DISTURBI DELLA NUTRIZIONE E DELL’ALIMENTAZIONE (DNA) E SALUTE ORALE: DUE MONDI APPARENTEMENTE AGLI ANTIPODI MA LEGATI A DOPPIO FILO

“La Giornata del Fiocchetto Lilla riveste un’importanza cruciale nel panorama della sensibilizzazione sui Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA). Il suo riconoscimento, avvenuto nel 2018, ha segnato un punto di svolta, un’opportunità per le istituzioni pubbliche e gli enti preposti di intensificare gli sforzi informativi e di sensibilizzazione. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che l’attenzione verso i DNA non deve limitarsi a un singolo giorno, ma deve essere costante e presente in ogni momento dell’anno”.

In occasione della SETTIMANA LILLA in partenza questo sabato, che culminerà nella GIORNATA DEL FIOCCHETTO LILLA del 15 marzo, a voler fare chiarezzaportando in luce una tematica di cui si parla sempre troppo poco come il legame profondo che c’è tra i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e la salute orale, è la Dott.ssa CLOTILDE AUSTONI, Odontoiatra Specialista in Chirurgia Odontostomatologica, pioniera sui social (e non solo) della promozione della salute del sorriso. Ma, soprattutto, responsabile CORED – Centre of oral rehabilitation of eating disorders – Centro per la cura e riabilitazione orale dei disturbi del comportamento alimentare presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, primo in Italia.

“Il CORED nasce dall’esigenza di creare un punto di riferimento per chi soffre o ha sofferto di DNA, un luogo dove sentirsi accolti e non giudicati, in cui poter indagare lo stato di salute della propria bocca, conoscere come prevenire i danni causati dai DNA e scoprire che se il sorriso è ormai danneggiato può essere ricostruito e tornare ad essere quello di prima”. 

Il punto da cui la Dott.ssa Austoni parte è la disinformazione, che coinvolge sia l’esperienza dei pazienti che la pratica degli operatori sanitari“queste lacune informative si manifestano in molteplici forme, a partire dallo stigma sociale che circonda i DNA. La vergogna e il timore del giudizio spesso impediscono ai pazienti di cercare aiuto e di accedere a informazioni cruciali. Molti ignorano le gravi ripercussioni che questi disturbi possono avere sulla salute orale, e non sono a conoscenza delle strategie attuabili per fare prevenzione o della possibilità di ricostruzione del sorriso con tecniche non invasive. Parallelamente, l’insufficiente conoscenza dei DNA da parte degli operatori della salute orale è evidenziata dall’assenza o dal minimo contenuto educativo sui disturbi alimentari e dalla mancanza di esposizione clinica ai pazienti con disturbi alimentari nei programmi di formazione, eppure odontoiatri e igienisti dentali sono proprio le figure in grado di intercettare i danni in fase iniziale, dunque fare diagnosi precoce”.

Maggior formazione e informazione, dunque, sono quanto mai necessarie“Le indicazioni relative alla salute orale sono notevolmente scarse o assenti in molte linee guida e anche i professionisti dei DNA segnalano insoddisfazione per il loro livello di educazione alla salute orale e, infatti, tendono ad aspettare l’invio fino a quando un paziente non riferisce complicazioni (dato estratto da Johnson LB, Boyd LD, Rainchuso L, Rothman A, Mayer B. Eating disorder professionals’ perceptions of oral health knowledge. Int J Dent Hyg. 2017;15(3):164–71)”.

Così come accoglienza ed empatia, come evidenziato dalle testimonianze di diversi pazienti COREDmolti di loro hanno vissuto esperienze negative, caratterizzate da giudizi severi e mancanza di comprensione da parte di operatori sanitari non specializzati. Questi giudizi, spesso incentrati sulla “scarsa cura” della bocca, ignorano la complessità dei DNA e il profondo disagio che li accompagna. Un approccio empatico è essenziale per instaurare un rapporto di fiducia e per incoraggiare i pazienti a intraprendere un percorso di cura. Anche se farsi conoscere come centro è stato e continua ad essere un percorso lento che richiede tempo e pazienza, sentirsi dire cose come “Dottoressa, non immagina la gioia che ho provato quando ho saputo dell’esistenza di questo centro, sapere di poter accedere a un luogo in cui non provare vergogna e sapere di non essere giudicato significa tutto per me” è fonte di grandissima soddisfazione e ci fa capire di aver intrapreso la strada giusta.

