La Cartina della felicità: a primavera è tempo di potatura e la Quaresima è la potatura per prepararci alla fioritura della Pasqua

Carissimi,

come già preannunciato lo scorso Mercoledì delle Ceneri, la lettera di questo mese riprende le sollecitazioni evangeliche del primo giorno di Quaresima, sollecitazioni tratte dal Vangelo di Matteo (6,1-6.16-18), che nello specifico invita a immergersi nella cosiddetta “primavera dello Spirito” secondo le indicazioni dei Padri dei primi secoli del Cristianesimo, ovvero in quel sacro tempo di preparazione alla Pasqua del Signore.

La primavera è tempo di potatura e la Quaresima è la potatura per prepararci alla fioritura della Pasqua. È la logica della vita, ma potare è un’arte difficile ed è fonte di sofferenza, lenta da apprendere… è Dio il potatore della nostra vita, Lui sa quando, perché e come potare.

Spesso ad esser tagliato è il ramo più grosso e viene lasciato il tralcio più esile e fragile, ma in esso il contadino con gli occhi della fede già intravede l’abbondanza dell’uva matura.

Della pericope summenzionata, tuttavia, riprenderò solo il primo versetto, necessario per fondare i vv.7-8 dello stesso capitolo, sebbene la liturgia li ometta e dei quali vorrei far risaltare le implicanze vitali per i cristiani odierni.

In Mt 6,1 si legge: State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.

Questa parola definisce e ingloba i tre gesti che seguono, ovvero elemosina, preghiera e digiuno, che sono il metro della giustizia biblica, intesa come il buon comportamento davanti agli uomini (elemosina), davanti a Dio (preghiera) e davanti a se stessi (digiuno).

Uniti così fra loro, questi atti esprimono il senso più profondo del progetto di Gesù.

Non sono gesti che si aggiungono alla vita, ma risultano essere essenza e contenuto della vita stessa.

La povertà apre la mano, la preghiera apre il cuore, il perdono si fa sorriso sul volto.

Matteo identifica quello che oggi chiamiamo religione con questa giustizia tripla, intesa come rettitudine davanti agli altri, davanti a Dio e davanti a noi stessi.

Sopra questo fondamento, l‘evangelista aggiunge (vv.7-8): Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.

Coloro che vivono in profondità il carisma del Carmelo comprendono facilmente che al fondo di questa critica ai pagani può trovarsi il ricordo dei sacerdoti di Baal e Asera, sul monte Carmelo, quando Elia li deride dicendo che ripetano e aumentino le parole perché Dio le ascolti meglio.

Pregare bene non è questione di orazioni che si moltiplicano in forma estatica, come facevano i sacerdoti-profeti di Baal (1 Re18), quanto piuttosto un gesto di profondità e di fede, poiché Dio Padre, che abita nel segreto, nella profondità radicale, conosce la nostra necessità.

Questa avvertenza non nega il valore della preghiera di richiesta, ma al contrario mette in rilievo l’esigenza di approfondirla nel segreto della nostra voce interiore, per così “chiedere” in modo vero, scoprendo e dicendo quello che siamo e ciò di cui abbiamo bisogno davanti a Dio, poiché l’uomo è un essere indigente, che sta in mano ad altri, e in modo speciale nelle mani di Dio, come un piccolo ragazzo nelle mani di suo padre (madre), non solo sul piano delle necessità materiali (latte, cura dell’infanzia), ma in uno molto più profondo di comunicazione personale.

Se l’uomo fosse solo dipendente, un essere subordinato a Dio, e Dio un volto implacabile, che dovremmo placare a forza di parole, la preghiera sarebbe una pura sottomissione e l’essere umano un semplice schiavo. Contro ciò, la Bibbia afferma che Dio ha voluto farci liberi, per dialogare con Lui in modo che la sua stessa volontà resti “influenzata” dalla nostra.

Ancor di più, lo stesso si è incarnato per ascoltare meglio e ciò che chiediamo e ciò di cui necessitiamo, cioè per condividere i nostri itinerari, dolori e speranze.

In questa prospettiva devono essere comprese le nostre richieste.

La preghiera è una storia di affetti, dove scopri che tu e Dio siete due amici a inventare fiducia nella notte del mondo, a fornire pane o almeno lievito.

Io prego perché vivo, e vivo perché prego, secondo il sentire del teologo Romano Guardini: in principio non c’è la preghiera, ma la vita; prima c’è un’esperienza, un grido, la pressione del dolore, la carezza della gioia. Da qui l’orazione nasce come supplica o canto libero.

