nel lavoro di medici e infermieri, con effetti positivi o molto positivi sulla produttività. Pensiamo innanzitutto a sistemi ormai consolidati come quelli di refertazione a distanza, alle cartelle cliniche digitali, alle diverse applicazioni di telemedicina. L’utilizzo crescente di robot nella chirurgia permette non solo di eseguire particolari sequenze di operazioni in modo più preciso, migliorando la qualità delle prestazioni, ma spesso garantisce anche una maggiore rapidità di esecuzione. In un àmbito totalmente diverso, si può fare riferimento allo sviluppo di software specializzati e di sofisticati sistemi di analisi ed elaborazione di dati in àmbito diagnostico.

I rischi maggiori di perdita del lavoro sono presenti per alcune occupazioni di livello “inferiore” con competenze prevalentemente manuali, come gli ausiliari. Allo stesso modo, i livelli bassi o medio-bassi delle stratificazioni occupazionali sono ingrossati dalla crescita degli operatori addetti all’assistenza di base, con mansioni dal contenuto fortemente relazionale che sembrano ancora abbastanza al riparo dalle innovazioni tecnologiche di tipo sostitutivo.

Il Servizio Sanitario Nazionale risulta impoverito nella sua risorsa forse più importante: quella umana. Da un lato, la grande sfida è quella di riaffermare l’importanza del lavoro nel settore pubblico come valore in sé: il SSN concepito come un bene comune in grado di servire il benessere collettivo. Dall’altro, è fondamentale ricorrere innanzitutto alla leva economica per poter attrarre nuove forze, adeguando gli stipendi ai ruoli ricoperti e alle retribuzioni europee. Tuttavia, la leva economica non pare sufficiente per migliorare il reclutamento e la retention del personale medico e sanitario del SSN: il benessere cui i giovani ambiscono fa riferimento a condizioni di lavoro dignitose relativamente ai carichi di lavoro e alle turnazioni, all’ambiente fisico in cui esercitano la professione, nonché di conciliare la sfera professionale con quella privata.

Un SSN sempre più al femminile, ma non paritario

Un’altra grande sfida riguarda il governo delle donne in Sanità, dove la presenza femminile è cresciuta costantemente negli anni, al punto che due terzi dei lavoratori del settore oggi sono donne. Tuttavia, le posizioni dirigenziali e apicali sono ancora prevalentemente occupate da uomini; e il lavoro su turni, le difficoltà organizzative, la carenza di servizi di conciliazione vita-lavoro gravano particolarmente sulle professioniste. A dicembre 2021, sono 450.066 le donne che lavorano con contratto a tempo indeterminato presso le strutture del SSN, un trend che risulta in crescita costante negli ultimi anni. Più di un medico su due è donna (51,3%), una percentuale destinata a crescere, considerata la prevalenza femminile nelle classi di età più giovani.

Permangono inoltre forti squilibri di potere: nel 2022 dei 106 presidenti degli Ordini professionali provinciali, 11 soltanto sono donne (10%), e solo il 19,2% dei primari è di sesso femminile. Una situazione analoga emerge quando si analizzano i dati del personale docente e ricercatore in scienze mediche presso le Università italiane: le professoresse ordinarie costituiscono appena il 19,3% del totale e, per vedere aumentata la loro presenza, è necessario scendere verso le posizioni più basse della gerarchia accademica. Tale sproporzione di genere è fortemente legata alla composizione per età anagrafica e alla struttura della piramide per età dei medici.

La Missione 6 del PNRR

La Missione 6 denominata “Salute” dispone di risorse economiche per 15,62 miliardi di euro, pari all’8,03% dell’intero PNRR. Gli investimenti hanno lo scopo di superare le criticità del SSN – tempi di attesa, scarsa digitalizzazione, mancata sinergia tra strutture, divario territoriale – per preparare il settore alle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto.

Le risorse a disposizione saranno così suddivise: una prima Componente in Reti di prossimità, Strutture e Telemedicina per l’Assistenza Sanitaria Territoriale per 7 miliardi di euro; una seconda Componente in Innovazione, Ricerca e Digitalizzazione per 8,62 miliardi di euro.

