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I social network sono entrati nella vita quotidiana e, sebbene in misura differente, tutti pubblichiamo qualcosa su Meta e altri social media oppure, per velocizzare le comunicazioni, utilizziamo le chat.
Ciò che pubblichiamo può essere utilizzato in Tribunale, soprattutto nei giudizi in merito al diritto di famiglia.
Il valore e l’utilizzabilità di questi messaggi o pubblicazioni ha col tempo assunto fondamentale importanza.
Preliminarmente ricordiamo che, con l’ordinanza 1254/2025, la Corte di Cassazione nuovamente ha confermato il proprio orientamento che ha riconosciuto il valore probatorio delle chat su what’s app.
Pertanto, se in una di queste chat viene ammesso un tradimento, perché lo si confessa al partner, questa confessione diventerà una prova, indiscutibile, nel procedimento di separazione.
Occorre ora porsi delle domande.
1) Tutte le chat su what’s app e tutte le pubblicazioni sui social network hanno valore probatorio?
2) Possono queste chat e pubblicazioni influenzare il giudizio?
3) Gli atteggiamenti assunti sui social network possono essere assunti come violazione dei doveri coniugali?
La risposta alla prima domanda è un Ni, ovvero le chat e le pubblicazioni hanno sempre valore probatorio ma non sempre possono essere utilizzate nei procedimenti giudiziari.
Possono essere utilizzate, in caso di pubblicazioni su Meta, solo se il profilo è pubblico e, in caso di chat what’s app, solo se il messaggio confessorio è stato inviato al coniuge o a qualcuno che poi lo ha mostrato al diretto interessato.
Per Giurisprudenza costante, infatti, non si possono usare in giudizio le prove acquisite violando la legge ovvero spiando il cellulare del proprio partner, anche nell’ipotesi in cui si conosce il pin, oppure perché si è entrati fraudolentemente sul profilo Meta del proprio partner.
Ne consegue, in risposta alla seconda domanda, che solo le prove acquisite legittimamente potranno essere utilizzate e, quindi, influenzare la decisione del giudice.
La risposta alla terza domanda è più complessa perché, ad oggi, non esiste una disciplina univoca sul punto, così come non ci sono molte pronunce. Una parte della giurisprudenza ha sposato l’orientamento per cui non è sufficiente, a esempio, la produzione di una pagina del profilo Meta del marito nel quale quest’ultimo si definisce “playboy” perché in “suddetta piattaforma sociale ciascuno si può definire in svariati modi anche solo al mero fine di vantarsi”.
Altra parte della giurisprudenza, al contrario, ritiene che l’attività posta in essere sui social network, di per sé non censurabile, consentirebbe ai coniugi di “allacciare una relazione di natura pseudo-sentimentale” che, seppur virtuale, è espressione di una condotta incompatibile con gli obblighi derivanti dal matrimonio.
Volendo trovare una soluzione di mezzo si potrebbe concludere che l’uso dei social network, anche con contenuti spiritosi o frasi autocelebrative, non comporta la violazione degli obblighi nascenti del matrimonio.
Tale violazione si configura solo quando, a causa dei post e degli atteggiamenti assunti su Meta o altri social network, il coniuge perda fiducia nell’altro.
Sara Astorino, legale, consulente Aduc