I giovani e quel “desiderio di restanza” contro spopolamento e marginalità

di Ilaria Tirelli
Voglia di restare. Indagine sui giovani nell’Italia dei paesi (2023, Donzelli editore) nasce come un progetto associativo, un’opera collettiva curata da Andrea Membretti[1], Stefania Leone[2], Sabrina Lucatelli[3], Daniela Storiti[4] e Giulia Urso[5] a partire da un punto di vista diverso rispetto a quelle aree fragili e marginali del nostro Paese.

L’obiettivo è restituire a un’importante porzione di Italia la possibilità di essere (ri)abitata, coniugando la raccolta dei dati con l’analisi di fattori strutturali e culturali, individuali e di contesto in grado di delineare un quadro delle aree periferiche ricco di speranza e, allo stesso tempo, mettere di nuovo al centro del dibattito politico e culturale le questioni legate alle disuguaglianze territoriali e agli squilibri demografici.

In un’epoca in cui le migrazioni e l’impoverimento di questi territori sono descritti come fenomeni inevitabili, questo scritto propone, invece, una lettura alternativa, concentrandosi su chi, restando, è capace di donare nuova linfa a zone caratterizzate da una rarefazione economica ed un abbandono sempre più difficili da gestire.

Voglia di restare mette centro del dibattito le disuguaglianze territoriali e gli squilibri demografici

Titolo e sottotitolo rivelano fin da subito lo spirito dell’opera: fornire un contributo significativo per comprendere le dinamiche e le sfide che emergono proprio in questi luoghi. Lo si vuole fare attraverso lo sguardo dei veri protagonisti del fenomeno, i giovani: quelli che se ne vanno ma, ancora di più, quelli che decidono di rimanere. Perché restare? Che cosa rende questi luoghi speciali per sviluppare progetti di vita o lavorativi? Chi sono i giovani coinvolti dal fenomeno? Quali politiche potrebbero sostenere la loro scelta di abitare questi luoghi? Per provare a rispondere a queste ed altre domande, “Riabitare l’Italia”[6] ha realizzato un progetto di ricerca di natura partecipativa, finalizzato tanto a raccogliere dati, quanto ad individuare, insieme agli attori coinvolti, i possibili scenari di intervento a favore di questo sentimento di “restanza” e dell’attrattività dei territori marginali. Ne è nata un’indagine quanti-qualitativa unica nel suo genere, che ha coinvolto un campione di oltre 3mila giovani tra i 18 e i 39 anni abitanti nei territori interni della Penisola. Non manca, ovviamente, una riflessione sull’emergenza migratoria che negli ultimi decenni ha interessato in particolar modo le aree rurali e montane del nostro Paese. Allo stesso tempo, tuttavia, si sottolinea come in anni più recenti la rappresentazione di queste realtà sia andata radicalmente cambiando, portando ad un’inversione di tendenza nelle dinamiche demografiche che i dati cominciano timidamente a dimostrare.

Si indaga sui possibili scenari di intervento a favore di questo sentimento di “restanza” e dell’attrattività dei territori marginali

La ricerca si caratterizza per la sua capacità di far emergere le risorse locali, le progettualità espresse dai giovani, le idee, mettendo al centro dell’indagine proprio quel “desiderio di restanza” – termine coniato dal sociologo Vito Teti – che nasce e matura in chi consapevolmente rimane o ritorna nei territori d’origine, nonostante le difficoltà, la carenza di servizi essenziali e l’impoverimento produttivo. La “restanza” non si configura, infatti, come una forma di nostalgia inerziale ma, piuttosto, come un sentimento attivo che si nutre e si alimenta dei progetti nuovi e delle aspirazioni ambiziose di chi sceglie di intraprendere questa via. Tuttavia, come evidenziato nel corso della ricerca, tale desiderio non basta ad invertire il trend dello spopolamento. La ripresa osservata nei dati richiede politiche concrete, incentrate su investimenti e su un cambio di paradigma che garantisca opportunità di lavoro, servizi e tutele. È fondamentale ridisegnare politiche giovanili che coinvolgano le amministrazioni locali in settori come salute, mobilità e istruzione – tanto per cominciare –, rispondendo concretamente alle aspettative dei giovani residenti.

I giovani che scelgono di restare o di ritornare stanno determinando un’inversione di tendenza nelle dinamiche demografiche

La parte finale del libro (“Conversazioni”) offre testimonianze interessanti, dando voce ai protagonisti della “restanza”. È il caso di Marzia Verona, che ha scelto di vivere in Valle d’Aosta (a circa mille metri di quota), allevando bovini e adottando un modello di vita e di lavoro più sostenibile a contatto con la natura. È solo un esempio di una dinamica che in realtà coinvolge un numero sempre maggiore di giovani, professionalmente formati, con un’istruzione eccellente, che terminati gli studi decidono di abbandonare la città per tornare in questi luoghi a condurre una vita “agreste”. I risultati della ricerca, infatti, evidenziano tra le motivazioni per restare (o ritornare) soprattutto fattori emotivi, come la possibilità di instaurare rapporti umani gratificanti, un legame più intimo e genuino con la comunità, oltre alla possibilità di vivere in un ambiente sano ed appagante. Si attribuisce, inoltre, molta importanza agli aspetti ambientali e paesaggistici del territorio, riconoscendoli come una delle principali fonti di benessere psico-fisico.

La ricerca fa emergere le risorse locali, le idee e le progettualità espresse dai giovani

La scelta di una vita ad alta quota, in solitudine, riflette quindi la volontà di abbandonare la frenetica e spasmodica dinamica delle aree urbane, alla ricerca di una lentezza in sintonia con lo scorrere delle stagioni, di ritmi più umani, riscoprendo una cultura rurale che poteva essere quella dei propri nonni. Questa rinnovata voglia di radicamento e di riscoperta delle usanze locali può evidentemente rappresentare un’opportunità di rilancio per le aree più fragili, coniugando tradizione e innovazione, stimolando l’imprenditorialità del territorio. Tutto questo può favorire, da un lato, una maggiore connessione con il resto del Paese e forse rappresenta, dall’altro, l’unico modo per garantire a questi luoghi una seconda vita.

[1] Dottore di ricerca in Sociologia, è tra i fondatori di Riabitare l’Italia e insegna Sociologia del Territorio all’Università di Pavia.
[2] Professore associato di Sociologia generale all’Università di Salerno.
[3] Direttrice dell’Associazione Riabitare l’Italia, è componente del Nucleo di valutazione del Dipartimento per la coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[4] Ricercatrice senior presso il Crea.
[5] Ricercatrice in Geografia economico-politica per il Gran Sasso Science Institute.
[6] Riabitare l’Italia è un’associazione culturale nata nel 2020 dalla volontà di un gruppo di esperti che operano nell’ambito dello sviluppo socio-economico, dell’animazione del territorio e della ricerca a favore delle aree interne, montane e marginalizzate del Paese.

 

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