Io vivo perché prego, in quanto colloco il senso ultimo della vita non in me, ma fuori di me perché la speranza del mondo non risiede nella cronaca quotidiana, ma oltre e in alto; perché contemplando il Signore veniamo trasformati in quella medesima immagine, secondo quanto ribadisce lo stesso San Paolo nella II Lettera ai Corinzi (3,18).

Pregare trasforma.

L’uomo diventa ciò che contempla con gli occhi del cuore.

L’uomo diventa ciò che ama.

L’uomo diventa ciò che prega.

Pregare è saldare il silenzio delle stelle con il fragore dei giorni; è svincolarsi dalle catene del rumore e scoprire le nostre musiche sotterranee; è aprire un passaggio, come si apre una chiusa o una diga, nella trama dei giorni, delle finestre su Dio, perché vita ne entri, vita ne esca, fino a che la nostra esistenza sia intrisa della stessa vita dell’Assoluto.

Dio non si impone sopra l’uomo in modo obbligato poiché agisce dal “cielo” (Mt 6,9), al di là di quello che siamo e possiamo.

Un “creatore limitato” non potrebbe suscitare viventi che ritornino liberi e che possano rispondergli. Essendo Infinito (creatore, non “fattore” materiale), Dio suscita esseri viventi che si scoprono autonomi (padroni di sé) e che possono rispondere come persone libere, capaci di accogliere la sua chiamata a collaborare con Lui. Egli non crea per imporsi – lo ripeto – perché gli uomini lo servano come schiavi, ma per parlare (dialogare) con loro.

L’incarnazione ci ricorda che Dio è Infinito facendosi finito e “dipendendo” dagli uomini, non per errore, ma per eccesso, per abbondanza amorosa. Così, ha voluto “implicarsi” con noi, ascoltare le nostre parole, lasciandosi interpellare da quello che diciamo, in modo che il suo potere influenzi il nostro. Secondo ciò, l’Onnipotente ha dato all’uomo il potere di libertà, e per questo deve rispettarlo e ascoltarlo.

Paradossalmente, Lui ha voluto lasciarsi influenzare dalle sue creature, poiché “avendo creato senza di noi, non vuole salvarci né percepire la sua pienezza divina senza di noi”. È evidente che l’uomo non influisce sopra Dio per il suo potere autonomo o grandezza, per le sue opere intese su un piano legale, ma per amore, perché lo stesso ha deciso di rispettarlo e accoglierlo, lasciando che le sue voci (la nostra storia: cfr. Esodo 2, 24-25) si innestino nella sua Parola eterna.

Questo ci colloca davanti al segreto del Dio nascosto.

Certamente, è un mistero che noi possiamo supplicare l’Altissimo, chiedendo il suo aiuto nella e con la nostra vita. C’è da aggiungere che lo stesso Dio ha voluto avvicinarsi agli uomini, esistere e realizzarsi con loro, e per questo viene a “supplicarli”. Nell’ «averli creati» come figli, in libertà, l’Onnipotente si è convertito, in un certo senso, in “dipendente”: donando l’amore a questi figli, richiede loro una risposta di fedeltà per portare a compimento, addirittura con noi, la sua opera di salvezza.

Certamente, Dio impiega anche altri linguaggi: ordina, minaccia, comanda…, come indicano molti testi del Primo Testamento. Però, in un certo momento, quando gli uomini appaiono come trasparenti davanti al Suo mistero, Lui arriva a mostrarsi “richiedente”.

In questa prospettiva è da intendersi la storia dell’alleanza, così come è stata rivelata, fra gli altri, da Osea, Geremia e il Deutero-Isaia (Is 40-55), nei quali il Creatore chiede la risposta agli uomini.

Per capire Gesù – come scrive Ermes Ronchi- non occorre cultura, ma vivere profondamente la vita. Se hai capito la vita, hai capito Dio. E se hai trovato Dio, troverai la pienezza della vita.

Cari amici,

chiediamo al Signore, per questo tempo forte dell’anno liturgico, di essere trasparenti davanti al mistero di passione, morte e risurrezione del Figlio, il quale ci svela l’amore immenso del Padre e la ricompensa eterna alla nostra fedeltà in un crescente spazio di preghiera e adorazione perché la preghiera, come l’adorazione eucaristica, svuota i cuori e li prepara all’azione di Dio.

Auguri vivissimi di ogni bene,

Ettore Sentimentale