Fondamentale puntare anche su un aspetto importante come la prevenzione: il percorso di cura da un DNA può essere molto lungo e poter agire sull’aspetto preventivo – o quantomeno ritardando i danni al sorriso – potrebbe fare la differenza, preservando un pezzetto di salute. Per chi arriva nelle fasi finali o addirittura può definirsi guarito da un DNA che ha lasciato segni sul sorriso, scoprire di poterlo ricostruire significa tornare a sorridere, e quindi tornare a vivere. Cancellare la vergogna e la paura di sorridere ti libera da un malessere profondo, ti rimette al mondo consegnandoti una nuova autostima che fa bene all’umore e consente di poterti esprimere a pieno”.

Prevenzione ma anche cura, un atto apparentemente semplice ma capace di innescare un processo di cambiamento interiore molto profondo in quanto non si tratta semplicemente di riparare i danni fisici, “ma di riappropriarsi di una parte di sé trascurata o danneggiata dalla malattia. Il ripristino della salute orale, quindi, non è solo una questione estetica, ma un vero e proprio atto di liberazione in grado di restituire sicurezza alla persona e di permetterle di tornare ad aprirsi al mondo con inevitabili riflessi positivi, per esempio, nelle interazioni sociali e nel rendimento scolastico e lavorativo. Ma, soprattutto, prendersi cura della propria salute orale può rappresentare un primo passo verso la cura di sé a 360°, un atto di auto-cura che può rafforzare la motivazione dei pazienti a proseguire il percorso di guarigione da DNA, incoraggiandoli a prendersi cura anche del proprio benessere psicologico”.

E ancora, che ritorna, il tema della vergogna e del timore del giudizio altrui. A oggi i pazienti che si sono rivolti al CORED sono prevalentemente di sesso femminile non perchè i DNA colpiscano solo le donne, ma perché, probabilmente, è ancora molto presente lo stigma sociale che si tratti di malattie esclusivamente femminili”. Un altro dato che sottolinea la Dott.ssa Austoni, sempre per rimanere nella stessa sfera, è che “vi è una percentuale di pazienti che fissa la prima visita, non si presenta, la fissa nuovamente e così via. Sicuramente è anche a causa di impedimenti, ma mi domando se non si tratti solamente invece di freni imposti da vergogna e paura”.

A oggi l’80% dei pazienti presi in carico dal CORED presentano anoressia nervosa e bulimia nervosa, il 5% binge eating disorder e il 15% riferisce un DNA pregresso e ha raggiunto il centro per “tornare a sorridere”. “Chiaramente nelle fasi acute del DNA non è nemmeno ipotizzabile intraprendere un percorso di cure odontoiatriche, ma, anche se tutto dipende dalla fase in cui si trova il paziente (ci sono, per esempio, fasi di negazione in cui non si riconosce di avere bisogno di aiuto), può senz’altro essere un punto di partenza. Come mi ha detto una mia paziente che sapeva di avere davanti a lei un cammino ancora lungo, sentiva che iniziare dal sorriso avesse per lei il significato di voler tornare a star bene e dimenticarsi di essere malata.

E per quanto riguarda gli obiettivi futurila Dott.ssa Clotilde Austoni auspica un’importante crescita numerica, sia in termini di pazienti finalmente pronti a intraprendere questo percorso di cure sia in termini di odontoiatri e igienisti che possano prendere parte al progetto“Mi piacerebbe che si dedicassero moduli specifici all’interno del percorso di formazione di odontoiatri e igienisti dentali di tutti gli Atenei, per far sì che ci siano sempre più professionisti della salute orale preparati. Temo che si tenda a sottostimare sia le ripercussioni dei danni orali, sia il profondo impatto psicologico che questi possono infliggere. Vorrei che si intensificasse la collaborazione con figure professionali cruciali quali psicologi, nutrizionisti e medici di base, una sinergia che, ad oggi, risulta insufficiente. L’esperienza maturata rivela una collaborazione sporadica, caratterizzata da una quasi totale assenza di invii di pazienti. Di fatto, i pazienti che hanno raggiunto il centro, nella mia esperienza, lo hanno fatto autonomamente, cercando informazioni o seguendo i canali social, in particolare Instagram”.