KAROL WOJTYLA UN UOMO STRAORDINARIO CHE HA SEGNATO IL NOVECENTO

Mentre leggo altro, non ho smesso il mio interesse per lo studio di Karol Wojtyla, prima e dopo di diventare Pontefice della Santa Romana Chiesa. Nonostante il poco interesse che ha suscitato il mio libro sulla sua figura, continuo i miei approfondimenti. Ho appena finito di leggere una biografia di un giornalista scrittore a me sconosciuto, si tratta di Enrico Nassi, “Karol Wojtyla. La Biografia”, Shakespeare and Company S.a.S. (1995).

Ho consultato la rete e ho visto che ancora si trova e può essere acquistato. Enrico Nassi ha indagato in profondità sull’avventura umana, apostolica e politica del “papa superstar”. In questa biografia, Nassi traccia i percorsi che hanno caratterizzato la vita di Wojtyla, dall’infanzia all’università; dal teatro al pulpito; dall’amore terreno a quello esclusivo per Cristo e Maria; dalla lotta la nazismo, sostenuta con il Rosario, al crollo del Muro di Berlino e quindi del comunismo; un crollo a cui ha contribuito, anche con la minaccia di trasferire in Polonia la Sede Apostolica; ai misteriosi attentati e minacce subite, ai viaggi intorno al mondo.

Naturalmente il testo si ferma al 1995, composto di tre Parti, per complessivi quindici capitoli, con due appendici finali, due interventi, uno Sergio Quinzio e l’altro di Rocco Familari, un interessante e documentato profilo su Karol Wojtyla un drammaturgo papa. Non starò qui a presentare i diversi e documentati capitoli dello studioso che presenta diversi aspetti e particolari della vita della famiglia Wojtyla e in particolare di Lolek (il futuro Giovanni Paolo II) nella sua Wadowice, Cracovia, le sue intense relazioni con gli altri giovani, in particolare con le ragazze, che erano affascinate dal giovane Lolek. Nassi cita lo splendido libro di Maria Antonietta Maciocchi, “Le donne secondo Wojtyla”, dove si dà conto di questo particolare rapporto di Wojtyla col genio femminile. Il Papa vede in Maria, la Madre di Cristo, vede tutte le madri, l’essenza stessa della femminilità. Ecco perchè lo stesso papa potrà dire: “[…] ho visto, in tanti anni duri della vita del mio Paese, le donne polacche custodire, anche sotto il comunismo, le tradizioni spirituali, la cultura, l’amore per l’indipendenza, la passione per la nostra identità nazionale. In verità, loro non si sono mai piegate”.

Nassi racconta il peso doloroso della guerra, l’invasione nazista del Paese, il duro lavoro di operaio a spaccare pietre nella miniera e poi quello nel laboratorio chimico. Nonostante tutte le difficoltà della vita, il testo sottolinea l’impegno di Lolek per il teatro della parola, l’organizzazione delle rappresentazioni, le letture poetiche. Gli approfondimenti e le letture in biblioteca a studiare i mistici spagnoli, i grandi pensatori medievali. Naturalmente anche in questo testo ho trovato numerosi particolari che arricchiscono la mia conoscenza sul grande pontefice che ha certamente segnato tutto il Novecento. Come ho fatto nella mia antologia, “Giovanni Paolo II e il suo vivo magistero” (Fondazione Thule, 2022) il mio sguardo di studioso e ricercatore si concentra di solito all’aspetto socio-politico. Anche nel testo di Nassi cerco di “catturare” questi aspetti. Tuttavia nel testo di Nassi mi ha colpito particolarmente le sue sottolineature della passione teatrale di Wojtyla. In particolare il teatro rapsodico, i suoi personaggi che devono parlare e sviluppare soprattutto l’universo psicologico dell’universo, lo “spazio interiore”. Per essere vivi a loro basta la parola, “proprio come è stato per lui, prima al Wawel, come arcivescovo di Cracovia, e poi in piazza San Pietro, impugnando il bastone pastorale come una spada, alta e dritta, contro l’azzurro del cielo romano, mentre grida agli eserciti in guerra, come ha fatto il giorno di Natale del ’94: ‘Fermatevi davanti al Bambino’”.

Di fronte ai drammi della guerra, Wojtyla non si accontenta di dire come Papa Pacelli che “con la guerra tutto è perduto, mentre con la pace tutto è possibile”. Giovanni Paolo II alza il tiro, scrive Nassi, “si perde tutto quando ci si piega a vivere senza Cristo”. O peggio “marciando contro”. Allora c’è da porsi la domanda, come fanno gli intellettuali magari amici di Wojtyla, se è più giusto scendere nelle strade come a Poznan, o battersi contro i carri armati sovietici, come a Budapest? “O non è invece più giusto – e quindi santo – impegnarsi in una grande progetto di evangelizzazione della società a prescindere dal sistema di potere che la governa?”. Erano degli interrogativi posti a fine anni cinquanta in Polonia. L’arcivescovo di Cracovia dove si pone di fronte al regime comunista di Varsavia a destra di Wyszynski o a sinistra? Comunque ormai anche a monsignor Karol Wojtyla gli hanno intestato un dossier a Varsavia e soprattutto alla Lubianka moscovita, per gli archivisti, è un elemento