Ad oggi la medicina territoriale è affidata a medici di base e unità di pronto soccorso, insufficienti a rispondere ai bisogni della comunità. L’implementazione della medicina territoriale attraverso le Reti di prossimità coincide con la realizzazione di Case della Comunità per 2 miliardi di euro, Case di Abitazione del paziente per 4 miliardi di euro, Ospedali di Comunità per 1 miliardo di euro. Se le Case di Comunità costituiranno il punto unico di accesso alle prestazioni sanitare sul territorio – se ne prevede 1 ogni 40.000/50.000 abitanti – la Casa di Abitazione si concentra sulle necessità derivanti dall’invecchiamento della popolazione e le conseguenti malattie croniche che riguardano il 40% della platea, anche attraverso la telemedicina e le cure domiciliari. Gli Ospedali di Comunità avranno invece la funzione di potenziare l’assistenza sanitaria intermedia mediante la creazione di strutture destinate a degenze brevi – inferiori a 30 giorni – e agli interventi sanitari a media/bassa intensità clinica, con 20 posti letto ogni 100.000 abitanti, e un’assistenza 24/7.

La seconda Componente della Missione Salute prevede invece investimenti per la modernizzazione del parco tecnologico e digitale (4,05 miliardi), sicurezza e sostenibilità degli edifici (1,64 miliardi), rafforzamento delle ICT e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati (1,67 miliardi), potenziamento della ricerca biomedica (0,52 miliardi), implemento delle competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali (0,74 miliardi). La Riforma consiste inoltre nella riorganizzazione della rete degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) con una governance aziendale sempre più strategica e orientata alla ricerca.

Mentre la l’attuazione normativa e procedimentale delle Componenti della Missione 6 – in massima parte affidata alla competenza del Ministero della Salute – è sino ad oggi avvenuta nel rispetto del cronoprogramma fissato nel PNRR, la loro attuazione concreta – rimessa alle Regioni ed agli Enti locali – sconta rallentamenti e ritardi in grado di mettere in dubbio la conclusione dei relativi interventi, programmata entro il mese di giugno 2026. Ciò sia per la nuova medicina territoriale, ove la creazione delle nuove Case della Comunità ed Ospedali di Comunità è molto lontana dall’effettivo completamento e messa in funzione; sia per il potenziamento delle ICT all’interno del SSN. Il numero e la capacità tecnico-amministrativa del medesimo personale non sono stati sino ad oggi in grado, anche all’interno della Missione Salute, di rendere le Regioni e gli Enti locali pienamente capaci di attuare concretamente gli interventi affidati a tali livelli di governo.

Sanità digitale e SSN digitalizzato

In ambito clinico, l’IA ha già mostrato le sue potenzialità: nell’attività diagnostica; nell’analisi dei dati e di medicina predittiva; nell’assistenza ai pazienti, consentendo progetti di telemedicina avanzata e potrebbe ridurre del 17% il tempo che i medici impiegano in compiti di natura amministrativa, che attualmente corrisponde al 50% del tempo di lavoro. La sburoctatizzazione dell’attività medica può avere come conseguenza più tempo e attenzione da investire nella relazione tra medico e paziente. Il PNRR rappresenta un’opportunità concreta (l’ultima?) per un rilancio del SSN grazie alla digitalizzazione.

Una delle principali sfide individuate dall’Eurispes per il SSN riguarda il livello di competenze digitali del personale, ancora troppo basso. L’Italia è 18esima per grado di digitalizzazione tra i 27 Paesi dell’Ue, evidenziando la natura sistemica e non particolare della questione. In secondo luogo, c’è la necessità di digitalizzare le infrastrutture su tutto il territorio nazionale, in conformità con quanto indicato dalla Missione 6 del PNRR. Il rischio, in sanità, è che alle ben note disuguaglianze del SSN “analogico”, mai sanate, potrebbero sommarsi quelle specifiche del SSN digitalizzato.

Telemedicina

L’intelligenza artificiale promette di rivoluzionare il sistema sanitario, moltiplicando le possibilità di cura e ridefinendo tutte le dimensioni relazionali di cui esso si compone: professionista sanitario-paziente, professionista sanitario-struttura, paziente-struttura sanitaria. Ma l’incertezza normativa costituisce un ostacolo molto rilevante alla diffusione dell’IA. L’AI Act dell’Ue individua proprio nella salute uno degli interessi primari da tutelare. Sul fronte dell’attività clinica, invece, rilevanti implicazioni deriveranno dall’aver incluso tra i sistemi ad alto rischio i software as medical device (SAMD), vale a dire i software impiegati nell’ambito dell’attività sanitaria. La particolare cautela nell’uso dei dati vale ovviamente ancora di più in ambito sanitario per la natura dei dati prodotti, conservati, trasmessi e processati.

