Lavinia Monti: l’incertezza è più bella. La “generazione Erasmus” è stata un laboratorio di cambiamento, ma non un’isola felice

Lavinia Monti, romana, coltiva da sempre un legame profondo con l’Europa. Un Erasmus in Francia, un Master al Collège d’Europe, uno stage all’ONU, un tirocinio alla Commissione Europea e un dottorato in diritti umani hanno contribuito a forgiare sin da giovanissima la visione internazionale che oggi anima il suo lavoro e la sua scrittura.

Il suo percorso professionale è iniziato con attività di insegnamento e di ricerca, per proseguire al Ministero degli Esteri come funzionaria della cooperazione allo sviluppo. Nel 2010, dopo aver superato il corso-concorso per dirigenti dello Stato della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, è entrata al Ministero dell’Economia e delle finanze, dove ha svolto numerosi incarichi dirigenziali, accomunati dalla dimensione europea, internazionale e di policy making. Dal febbraio 2025 si è spostata al Ministero per l’Università e la ricerca, dove dirige l’Ufficio per la internazionalizzazione della formazione superiore. Dopo alcune pubblicazioni di carattere saggistico, ha esordito nel 2022 nella narrativa con “La Ragazza con l’Europa in tasca” (ed. Bookabook).

Il nuovo romanzo di Lavinia s’intitola “Ma l’incertezza è più bella“, appena uscito con Giacovelli Editore, che torna a raccontare la “generazione Erasmus” ora alle prese con la continua rivoluzione del proprio percorso lavorativo oltre che sentimentale, tra Bruxelles, Roma e New York.

Ma l’incertezza è più bella: una storia di trasformazione che invita a riflettere sul coraggio del cambiamento, sull’importanza delle relazioni e sul potere di seguire il proprio istinto. Più facile a dirlo o più difficile a farlo?
Difficile da fare, ma anche da dire, perché appena proviamo a pronunciare la parola “incertezza” ci sentiamo in dovere di trovarle subito un sinonimo rassicurante. E invece no: l’incertezza è una condizione naturale, persino desiderabile a volte. È il motore della scoperta, l’anticamera del cambiamento. Il problema è che ci hanno insegnato a temerla, come se fosse un ostacolo da superare invece che uno spazio da esplorare.

Raccontando le gesta di Ludovica torni a descrivere la “generazione Erasmus” ora alle prese con la continua rivoluzione del proprio percorso lavorativo oltre che sentimentale. Domanda inevitabile: com’è a ritrovarsi a essere maître à penser di una generazione? Ma soprattutto: i giovani hanno ancora bisogno che qualcuno li prenda per mano per emergere?
Maître à penser? Mi dissocio immediatamente! Diciamo che racconto una realtà che conosco bene, perché la vivo e la vedo attorno a me. La “generazione Erasmus” è stata un laboratorio di cambiamento, ma non un’isola felice: siamo passati dall’entusiasmo dell’apertura al mondo all’incertezza perenne del precariato professionale e affettivo. Quanto ai giovani, più che prenderli per mano, dovremmo smettere di dir loro cosa fare e lasciare spazio affinché possano farlo. Hanno meno bisogno di guide paternalistiche e più di strumenti concreti.

Poveri ragazzi, li tiriamo sempre in ballo quando vogliamo alludere a una fase sgangherata della nostra vita in cui ci par d’essere in balia di impulsi poco riguardosi delle responsabilità. Eppure ci son parecchie cose che potrebbero insegnarci a non perdere, pur nel procedere della vita adulta. Per esempio i desideri…
Assolutamente sì. L’errore più grande che facciamo crescendo è credere che i desideri siano una cosa da ragazzi e che col tempo debbano cedere il passo alla “razionalità”. Ma senza desideri non si va da nessuna parte. I ragazzi hanno questa capacità straordinaria di immaginarsi altrove, di non aver ancora deciso chi essere. Forse è per questo che li guardiamo con una certa nostalgia. Il segreto sta nel non perdere quello sguardo.

Come ricordi quei tempi e quali sono le sfide più importanti ora?
Con un misto di tenerezza e sollievo. Tenerezza per l’entusiasmo con cui affrontavo ogni nuova esperienza, sollievo perché la consapevolezza che ho oggi è un lusso che allora non mi concedevo. Le sfide oggi sono più strutturate: non più solo capire chi sono, ma riuscire a costruire qualcosa che abbia un senso, senza perdere quello slancio iniziale.

Di che cosa sei orgogliosa?
Di non aver mai ceduto alla tentazione di percorrere la strada più semplice solo perché era la più sicura. E di aver scritto due romanzi che raccontano storie che avevano il desiderio e la necessità di raccontare .

Come nascono le storie che scrivi? Licenza poetica o esperienze personali?
Un mix delle due cose. Le esperienze personali sono spesso il punto di partenza, ma poi le storie prendono una vita propria. A volte sono più sagge di me e mi insegnano qualcosa che non sapevo nemmeno di voler capire.

Coltivi da sempre un legame profondo con l’Europa: perché tanta ostinazione? E a questo punto: in quale nazione i diritti dei giovani sono più tutelati e perché?
Più che ostinazione, direi coerenza. L’Europa non è solo una dimensione geografica, è un’esperienza concreta che ha cambiato il modo di vivere e lavorare di un’intera generazione. Quanto ai diritti dei giovani, i paesi che investono molto sulla formazione e sull’accesso al lavoro sono i Paesi nordici, in particolare la Finlandia, dovremmo prendere esempio da loro.

Visto che i conflitti generazionali e non solo, sono l’argomento di discussione quotidiana nei dibattiti televisivi hai qualche proposta in merito?
Forse smettere di ridurre tutto a uno scontro tra giovani e meno giovani? Più che di conflitti generazionali, parlerei di un sistema che fatica a creare connessioni reali tra le esperienze. Il cambiamento dovrebbe essere un passaggio di testimone, non una lotta tra chi lo vuole e chi lo teme.

Con i tuoi racconti avverti la responsabilità di cambiare la vita a qualcuno?
Se un libro riesce a far riflettere, a far sentire meno soli, a suggerire una prospettiva nuova, ha già fatto qualcosa di grande. Se poi cambia davvero la vita di qualcuno, significa che era il momento giusto per quella storia. Io scrivo per raccontare, non per insegnare, ma se qualcuno ci trova un pezzo di sé, è un regalo straordinario.

Al netto dei giudizi espressi, il miglior consiglio che puoi regalarci?
Non abbiate paura di cambiare idea e di affrontare più percorsi, anche quando sembrano contraddirsi. Ci sentiamo obbligati a tracciare una linea retta, a scegliere una strada e seguirla con coerenza assoluta, come se ogni deviazione fosse un errore. Ma la realtà è che il cambiamento è l’unica costante, e ogni percorso intrapreso, anche se sembra distante dall’altro, può rivelarsi parte di un disegno più grande. Lasciatevi la possibilità di esplorare, di scoprire passioni inattese, di ricominciare. Non è un segno di incertezza, ma di ricchezza. È così che si costruiscono vite piene e storie che vale la pena raccontare.