socialmente rilevante e da tenere sotto osservazione del KGB. Perché oltre ad essere prete è anche un intellettuale. Secondo Nassi in Wojtyla seppure ancora in maniera sotterranea, si stava facendo avanti una terza via rispetto ai tradizionale centri di gravità del dopoguerra: “la sua alternativa ha l’impronta eroica del Teatro rapsodico. I suoi modelli sono quelli della grande tradizione romantica della Polonia, degli uomini che, come il mitico re Boslaw, hanno concepito lo Stato come un cuneo cattolico fra gli opposti regimi d’Occidente e d’Oriente, fra i protestanti e gli ortodossi”. In pratica fa appare estraneo sia alla violenza della protesta che a quella della repressione. Del resto Wojtyla aveva scelto la terza via anche tra i padri conciliari del Vaticano II, non era né per la condanna del comunismo, né per il dialogo. Wojtyla, riesce a far passare fra i 65 vescovi polacchi, una terza via teologica, ma anche politica, “quasi come una sorta di ponte fra le trincee dei conservatori e l’avamposto dei progressisti”. Wojtyla cerca di superare l’attualità politica della lotta del regime comunista che divide la Chiesa, è convinto che “la cosa più importante sia quella di ipotecare il futuro con una scala di valori certa e concreta”.

Per il futuro papa era più importante sapere e decidere “dove si vuole andare”, rispetto alla scelte tattiche da adottare. Pertanto secondo Wojtyla, “oggi, si può patteggiare, ma senza mai allontanarsi dall’obiettivo finale, che è quello della cristianizzazione della società, l’unico futuribile possibile per la Chiesa”. Insomma, Per Wojtyla,la pratica del realismo politico, può anche essere tollerata, ma a condizione che non diventi un alibi, specialmente nei confronti delle società, come quella comunista, dove il potere laico sta tentando di rimuovere Dio dalla coscienza dell’uomo”. E’ un apostolato totalizzante che per Wojtyla, c’è un punto fermo: “la Chiesa deve occuparsi soltanto dell’ateismo che nasce da convinzioni individuali, anche se non può restare indifferente a quello di massa che il potere laico punta a introdurre nella società come sistema obbligatorio”. In queste condizioni l’ateo per la Chiesa è la pecorella smarrita che occorre andare a cercare nel mondo. In pratica il testo di Nassi non nasconde che dentro al Concilio c’erano posizioni conservatrici e progressiste; per esempio, come porsi di fronte al pericolo del potere comunista che stava dietro al Muro di Berlino, un potere duro e compatto.

Un potere che provocava peraltro, “allarme e sgomento in chi pensava che fosse possibile sgretolarlo dall’interno con una strategia di sistematica evangelizzazione della società, del resto, questa era la teoria di Karol Wojtyla. Salto qualche capitolo del testo e mi soffermo sulla Terza Parte (Un Papato itinerante), qui c’è il ruolo chiave che ebbe Karol Wojtyla negli avvenimenti politici polacchi, i suoi rapporti con il Sindacato Solidarnocs di Lech Walesa, i rapporti tra i falchi del sindacato e quelli moderati. Nassi parla di brutale franchezza di Giovanni Paolo II nei confronti del generale Jaruzelski che conosceva bene da quando era arcivescovo. Il Papa ha costretto il generale polacco a fare una lenta e progressiva marcia indietro, a ripristinare un governo che rispetti i diritti civili, gli aveva dato un ultimatum: avrebbe trasferito la Sede Apostolica in Polonia. Per Nassi, l’ultimatum a Jaruzelski, rappresenta la prima grande picconata sul Muro di Berlino. E’ l’inizio della svolta epocale che Wojtyla ha perseguito sotto il segno delle profezie, a cominciare da Fatima, nel cui mistero ha fatto confluire gli avvenimenti più importanti del suo pontificato. Non a caso, uscendo dalla sala operatoria del Gemelli, la prima cosa che ha detto è stata che l’ha protetto la Vergine di Fatima: la Madonna che salverà il mondo.

Sostanzialmente Giovanni Paolo II, “non solo ha evitato guai e amarezze alla Polonia, ma ha salvato la distensione e ha indicato uno sbocco concreto alle ribollenti spinte del dissenso in tutto il mondo comunista”. Inoltre, “ha anche convinto l’Occidente che contro il comunismo quella vincente era la strategia della non violenza, forse più lunga, ma certamente più efficace della dissanguante corsa al riarmo teorizzata da Reagan”. Anche se poi come abbiamo constatato che la politica reaganiana è stata per certi versi convincente e a far implodere l’impero sovietico. Sarebbe interessante continuare con il capitolo terzo, dove si dà conto dei numerosi viaggi per i cinque continenti del mondo, diventando “parroco del mondo” e quindi invitando tutti i parroci a “uscire” dalla canonica per andare a cercare i fedeli nelle strade. Mi fermo, buona lettura.

DOMENICO BONVEGNA

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