In Italia è in esame un DDL che riconosce l’utilizzo di sistemi di Intelligenza Artificiale in àmbito sanitario, purché ciò avvenga nel rispetto dei diritti, delle libertà e degli interessi della persona, anche in materia di protezione dei dati personali, l’aspetto forse più complesso e che coinvolge la comunicazione tra medico e paziente.

Intelligenza Artificiale generativa e cybersicurezza

L’Intelligenza Artificiale generativa ha il potenziale di generare, a livello globale, da 2,6 trilioni di dollari a 4,4 trilioni di dollari di valore in tutti i settori economici. Anche il settore farmaceutico e dei prodotti medicali, unitamente al settore sanitario, è destinato a registrare una crescita economica notevole grazie all’adozione dell’IA generativa. Nello specifico, il settore sanitario potrebbe vedere i suoi ricavi aumentare dall’1,80% al 3,20%, corrispondenti a ulteriori 150-260 miliardi di dollari. L’IA generativa darà vita a trattamenti sempre più personalizzati e a migliori outcome di salute per i pazienti. Attualmente, diverse aziende biotecnologiche stanno cercando di sviluppare farmaci personalizzati basati sul profilo genetico di ciascun individuo combinando insieme le tecnologie di IA generativa e digital twins.

La drug discovery è sicuramente un àmbito in cui l’IA generativa può esprimere il suo massimo potenziale in gran parte perché può aumentare la produttività accelerando il processo di identificazione dei composti per possibili nuovi farmaci, accelerare lo sviluppo e i processi di approvazione e migliorare il modo in cui i medicinali vengono commercializzati. L’IA generativa sta facendo passi da gigante anche nella diagnostica per immagini, dove consente una lettura precisa delle immagini mediche e di rilevare tempestivamente eventuali anomalie.

Dopo la produttività clinica, il coinvolgimento nonché il miglioramento dell’esperienza di cura del paziente sono il secondo àmbito in cui l’Intelligenza Artificiale generativa esprime un elevato potenziale. Negli Stati Uniti oltre il 70% delle organizzazioni sanitarie sta già utilizzando strumenti di intelligenza artificiale generativa o li sta testando. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene l’utilizzo di tecnologie come l’Intelligenza Artificiale per ridurre i danni dovuti agli errori medici nella prescrizione di farmaci, che sono un problema serio se si pensa che solo nel 2023 hanno causato la morte di circa 163mila persone in Europa (ENPAM, 2024).

La crescita pervasiva delle soluzioni di Intelligenza Artificiale compresa quella generativa suggerisce una riconsiderazione dei ruoli e delle professioni da integrare in sanità. Molti nuovi profili professionali richiederanno laureati in scienze, matematica e informatica, che ricopriranno ruoli in tutte le specialità mediche e scientifiche, dalla genomica computazionale alla bioinformatica.

Inoltre, ci sarà bisogno di professionisti che svolgeranno ruoli “ibridi” basati sull’intersezione tra competenze mediche e informatiche. A questo proposito, il sistema dell’istruzione, e in particolare le Università, devono fare la loro parte, offrendo percorsi di studio interdisciplinari in grado di formare adeguatamente i futuri professionisti della sanità.

La propensione dei modelli di IA generativa a presentare informazioni errate o completamente inventate come fatti reali è uno dei principali ostacoli alla loro diffusione. I risultati dell’IA generativa possono riflettere distorsioni nei dati sottostanti e questo può originare valutazioni imprecise che possono avere gravi conseguenze. Alcuni studi hanno poi evidenziato che tali modelli possono produrre risultati discriminatori nei confronti di alcuni gruppi sociali.

Gli attacchi informatici in sanità

Il settore sanitario, a livello globale, risulta essere tra quelli maggiormente colpiti dagli attacchi informatici. Nel 2023 si sono registrati 396 cyber attacchi a livello globale: il numero più elevato registrato dal 2018 (Rapporto Clusit Healthcare). Più dell’80% degli attacchi informatici avvenuti nel 2023 hanno avuto conseguenze gravi o gravissime sulle strutture sanitarie coinvolte, comportando delle vere e proprie paralisi delle attività con serie ripercussioni anche sulla salute dei pazienti. Alcuni studi hanno rilevato una correlazione positiva tra gli attacchi informatici e l’aumento della mortalità negli ospedali colpiti.

