L’INTERVENTO: LA RESTAURAZIONE AMERICANA DEL SENSO COMUNE DI TRUMP

Si può intravedere dopo il primo discorso di Donald Trump un abbozzo di programma conservatore? Per alcuni attenti osservatori sembra di si. Tra questi Giovanni Orsina, crede che la frase cruciale del suo discorso inaugurale, è il “senso comune”, e qui peraltro si trova la chiave della sua vittoria.

Per il presidente comincia la completa restaurazione dell’America.“Eppure, il passaggio sembra sia stato alquanto trascurato nel diluvio di commenti di questi giorni, un po’ troppo spesso impegnati più a stigmatizzare quando non irridere le iniziative del nuovo presidente, a infilzare questa o quella sua contraddizione o fake news, a piangere amare e pensose lacrime sui destini della democrazia, che a fare realistica mente i conti con quel che sta accadendo. E invece dobbiamo farci i conti, perché la rielezione di Trump non è detto apra le porte al mondo di domani, ma è quasi certo che abbia chiuso quelle del mondo di ieri”.(Giovanni Orsina, Quel senso comune che supera le paure, 24.1.25, La Stampa) Per Orsina non è una novità, al tema del senso comune avevano legato il loro programma elettorale sia la Lega nel 2018, che Marine Le Pen per le presidenziali francesi, ma in un certo senso anche il programma di Jean-Luc Mélenchon, nel 2019 e di Podemos in Spagna.

Che cos’hanno in comune questi programmi? “Una diagnosi: la politica tradizionale si è venuta sempre più distaccando – moralmente, cognitivamente, socialmente – dai cittadini in carne e ossa, si dimostra sempre più insensibile alle loro preferenze, alla percezione che essi hanno del loro mondo, ai loro bisogni”. Tuttavia per il politologo la politica del senso comune, qualsiasi cosa si possa pensare, ha dovuto fare i conti con i settantasette milioni di voti che ha raccolto Trump. “Un dato di realtà duro come la pietra, la dimostrazione di come la politica del senso comune, agli occhi degli elettori, sia apparsa più forte delle sue controindicazioni”. Chi ha votato Trump non ha ascoltato le fallimentari sirene dei democratici, dell’establishment istituzionale e intellettuale che ormai sono “sideralmente distanti da fasce assai consistenti di elettorato”. Secondo Orsina, sono “separati da un invalicabile muro di incomprensione. Quel muro, fatto di autoreferenzialità, supponenza e moralismo, della cui esistenza chiunque in questi ultimi anni abbia frequentato anche solo sporadicamente i salotti dell’establishment, i corridoi delle istituzioni europee, le aule delle università non può non essersi reso conto, se solo ha tenuto gli occhi e le orecchie un po’ aperti”. Trump ha certamente raccolto il bisogno di buon senso presente in tanti americani (77 milioni), esasperati dalle follie dell’ideologia woke. Adesso bisogna vedere se “saprà trasformare questo consenso in una politica propositiva, capace di rifare grande l’America, non nel senso di un nazionalismo deteriore, ma perseguendo un grande progetto di civiltà valido per tutto il mondo?”Se lo chiede anche Marco Invernizzi (Trump e il “senso comune”, 27.1.25, alleanzacattolica.org). Dopo il primo discorso del Presidente eletto emerge con chiarezza il problema del mondo: ritornare al reale o continuare con il follemente corretto, come titola l’ultimo libro di Luca Ricolfi. “Ritorno al reale”, è un rifiuto delle follie ideologiche, che tra l’altro, scrive Invernizzi, “è sempre sembrato il programma di questo imprenditore, che un tempo ha ben conosciuto il “potere forte” dei “ricchi” americani, poi lo ha sfidato e sconfitto e, adesso, ne raccoglie anche il consenso”. I temi sui quali Trump ha raccolto il massimo sostegno sono legati all’opposizione verso una minoranza ideologica che ha cercato negli ultimi decenni di accelerare il processo di disgregazione dell’Occidente: l’ideologia gender, quella green, l’immigrazione incontrollata e, in generale, la cancel culture. Queste forzature ideologiche hanno prodotto la reazione di molta gente comune, che ha accusato le sinistre pro-gender, ambientaliste e immigrazioniste di trascurare i problemi reali delle persone normali. Attenzione però, l’età dell’oro promessa da Trump non si realizza per decreto. I problemi sono tanti è difficile da risolvere a cominciare dall’immigrazione clandestina, che non si può fermare, bisogna governarla.

L’incertezza identitaria di giovani maschi e femmine esiste ed è una conseguenza del crollo della famiglia, della mancanza di autorevolezza soprattutto dei padri, o della loro assenza, della lotta contro ogni forma di identità scatenata dalla rivoluzione antropologica degli Anni ‘60. Non è solo colpa dei gruppi Lgbtq. Ecco perché non bisogna esagerare con l’ottimismo, salvo poi cedere alla delusione. Secondo Invernizzi, “il mondo cambia veramente in meglio quando gli uomini si convertono e, così, muta il senso comune di un popolo. Certo, le leggi e i decreti aiutano, favoriscono i cambiamenti in positivo e sono un ostacolo al male. La politica aiuta, ma non basta. Questo vale anche per l’Italia. “Oltretutto non dimentichiamo che chi odia tutto ciò che Trump rappresenta, cioè una concezione della politica che vorrebbe conservare i principi fondamentali del senso comune, non starà con le mani in mano, ma farà di tutto per cercare di farlo cadere, in un’America divisa quasi a metà, nella quale Trump ha preso soltanto due milioni di voti in più della sua rivale. Hanno cercato di ucciderlo durante la campagna elettorale, non si rassegneranno alla sconfitta”. Rimane il problema dell’Europa. Al Forum di Davos sono passati, nei giorni scorsi, tutti gli sconfitti nella battaglia contro Trump, segno che i famosi “complotti di Davos” non erano così vincenti come qualche complottista aveva fatto credere. Ma adesso non commettiamo l’errore contrario, pensando che tutto andrà per il meglio. E a proposito di Davos, Maurizio Milano su Lanuovabussola sottolinea gli interessanti interventi prima del presidente argentino Milei e poi di Trump. In particolare Milei scuote Davos con un discorso contro la rivoluzione woke. Bordate contro le manie del nuovo secolo, dall’ambientalismo al transgenderismo, passando per l’agenda abortista. Ma ne parlerò prossimamente.

DOMENICO BONVEGNA

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