Pesaro, la società civile dice no al metano liquefatto e denuncia l’estrema pericolosità del progetto in corso

Pesaro – Un impianto di liquefazione metano come quello recentemente approvato dal Ministero dell’Ambiente, con una V.I.A. positiva, situato a soli 130 metri dalle abitazioni150 metri da un asilomille metri dal centro storico, meno di due chilometri dal litorale e dall’oasi naturale del San Bartolo, e in una zona altamente sismica e alluvionale, rappresenta una situazione che non esiste in altre zone del mondo. I depositi di metano, infatti, sono di norma collocati in aree non sismiche e non alluvionali, lontano dagli abitati e dotati di sistemi di sicurezza moderni e continuamente sottoposti a manutenzione.

Tuttavia, nonostante le avanzate misure di sicurezza adottate in molte strutture, gli incidenti continuano a verificarsi. “Se uno di questi dovesse accadere in una città come Pesaro,” spiega Roberto Malini di EveryOne Group, “le conseguenze potrebbero essere catastrofiche, non solo per l’immediato rischio di esplosioni, ma anche per l’incremento di patologie cardiocircolatorierespiratorieendocrine, e tumori che aumenterebbero in modo inaccettabile nel lungo termine, come già osservato in altre aree industriali e urbane vicine a impianti di liquefazione del gas”.

Un esempio recente di incidente che evidenzia i rischi legati alla liquefazione del metano è il fuoco scoppiato il 21 gennaio 2024 nel terminale di Ust-Luga, nel Mar Baltico, in Russia. Un incendio è stato causato da due esplosioni che hanno colpito una delle strutture di stoccaggio del gas naturale liquefatto (LNG) della compagnia Novatek, una delle principali produttrici di LNG in Russia, con conseguente sospensione di alcune operazioni nel terminale. Nonostante il tempestivo intervento dei vigili del fuoco e dei servizi di emergenza, l’incidente ha messo a rischio la sicurezza dell’area e delle operazioni di esportazione di energia. “Se tale incidente fosse avvenuto in una città come Pesaro,” prosegue Malini, “l’esplosione e l’incendio avrebbero avuto effetti devastanti sulla salute pubblica e sull’ambiente circostante”.

Inoltre, la vicinanza di un impianto di liquefazione a zone densamente popolate e aree ecologiche protette come l’oasi naturale del San Bartolo evidenzia un conflitto tra sviluppo industriale e protezione dell’ambiente e della salute pubblica. I danni ambientali derivanti da incidenti di questo tipo potrebbero essere irreversibili, danneggiando la flora, la fauna e compromettendo l’integrità ecologica di tutta la regione.

In conclusione, mentre gli impianti di liquefazione metano sono progettati per operare in condizioni di sicurezza rigorose, la loro collocazione in zone ad alto rischio sismico e alluvionale e la vicinanza a centri abitati pongono delle sfide significative. Gli incidenti che si verificano anche in impianti progettati con le più moderne tecnologie di sicurezza sono un monito sul fatto che, nonostante i progressi tecnologici, la sicurezza non può mai essere data per scontata, specialmente quando si tratta di impianti industriali così pericolosi. “Con l’inopinata autorizzazione ministeriale e l’ignavia istituzionale,” conclude l’attivista per l’ambiente, “la città di Pesaro si è messa in una situazione di pericolo ambientale e di tragedia umanitaria che non ha uguali nel mondo. È necessario ora che i comitati e la buona politica reagiscano, per evitare che questa situazione paradossale e pericolosa sia il preludio a un progetto che non può appartenere a una società democratica e in linea con le norme internazionali che pongono la vita delle persone, la loro salute e l’ambiente in cui vivono in cima alla scala dei valori”.