Nel 35% dei cyber attacchi i cybercriminali hanno utilizzato il malware, specie nella variante ransomware, attraverso cui criptano i dati dei pazienti e richiedono un riscatto per sbloccarli, causando interruzioni nei servizi sanitari.

In Europa, tra gennaio 2021 e marzo 2023, i paesi più colpiti sono stati Francia, Spagna, Germania, Paesi Bassi e Italia, i cui sistemi sanitari hanno registrato più del 60% dei cyber attacchi. Gli ospedali europei si sono confermati il target prediletto dai cyber criminali, con il 42% degli incidenti totali seguiti a distanza dalle autorità, agenzie ed enti sanitari (14%) e dalle industrie farmaceutiche (9%). Questo perché gli attacchi alle strutture ospedaliere, oltre al clamore mediatico, possono fornire un cospicuo bottino ai criminali informatici. I dati contenuti nelle cartelle cliniche sono, infatti, tra i dati più ambiti nel dark web, con acquirenti disposti a pagare centinaia di dollari per una singola cartella (Agenda digitale, 2022).

Date le conseguenze devastanti di un attacco informatico, la formazione dei dipendenti nonché gli investimenti in termini di sistemi di sicurezza avanzati e di personale specializzato dovrebbero essere un punto chiave per contrastare la criminalità informatica.

Le crescenti minacce cibernetiche suggeriscono, pertanto, di adottare best practices al fine di aumentare la resilienza informatica. La collaborazione tra pubblico e privato è essenziale per costruire la resilienza informatica che vada oltre i confini della singola organizzazione e che interessi il sistema nel suo complesso. È fondamentale, inoltre, aumentare la cybersecurity awarness, investendo nella formazione continua di tutto il personale medico, amministrativo e tecnico.

Stando a quanto stabilito dalla Direttiva europea NIS2, le aziende del settore sanitario sono chiamate ad implementare ed adottare una metodologia di analisi del rischio e misure di sicurezza idonee a mitigare le minacce informatiche, implementando controlli specifici per garantire la sicurezza dei sistemi informatici. Esempi di questi controlli sono backup, controllo degli accessi, Multi Factor Authentication (MFA), crittografia, buone pratiche di igiene informatica, sicurezza delle risorse umane. Le aziende sono, inoltre, chiamate a valutare costantemente l’efficacia delle misure di sicurezza adottate.

La bussola per il futuro: l’approccio multidisciplinare One Health

Secondo l’approccio One Health la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente sono strettamente interconnesse e interdipendenti. Al fine di mitigare e/o rimuovere i fattori dannosi e contribuire alla salute globale, è necessaria una collaborazione tra le diverse discipline che miri ad uno sviluppo sostenibile per i nostri ecosistemi. L’approccio One Health si basa dunque su tre pilastri fondamentali: la Medicina, la Veterinaria e la Sostenibilità ambientale. Il principio è stato riassunto nel 2004, in una conferenza della Wildlife Conservation Society come “One Planet-One Health”.

L’approccio One Health è particolarmente importante per prevenire le minacce sanitarie globali come la pandemia da Covid-19, per la sicurezza alimentare e idrica, la nutrizione, il controllo delle zoonosi, la gestione dell’inquinamento e la lotta alla resistenza agli antimicrobici, la quale minaccia la sostenibilità della risposta sanitaria pubblica a molte malattie trasmissibili, tra cui la tubercolosi, la malaria e l’Hiv/Aids. Dati recenti mostrano che le morti globali associate alla resistenza antimicrobica hanno raggiunto quasi 5 milioni nel 2019.

Nel corso degli anni le malattie infettive emergenti hanno causato epidemie e notevoli danni all’economia globale. Tra gli agenti patogeni coinvolti, i virus a RNA si sono resi responsabili di circa il 44% delle malattie infettive emergenti molte delle quali sono di origine zoonotica.

