Poco più di un anno fa, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti giustificava i tagli al ministero dei Beni Culturali con l’espressione “Con la cultura non si mangia”, a cui rispondeva Umberto Eco con una interessante lettera che concludeva con la citazione “non si mangia con l’anoressia culturale”. E’ opinione diffusa, e non solo dell’ex ministro, che non valga la pena investire in arte, soprattutto se contemporanea (che è per definizione incomprensibile e in grado di scaturire solamente i commenti “lo sapevo fare anche io” e “non è arte”). Allora perchè c’è ancora chi studia storia dell’arte, chi allestisce mostre, chi va in giro per i teatri a leggere la Divina Commedia, riscuotendo, tra l’altro, un immenso successo? Tralasciando l’aspetto economico per un momento, quanto importante è la cultura per un popolo? In senso umanistico, rappresenta la formazione culturale di un individuo, il suo bagaglio di conoscenze che deve continuare a “coltivare” (termine che deriva dal verbo latino “colere”, che è utilizzato sia nel senso di coltivare i campi che di avere cura di sè e di onorare gli dei). In un’accezione antropologica, invece, la cultura è l’insieme di credenze, idee, costumi che una società possiede e che viene tramandato di generazione in generazione in maniera spontanea, senza che ci sia un insegnamento esplicito (parliamo, infatti, di habitus). La cultura è essenziale per un organismo bioculturale come l’uomo, che non possiede per natura gli istinti necessari per la sopravvivenza, ma ha bisogno di essere educato dalla società nella quale vive. In parte, quindi, la cultura si tramanda automaticamente, ma possiamo – e dobbiamo – anche fare in modo che ci sia un aumento della quantità di cultura di cui si usufruisce.
Parlando, ora, in termini prettamente economici, si potrebbero trovare molte motivazioni contrarie all’interesse di un privato o dello Stato nel finanziare un’attività di questo genere, come, a esempio, il cosiddetto “Morbo di Baumol”, ma non possiamo limitarci a guardare agli aspetti negativi e rinunciare. Un luogo comune, profondamente vero, è che l’Italia dovrebbe vivere di turismo culturale, valorizzare le proprie ricchezze territoriali e artistiche e attrarre molti più visitatori che il resto d’Europa e del mondo. Come negare che all’ottimizzazione efficace dei beni presenti nel nostro Paese conseguirebbe un ritorno economico nei confronti di coloro che offrono servizi da parte di coloro che ne usufruiscono? Cominciamo valorizzando le opere più semplici da capire e più conosciute, puntiamo sull’educazione dei turisti, creiamo pacchetti culturali e cerchiamo di attrarre l’attenzione; i dati delle persone che si spostano per assistere a mostre o manifestazioni sono sempre molto alti, perchè non approfittarne? Innoviamo, seguiamo l’esempio degli altri paesi, “copiamo” quelle idee che sembrano essere positive: è ancora evidente il divario dei servizi offerti a un turista in Italia o in un altro Stato nostro “rivale”. Sfruttiamo questo momento di crisi per puntare sulle ricchezze del nostro territorio. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali lancia il progetto “Meno tasse per chi investe in cultura”: che sia un inizio?
Clarissa Silvestrin