Con Matteo Bottari avevano davvero giocato di fino; più andavano avanti e più Bonaccorso e la sua squadra vedevano la sua eliminazione come uno scossone necessario per l’assestamento di antichi equilibri. Bene e il male, buono e cattivo, legale e illegale… spesso era meglio se tutti i contendenti filavano d’amore e d’accordo. Così ognuno dei compartecipi aveva cercato di aggiustare la propria posizione, e fra uno spintone e l’altro Matteo Bottari era rimasto fuori. Povero professore! Ma quelli che avevano orecchie per intendere, senz’altro intesero.
Ora occorrevano le prove che questi assestamenti, però, avevano avuto luogo al di là di ogni ragionevole dubbio. Sembrava che fino ad allora quelle persone avessero vissuto in una negazione profonda la loro condizione: erano nel cuore della guerra in atto, ma seguivano la logica del “se non lascio traccia allora non ho fatto niente di male”. Quel muro di mattoni era la lezione di “messinità” più pura ed esaustiva che testo universitario potesse mai spiegare. Messinità, meschinità: sentite che assonanza?
Dal libro Matteo Bottari – L’omicidio che sconvolse Verminopoli – IMG Press