L’emergenza dell’antimicrobico resistenza nei batteri di origine alimentare è dovuta principalmente all’uso non corretto degli antibiotici negli animali destinati al consumo umano. L’uso prolungato degli antibiotici a dosi sub terapeutiche negli animali da allevamento per promuoverne la crescita e prevenire malattie ha portato alla selezione di batteri multiresistenti che possono passare dall’animale all’uomo e viceversa. Inoltre, questi batteri multiresistenti possono essere rilasciati nell’ambiente e contaminarlo attraverso il letame usato come fertilizzante. I sistemi di produzione del cibo, pertanto, necessitano di profondi cambiamenti che li rendano sempre più sostenibili e sicuri.

La contaminazione chimica dell’acqua è un altro grande problema di salute pubblica. Si stima che circa l’80% delle acque reflue urbane venga rilasciato senza essere trattato, mentre l’industria rilascia nell’ambiente numerosissimi composti tossici inclusi metalli pesanti, fanghi, solventi e l’agricoltura è fonte di inquinamento attraverso il rilascio di acque reflue proveniente dall’irrigazione e dagli allevamenti. Tra i contaminanti fisici si ricordano le microplastiche che sono particelle di plastica <5mm prodotte dalle attività industriali umane.

I concetti di sanità e di salute sono oggetto, da tempo, di una trasformazione intrinseca. La sanità, anzitutto. Intesa come l’insieme delle attività, delle strutture, delle risorse e dei servizi che mirano a garantire la tutela della salute individuale e collettiva, la sanità è stata da sempre fondata su approcci di diagnosi e cura standardizzati, i noti gold standards. Grazie a metodiche diagnostiche sempre più evolute, allo sviluppo della genomica e, in generale, all’avanzamento tecnologico, però, essa viene oggi associata all’idea che le cure debbano essere sempre più personalizzate e “su misura”.

Espressioni quali medicina di precisione, terapie geniche, medicina di genere, teranostica sono divenute piuttosto popolari anche tra i non addetti ai lavori e, non è ormai caso raro che pazienti e familiari si presentino davanti agli operatori sanitari invocando, se non addirittura ipotizzando, soluzioni avanzate specifiche per la loro situazione. La spinta culturale verso l’aspettativa di trattamenti personalizzati ha elevato il grado di consapevolezza nei confronti della cura ma, al contempo, tale consapevolezza è cresciuta a macchia di leopardo, principalmente presso certe generazioni e tra chi possiede una anche minima alfabetizzazione digitale, in modo disordinato e soprattutto online. L’esito di tale processo, nella sua manifestazione negativa, è che spesso si invocano diagnosi o cure inappropriate, economicamente insostenibili o ingiustificate, e che si reagisce molto male quando non si viene accontentati. Il tema delle aggressioni agli operatori sanitari è solo in parte riconducibile al sovraffollamento o alle lunghe attese. L’avvento di ChatGPT e di altri simili modelli di Intelligenza artificiale ha accentuato il fenomeno, ridefinendo ulteriormente il rapporto tra pazienti e informazioni sanitarie: le vecchie ricerche sui motori di ricerca hanno lasciato il posto ad articolate interazioni. Pur offrendo nuove opportunità, queste piattaforme generative sollevano tuttavia numerosi interrogativi quanto ad affidabilità, sicurezza e ruolo degli operatori sanitari, la cui centralità – come si evidenzia in questo Rapporto – resta e dovrebbe continuare ad essere tale.

Il secondo concetto che sta progressivamente cambiando è quello di salute. Fino a pochi decenni fa, la salute era percepita, in un certo senso, come una “questione di fortuna”.

Oggi si assiste ad un cambiamento di paradigma e l’atteggiamento passivo che precedeva lo stato di malattia sta (fortunatamente) cambiando direzione: la consapevolezza di doversi attivamente e singolarmente occupare della propria salute prima di ammalarsi si sta facendo lentamente strada.

Bisogna pensarci prima, e bisogna pensarci in prima persona. In molti vedono in questo un vero e proprio cambio di paradigma: uno shift dal modello Sick Care al modello Healthcare, laddove il primo è reattivo e si concentra sul trattamento dei sintomi e delle malattie dopo la loro manifestazione. Al contrario, il modello Healthcare è proattivo e si focalizza sulla prevenzione delle malattie prima che si manifestino. La ricerca scientifica, peraltro, si spinge addirittura oltre, ipotizzando la possibilità di effettuare «veri e propri “reset sistemici” che permettono al corpo umano di rimanere relativamente giovane, funzionale» (V. Longo).

