I lettori mi scuseranno anche oggi per il mio intervento sfrutto un pregevole fondo di Antonio Socci che mi ha particolarmente attirato (Storia di liberazione dell’umanità. Il Giubileo, Roma e la nostra missione, 23.12.24, Libero). Roma che ospita il Giubileo, nonostante le difficoltà, sarà per qualche tempo sotto i riflettori del mondo. Dal 24 dicembre la città eterna sarà al centro del mondo cristiano e non solo.
Anche perché come scrive su atlanticoquotidiano, Fabrizio Borasi, (L’eredità “secolare” del Natale che rischia di andare perduta, 24.12.24), oggi nella nostra società fortemente secolarizzata, non si capisce più cosa si festeggia e ormai sono pochi quelli che pronunciano o scrivono la parola “Natale” nei loro messaggi (pubblicitari e non), ancora meno quelli che sanno che si festeggia la nascita di Cristo, evento, decisivo per la nostra civiltà occidentale. Un evento che esprime un’eredità aperta, non solo per i cristiani. Infatti, “poche solennità come il Natale cristiano esprimono quella che è l’eredità culturale millenaria sulla quale si fonda la civiltà occidentale”.
Tornando a Socci, il giornalista cerca di sottolineare l’importanza dell’evento Giubileo che stiamo celebrando e del luogo dove si celebra.“Roma sarà al centro del mondo cristiano, di un “impero” spirituale ancora più vasto di quello antico, sia nel tempo che nello spazio: l’impero della Misericordia divina. Lo è da duemila anni e per sempre”. Cristo nato in Palestina, diventa romano, è un privilegio, che, forse, non abbiamo apprezzato abbastanza. Sono dei concetti che cercavo di trasmettere ai miei alunni più maturi. Ragazzi noi viviamo nel paese più importante del mondo, dicevo, abbiamo tutto, il clima migliore, la cultura, l’arte e poi a Roma, c’è quel signore vestito di bianco, che rappresenta Nostro Signore Gesù Cristo.
“Noi italiani – scrive Socci – siamo troppo abituati alle desolazioni della cronaca per accorgerci della storia e dell’eternità”. Il resto del mondo sa che cosa noi rappresentiamo, non per niente registriamo la presenza di folle di turisti nelle nostre città. Non siamo consapevoli di vivere nel Paese, “nella terra su cui hanno camminato, hanno annunciato il Vangelo, hanno versato il loro sangue e sono sepolti san Pietro e san Paolo?”. Il giornalista senese cita il famoso scrittore russo, Maksim Gor’kij, che fu amico di Lenin (morì nel 1936).
Lo scrittore russo che aveva vissuto diversi anni in Italia, in una sua conversazione, risalente a quel periodo, egli considerava tutta l’Italia parte di Roma definendola “la patria di Dio”. Diceva: “Ovunque lo sguardo io giro vedo templi, templi e templi. Grandiose opere d’arte… Ho girato tutta l’Italia: Milano, Napoli, Genova, Firenze. Proprio in quest’ultima città rimasi incantato, rapito nel mirare le magnifiche opere d’arte dei sommi artisti”. Gorkij vide nella nostra gente “una spontanea fervida adesione al cristianesimo, e una perfetta comunanza con tutto ciò che sa di Dio, che parli di Dio, che si armonizzi con Dio. Allora mi son domandato ancora: può mai questo popolo distaccarsi da Dio? No, non lo può, ne sono convinto… Uomini come Brunelleschi, Giotto, Michelangelo, Raffaello ecc., impiegarono tutta la loro vita per rappresentare il volto di Dio. Perché? (…). Figli di una stirpe che lottò per il trionfo di Cristo, degni discendenti dei martiri cristiani, essi furono tocchi dal soffio divino, furono prescelti a ‘far conoscere Dio’. […].
In Italia, credetemi, nessuna controcorrente sbalza Dio dal suo trono onnipotente”. Addirittura il musicista Svjatoslav Richter disse un giorno: “Ogni persona al mondo ha due patrie, la propria e l’Italia”. Dovremmo ritrovarla, questa patria dell’anima, anche noi che siamo italiani. E riscoprire che non solo abbiamo un grande passato, ma anche una grande missione spirituale. Ecco il Giubileo sarà il momento giusto per ritrovare questa patria dell’anima, la propria missione nel mondo, nella società fluida dove in tanti non percepiscono più l’identità, religiosa, culturale o nazionale. Anzi tutto questo è diventato un problema, un fastidio, per qualcuno un pericolo. Pertanto, si arriva a disprezzare tutto ciò che rimanda a una identità forte, precisa e bella, lo scrive Marco Invernizzi in una nota sul sito ufficiale di Alleanza Cattolica (“L’Identità, problema o soluzione?”, 23.12.24) “Capita spesso di leggere o ascoltare discorsi che insinuano dei dubbi sulle identità storiche, religiose e culturali della tradizione cristiana così come si è incarnata nei secoli della storia occidentale, addirittura capita di vedere il disprezzo o il fastidio per esse anche nei discorsi di sacerdoti o di uomini che si professano cattolici, come se non vedessero l’aumento del secolarismo nel corpo sociale dell’Italia e non fossero preoccupati di come questa malattia penetri anche dentro il pur minoritario mondo cattolico”. Perché siamo arrivati a questo punto?
Perché abbiamo perso la nostra identità? Forse, a cominciare dai cattolici, non conosciamo più cosa sia l’identità cristiana. E’ utile il suggerimento di Invernizzi: “L’identità cristiana nasce da un Salvatore, Cristo il Signore, che narra una storia di salvezza, racconta una poesia o canta una canzone che vorrebbero entrare nel cuore di ogni uomo, per renderlo felice per sempre. La Chiesa è il luogo dove si canta questa canzone, dove si recita questa poesia, dove si mostra e si racconta questa Salvezza. Non sempre tutto questo avviene come sarebbe giusto aspettarsi, non sempre l’annuncio riesce bene, cioè convincente. Ma questa è l’intenzione, da oltre due millenni”. Raccontiamola questa storia meravigliosa: parliamo dei tanti martiri e dei santi, mettiamo le loro storie sotto l’albero di Natale fra i regali per i nostri parenti e amici. Non smettiamo, se già lo facciamo; ricominciamo, se abbiamo smesso; facciamolo per la prima volta, se ci siamo lasciati conquistare dalla Grazia del Salvatore. Se non lo facciamo noi cristiani non lo farà, nessuno al nostro posto.
DOMENICO BONVEGNA
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