Quanta importanza hanno, sotto questa luce, il corredo genetico e la predisposizione familiare a certe patologie? Molto meno di quanto si sia sostenuto fino a non molti anni fa. La speranza (e la corsa) verso i test genetici – circa 80.000 disponibili sul mercato – è stata, e lo è tuttora, un vero e proprio trend, oltre che un business fiorente. Per un certo tempo ci si è illusi che un semplice prelievo di sangue potesse escludere una volta per tutte il sospetto di una malattia genetica, determinare il rischio di sviluppare un certo disturbo o calcolare la probabilità di trasmetterlo. Tale approccio ha fatto sottovalutare il valore delle indagini di laboratorio più comuni – ad esempio, colesterolo e glicemia – che offrono invece una fotografia di precisi fattori di rischio.

La Medicina basata sulle evidenze, in particolare, ha confermato il legame tra ambiente, alimentazione e malattie cronico-degenerative non trasmissibili, identificando lo stile di vita, con un’incidenza pari al 50%, il principale determinante della salute individuale. I fattori genetici e socio-economici, ciascuno con un peso del 20%, vengono subito dopo. Infine c’è l’assistenza sanitaria, che vale il 10%.

In questo dibattito si è fatto strada, da qualche anno, il concetto di esposoma, un concetto olistico che amplia ulteriormente la prospettiva sui determinanti della salute e che tiene conto di tutte le esposizioni provenienti da varie fonti, sia esterne che interne, dal momento del concepimento fino al termine della vita.

Due strategie da implementare

Se quelle appena descritte sono le evoluzioni dei concetti di sanità e salute, allora sembrano essere due le principali strategie da implementare: sensibilizzare i singoli individui sul fatto che ben il 50% delle chances di mantenersi in salute risiede nelle loro scelte di vita; stimolare governi e policy makers perché sviluppino politiche sanitarie fondate su una comprensione profonda e integrata di tutte le esposizioni che influenzano la salute: la genetica, il clima, gli ambienti urbani e naturali, il lavoro, l’istruzione, lo stress psicologico e, naturalmente, il sistema sanitario. E poiché, giusto per citarne alcuni, il clima, l’inquinamento atmosferico, i corsi d’acqua, la filiera produttiva del cibo sono fenomeni che oltrepassano i confini statali, è indispensabile che si proceda con una logica internazionale.

Le interviste

Il Rapporto si chiude con 15 interviste ad opinion leader: Micaela Arfò Guarrasi, psicologa, Specialista in Neuropsicologia Dirigente Psicologa ASL Roma 3, UOC – SPDC Ospedale G.B. Grassi; Marco Baccanti, Direttore generale della Fondazione Innovazione e Trasferimento Tecnologico; Ilaria Capua, Professoressa – DVM, PhD Senior Fellow of Global Health, Johns Hopkins University, School of Advanced International Studies – SAIS Europe; Nino Cartabellotta, Presidente Fondazione GIMBE; Nunzia Ciardi, Vicedirettore generale Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN); Francesco Cognetti, Presidente della Confederazione Oncologi, Cardiologi, Ematologi (FOCE), Professore di Oncologia presso l’International Medical University UniCamillus; Stefano da Empoli, Presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com); Valter Longo, Professore di Biogerontologia e Direttore dell’Istituto sulla Longevità University of Southern California – Davis School of Gerontology di Los Angeles, Direttore del programma di ricerca di Longevità e Cancro Istituto di Oncologia Molecolare IFOM di Milano; Beatrice Mazzoleni, Segretaria Nazionale FNOPI; Donatella Morana, Professoressa Ordinaria di Diritto costituzionale e pubblico, Università degli Studi di Roma Tor Vergata; Francesco Perrone, Presidente AIOM – Istituto Nazionale Tumori IRCCS “Fondazione G. Pascale”, Napoli; Lorenzo Pregliasco, Esperto di comunicazione politica e opinione pubblica, è Founding Partner di Quorum e Youtrend e membro della European Society for Opinion and Marketing Research; Giosy Romano, Coordinatore ZES Unica del Mezzogiorno; Raffaella Rumiati, Direttore Neuroscience and Society Lab, SISSA Scuola Superiore di Studi Avanzati; Antonella Viola, Scienziata, Professoressa Ordinaria di Patologia Generale all’Università di Padova e divulgatrice scientifica.